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Caso Armani, Confindustria tesse lodi del settore

Dopo il sequestro a Milano della Armani Operations per le condizioni di degrado di alcune produzioni in subfornitura nella filiera, la branca dedicata alla Moda del sindacato industriale assicura che nel settore è in atto un cambio di cultura aziendale: Made in Italy, filiera corta e tracciabilità. «Prima che il passaporto digitale le imponga», spiega Annamaria Pilotti, a capo di 11.500 aziende. La Cgil chiede per contro di prevedere un'attività ispettiva che verifichi le condizioni in cui si opera

di Isabella Naef

Un cambio di cultura aziendale, una catena del valore costruita attorno al prodotto e maggiori controlli ispettivi: si muove su queste tre direttrici la reazione delle associazioni delle imprese della moda e dei lavoratori alla luce dei fatti di cronaca legati allo sfruttamento del lavoro che hanno coinvolto le griffe della moda.

Dopo Alviero Martini, etichetta specializzata nella produzione di borse e accessori in pelle, che lo scorso gennaio è stata posta in amministrazione giudiziaria dal Tribunale di Milano, a seguito di un’inchiesta dei carabinieri del Nucleo Ispettorato del lavoro, «perché ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo», la settimana scorsa è toccato anche alla Giorgio Armani Operations spa.

L’azienda è stata posta in amministrazione giudiziaria per un presunto sfruttamento del lavoro attraverso appalti che farebbero ricorso a manodopera cinese in nero e clandestina, per realizzare capi di lusso in laboratori dormitorio nel milanese.

Intanto, il caso Alviero Martini, pare andando risolvendosi: il 9 aprile si è tenuta, a Milano, l’udienza in cui gli amministratori giudiziari nominati quasi tre mesi fa hanno presentato al Tribunale una prima relazione “positiva”, data la collaborazione della società. La prospettiva è di una revoca della misura di prevenzione fra qualche mese. La prossima udienza è in agenda il 22 maggio.

Tra gli addetti ai lavori nessuno pare dubitare che anche per la Giorgio Armani Operations spa si prospetti il lieto fine, tant’è che l’azienda specifica di avere da sempre messo «in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare il rischio di abusi nella catena di fornitura».

Annamaria Pilotti, Confindustria Moda

Confindustria Moda: «Garantire la tracciabilità»

In questi giorni, la reazione del mondo delle associazioni che riuniscono le imprese della moda è stata compatta. «Confindustria Moda lavora affiancando le sue aziende nella costruzione di filiere attente alla correttezza del lavoro, all’impatto ambientale delle produzioni e alle richieste del consumatore in continua evoluzione. Le aziende aderenti alla federazione sono le imprese manifatturiere del Made in Italy, che producono a catena corta e controllata. Molte lavorano già sulla tracciabilità di filiera, garantendola prima delle imposizioni cogenti del passaporto digitale», ha spiegato Annarita Pilotti, presidente dell’organizzazione che riunisce Assocalzaturifici, Assopellettieri, Aip (Associazione italiana pellicceria) e Unic (Concerie italiane), per un totale di 11.500 aziende.

«Chiediamo un tavolo di confronto specifico con le associazioni datoriali e una attività ispettiva mirata alla verifica di condizioni di illegalità così come di condizioni di applicazioni contrattuali incoerenti», ha sottolineato, attraverso una nota, Marco Falcinelli, segretario generale della Filctem Cgil. Molto spesso, ricorda il sindacato, il decentramento produttivo è finalizzato alla massimizzazione degli utili e alla minimizzazione delle responsabilità, producendo inevitabilmente una spirale di subappalti che, in diversi casi, sono riconducibili al core dell’azienda committente dando vita a una giungla retributiva al ribasso.

Marco Falcitelli – Cgil Filctem

Oil sul “salario dignitoso”

Il salario dignitoso, ironia della sorte, è stato proprio al centro della 350esima sessione del consiglio di amministrazione dell’Organizzazione internazionale del lavoro-Oil, l’agenzia delle Nazioni Unite sui temi del lavoro e della politica sociale. Durante la riunione, che si è svolta a marzo, a Ginevra, i componenti del consiglio di amministrazione hanno sottolineato il ruolo centrale del salario dignitoso nello sviluppo economico e sociale e nel progresso della giustizia sociale, precisando che il concetto di salario dignitoso si riferisce al «livello salariale necessario per garantire una condizione di vita dignitosa a lavoratori e lavoratrici e alle loro famiglie, tenendo conto delle circostanze nazionali e del calcolo del lavoro svolto durante il normale orario di lavoro».

A questo riguardo va ricordato che, nel caso Giorgio Armani Operations, dal provvedimento del Tribunale attraverso testimonianze degli stessi lavoratori e accertamenti dei carabinieri, risulta che  la produzione negli opifici abusivi cinesi di abbigliamento e accessori, venduti poi con marchio Giorgio Armani, era «attiva per oltre 14 ore al giorno, anche festivi», con lavoratori «sottoposti a ritmi di lavoro massacranti» e con una situazione caratterizzata da «pericolo per la sicurezza» della manodopera, che lavorava e dormiva in «condizioni alloggiative degradanti».

Integrità e trasparenza nella catena del valore

Pare evidente, quindi, che l’anello debole sia rappresentato dalla catena di fornitura e dai controlli sulla stessa, aspetti su cui intervenire, anche se il fattore culturale gioca un ruolo fondamentale, come spiega Confindustria moda. «Pensiamo che il vero salto di qualità sia nella cultura aziendale che si sta evolvendo e nella catena del valore che si sta costruendo non solo intorno al prodotto, ma anche agli aspetti di integrità, trasparenza e tracciabilità che lo accompagnano», conclude Pilotti.


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