Non solo dazi
Chi decide in Europa vede la sostenibilità come un costo
Non ha dubbi la professoressa Chiara Mio, direttrice del Sustainability lab dell’università Ca’ Foscari: «Semplificare era doveroso, ma tornare indietro così, alzando la soglia e diminuendo il numero delle aziende, è qualcosa di devastante». L’analisi è frutto dello studio condotto con la società Bdo sui bilanci di 80 aziende redatti secondo la direttiva Csrd

La professoressa Chiara Mio, direttrice del Sustainability lab dell’università Ca’ Foscari di Venezia, studia da vicino il comportamento delle imprese. Per capire come e quanto il tema della sostenibilità sia centrale per la competitività di tutto il sistema industriale e sociale europeo. Queste analisi diventano ancora più utili mentre c’è chi chiede di abolire l’intero Green deal, come ha fatto ad esempio il Ministro dei trasporti, Matteo Salvini, commentando l’accordo sui dazi dell’Ue con Trump.
La ricerca
Il centro universitario e la società Bdo, specializzata nei servizi professionali alle imprese, hanno infatti avviato un osservatorio sulle Dichiarazioni di sostenibilità di 80 società italiane di diversi settori produttivi e quotate sul listino Euronext Milan. Il campione è stato selezionato tra le aziende che quest’anno, per la prima volta, hanno dovuto inserire tali Dichiarazioni nei loro bilanci, in quanto ricadevano nell’applicazione della Csrd.

Parliamo dell’ormai famosa direttiva europea sulla rendicontazione della sostenibilità. L’osservatorio ha evidenziato, tra l’altro, che la maggiore quantità di informazioni – spesso ridondanti – di questi documenti riguarda i temi del climate change e della forza lavoro. Ancora una volta, quindi, la Esse di Esg, vista come la responsabilità sociale verso l’esterno, risulta penalizzata. La strada della doppia materialità, perno di questa nuova impostazione e salutato da tutti come una vera innovazione, è ancora in salita.
Professoressa, al di là dei singoli risultati del vostro osservatorio, ci può ricordare che cos’è la doppia materialità e perché è importante che sia stata introdotta?
La doppia materialità ha consentito di portare la sostenibilità dentro i conti delle aziende, cioè di trasformarla in euro. Se prima si privilegiava l’impatto dell’azienda al di fuori, evidenziando solo esternalità e impegni (la cosiddetta ottica inside out), questa nuova prospettiva (outside in) ha portato di prepotenza, in maniera forte e ineludibile sul tavolo dei Consigli di amministrazione l’impatto dei temi di sostenibilità sui conti. La sostenibilità ha perciò smesso di essere un argomento di nicchia o per pochi addetti ai lavori.
Era allora così necessario semplificare, intervenire in questa maniera?
L’esigenza di una semplificazione era sentita perché l’impostazione precedente allo Stop the clock – la parte del decreto Omnibus che ha previsto uno slittamento dell’entrata in vigore delle nuove norme e una diminuzione del numero di aziende coinvolte – era troppo farraginosa e di dettaglio. Però la semplificazione proposta va all’estremo opposto. È auspicabile un equilibrio che stia nel mezzo.
Non è che così facendo si invitano le aziende a prestare meno attenzione alla sostenibilità?
C’è un’idea, presente in parte della politica e delle imprese, che la Csrd e quanto ad essa collegato sia solo un costo. Di conseguenza, la semplificazione che è stata avviata ha più o meno seguito questa idea.
Come?
La semplificazione attualmente prevista è addirittura peggiorativa rispetto al punto di partenza dell’Nfrd (la prima direttiva sulla sostenibilità, operativa dal 2017, ndr), che ha istituito l’obbligo per le grandi aziende quotate di pubblicare la Dichiarazione non finanziaria (la “vecchia” Dnf). Una cosa del genere può succedere solo quando si continua a ritenere la sostenibilità come un adempimento, senza riuscire a coglierne le grandi opportunità strategiche.
Perché questo è sbagliato?
Così la partita viene giocata tutta in difesa, con l’idea di invitare a “fare il meno possibile”, proprio perché tutto questo viene visto solo come un fardello. Invece la sostenibilità è una grande opportunità per proporre nuovi prodotti e servizi, per ampliare il mercato, per risparmiare e per attivare investimenti trasformativi.
Dal punto di vista della sostenibilità sociale, la Esse della sigla Esg, che cosa è emerso nel vostro studio?
Come è noto, la Esse è per definizione meno misurabile, a differenza della E di environmental. Quest’ultima è più scientifica perché riguarda temi ambientali misurabili con criteri di chimica, biologia e altre discipline scientifiche. La Esse ha meno misure assolute.
Ad esempio?
Un alto livello di turnover all’interno di un’azienda è un valore oppure no? Dipende dai contesti. In assoluto, non si può dire se un’azienda che registra tanti cambi di personale abbia più problemi rispetto a un’altra con pochi innesti. Ci sono luci e ombre in entrambe le situazioni. Questo per dire che le misure della S sono molto relative.
Come se ne esce?
In questa fase di applicazione della Csrd si rischia, come è emerso nel nostro studio, di entrare in possesso di una grande mole di informazioni. Fra qualche anno, quando avremo un data set che ci permetterà di fare comparazioni di settore, riusciremo ad avere un po’ più di oggettività. Perlomeno di benchmark con il singolo settore o con le aziende migliori. In questo momento non si riesce a leggere, manca una storia e manca un termine di paragone.

Immaginiamo che sia la stessa cosa rispetto all’impegno con la comunità e il territorio.
È così. Bisognerà aspettare almeno due o tre anni per avere a disposizione la gradualità e i dati per dare informazioni più precise.
Ma le aziende che hanno fatto quest’anno il bilancio di sostenibilità secondo la Csrd, l’anno prossimo già non dovranno più farlo?
La fascia di aziende sotto i 1.000 dipendenti non sarà più obbligata.
Questo sembra un corto circuito incredibile.
Lo stop and go è un pessimo segnale. Le aziende si erano quasi “rassegnate” a dover imparare a rendicontare in un certo modo. Ribadisco, alleviare la mole di lavoro di base era doveroso, ma farlo così, alzando la soglia e diminuendo il numero delle aziende incluse nella normativa, è qualcosa di devastante. Si poteva mantenere il perimetro delle aziende obbligate e alleggerire il carico di lavoro.
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Foto in apertura, un’immagine dalla Conferenza sul futuro dell’Europa (sito Ue), foto all’interno, la prof. Chiara Mio (ufficio stampa Bdo)
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