Legge di bilancio 2025

Che senso ha applicare l’Iva al Terzo settore, visto che l’Erario non incasserebbe nulla?

Sono giorni decisivi per porre rimedio a una norma che rischia di far chiudere o comunque limitare l'attività di tante associazioni senza alcun vantaggio economico per lo Stato. L'intervento dell'esperta del Tavolo tecnico legislativo del Forum del Terzo Settore

di Marina Montaldi

Porre rimedio alla norma che generalizza la soggezione Iva dei rapporti di contribuzione specifica tra socio e associazione è una misura tanto necessaria per gli enti associativi di Terzo settore quanto priva di oneri per l’Erario.

Questo è il dato da cui muovere per dare impulso al buon fine delle iniziative parlamentari che, in queste settimane, nell’ambito dell’iter del disegno di legge di bilancio 2025 e del decreto legge “collegato” (decreto legge n. 155/2024) stanno sostenendo la proposta del Forum del Terzo settore mirata a ricomporre in un quadro coerente le specificità del Terzo settore nazionale con le istanze del diritto unionale. 

Il quadro normativo e la proposta di integrazione disciplinare

L’innovazione introdotta dall’art. 5, co. 15-quater del d.l. n. 121/2021, destinata ad entrare in vigore dal 1° gennaio prossimo, stabilisce che le quote supplementari versate dal socio per l’accesso a prestazioni specifiche erogate dall’associazione e in conformità agli scopi sociali, oggi escluse dal campo Iva, siano ricondotte presso tale ambito, in condizioni di imponibilità o di esenzione, a seconda del tipo di attività interessato. 

L’assioma produce un effetto generalizzato di attribuzione dello status di operatore economico ad una moltitudine di enti associativi di Terzo settore la cui attività verso il corpo sociale ha una caratura viceversa essenzialmente erogativa, come tale discosta dal modello transattivo che giustifica la soggezione Iva. Di qui la necessità di un intervento normativo suppletivo, segregato dalla norma novella (l’art. 5, co. 15-quater cit.), presso cui la natura reale di tali attività, essenzialmente estranea al perimetro disciplinare Iva, sia riconosciuta secondo condizioni conformi ai principi della norma unionale (Dir. 112/2016). 

In particolare, la proposta recepisce il principio affermato dalla Giurisprudenza comunitaria (CGUE C-246/08, Commissione Europea vs. Finlandia) per cui la quota erogata non si configura quale corrispettivo se non riflette il controvalore reale del servizio. Concretamente questo accade, come ben spiegato dalla Corte, quando la formazione della quota (nel caso di specie si trattava di “tariffe legali”) soggiace a determinanti affrancate dai criteri della logica economico-aziendalistica, che viceversa governano le scelte degli operatori di mercato, quali la remunerazione dei fattori produttivi e/o l’attuazione di policy concorrenziali.  

Questo schema si rinviene a termini sistemici, ossia ricorrenti, stabili e diffusi, nelle attività mutuali attivate dalle associazioni di Terzo settore con il sostegno finanziario ripartito in via specifica presso il corpo sociale, in ragione dell’interesse generale che ne è causa. In altri termini, presso queste realtà la valorizzazione della quota che finanzia direttamente le attività risponde ad esigenze di immediata attuazione delle finalità sociali, in ciò producendo la disarticolazione del nesso tra quota e “servizio” che è viceversa essenziale al titolo corrispettivo Iva. Si pensi, per fare solo un esempio tra i diversi possibili,  al contributo deliberato (secondo le formalità partecipative e democratiche proprie di queste formazioni sociali) ad importo diversificato in ragione delle condizioni socio-economiche degli associati, con esiti di valorizzazione che dunque non rispecchiano il costo di acquisto/realizzazione del servizio ricevuto, in quanto non sorretti dalla logica della corrispettività bensì da quella mutuale-associativa di “consumo partecipativo e solidale”. 

Nel concreto, la proposta che ora trova sede negli emendamenti alla legge di bilancio individua nella verifica di compatibilità tra valore della quota supplementare e costo effettivo del servizio il criterio cui ancorare il monitoraggio della soggezione  Iva, in ciò riferendosi a canone, quello appunto del costo effettivo,  già consolidato in sede legislativa di Terzo settore (v. art. 79, comma 2,  d.lgs. n. 117/2017). 

Una proposta utile per tutti

Perché è auspicabile il recepimento nella norma della proposta emendativa? Essenzialmente per tre ragioni. 

La prima risiede nella proporzionalità ed appropriatezza dei suoi contenuti rispetto al fenomeno che ambisce a disciplinare: rimettendo a fattor comune i dati rivenienti dal modello gestionale di queste attività con i principi che governano la disciplina Iva in sede comunitaria, prova infatti a ricollocare nel suo alveo naturale la natura tributaria effettiva delle relazioni mutuali sostenute da flussi contributivi specifici. 

La seconda ragione si giustifica nella rispondenza ad un principio di equità: la soggezione Iva implica un’inevitabile traslazione di risorse dalla missione di utilità sociale verso gli oneri derivanti dagli adempimenti strumentali che conseguono all’acquisizione dello status di operatore Iva, una deviazione che tuttavia non appare giustificata dalla piena conformità del modello adottato rispetto all’essenza della realtà normata. In altri termini, l’acquiescenza al dispositivo a valenza generalizzata a suo tempo introdotto ha un costo economico e sociale per gli enti associativi di Terzo settore che dovrebbe trovare giustificazione nella certezza di una sua solida capacità di attagliarsi al fenomeno normato, circostanza che, come visto, appare significativamente vulnerata nel caso di specie.

La terza ragione nasce dalla considerazione che il sacrificio improprio imposto a queste dinamiche associative tramite la soggezione Iva non determina alcun vantaggio per l’Erario, così come alla (dovuta) correzione indiretta che sortisce dalla proposta non consegue parimenti alcun onere aggiuntivo per la stessa finanza pubblica.  

Infatti, se da un lato le attività destinate al regime di esenzione continueranno, come già accade nell’attuale regime di esclusione, a corrispondere l’Iva nello stesso identico modo, ossia non detraendo l’Iva sugli acquisti (e parimenti non gravandone l’onere sulle quote supplementari), e dunque per esse la posizione dell’Erario non subirà plasticamente alcuna variazione rispetto alla condizione vigente, per quelle “convertite” all’imponibilità (mescite sociali) potrebbe determinarsi financo un effetto regressivo per le casse erariali, ovvero la formazione, e conseguente utilizzo, di crediti Iva in capo alle organizzazioni.

Il giudizio prognostico di tale segno risiede nella ponderazione ad esito di combinato disposto dei seguenti fattori intrinseci al fenomeno, il primo di estrazione normativa, il secondo di natura operativa:

  1. l’aliquota Iva sugli importi da “operazioni attive” (10%) tende ad essere inferiore a quella mediamente scontata sugli acquisti necessari al servizio di mescita (vino, succhi di frutta, acqua minerale, liquori sono ad Iva 22%,  caffè e birra al 10%);
  2. l’approccio di conduzione dell’attività, vocato eminentemente al servizio della socialità, al contrasto a situazioni di marginalità, al coinvolgimento delle persone su iniziative di partecipazione, comunità e solidarietà tende ad annullare la divaricazione di importo dei volumi generati, rispettivamente, dalle operazioni attive (somministrazione) e da quelle passive (acquisti funzionali), impedendo in tal modo il prodursi di un effetto di leva sulle prime tale da garantire la formazione di debiti Iva (come viceversa accade per gli operatori di mercato, la cui tensione “naturale” al (maggior) profitto consente di superare l’effetto drenante generato dall’aliquota Iva in uscita minore mediamente a quella in entrata).

Cosicché, con riguardo a tali attività, nel migliore dei casi si assisterebbe ad un esito “neutrale” per il fisco, al pari delle operazioni destinate all’esenzione, e in una prospettiva meno favorevole per l’interesse pubblico, a conseguenze negative per le casse erariali.

Questo riflesso, tuttavia, non deve stupire, essendo nel novero dei ragionevoli effetti di torsione che vanno a  prodursi allorché un disciplinare nato per regolare un dato fenomeno è impropriamente convertito al governo di una fattispecie solo apparentemente affine, ma a ben guardare del tutto dissimile.

Credit foto: camera.it

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