Civismo
Chiara Tommasini: «I volontari non chiedono soldi, ma riconoscimento sociale e politico»
Intervista alla presidente dell'associazione nazionale dei Centri di servizio per il volontariato appena riconfermata per un nuovo mandato di quattro anni: «Il volontariato in crisi? Siamo nel mezzo di una grande trasformazione, ma la voglia di partecipare non è sparita, va però alimentata nel modo corretto»

Lo scorso giugno è stata confermata, per acclamazione, alla guida di Csvnet, l’associazione nazionale dei Centri di servizio per il volontariato (Csv). Veronese, classe 1975, un passato lungo 20 anni da volontaria del soccorso e di protezione civile in una Pubblica assistenza dell’Anpas e un presente nell’organizzazione di volontariato Aiuto Bambini Betlemme (di cui è vicepresidente) che raccoglie fondi e realizza progetti per il Caritas Baby Hospital di Betlemme, Chiara Tommasini guida una rete di 49 Csv con oltre 300 sedi operative, circa 550 volontari impegnati nella governance, quasi 700 addetti e più di 10mila enti associati a livello aggregato. Da quali presupposti e con quali obiettivi parte il nuovo mandato? L’intervista parte da qui.
Presidente, quali le priorità per i prossimi quattro anni di lavoro?
Le direttrici principali sono quattro e rappresentano la bussola per la creazione di servizi per lo sviluppo e l’autonomia del volontariato sui territori. La prima è la promozione del ricambio generazionale e la rigenerazione delle leadership all’interno delle organizzazioni. La seconda è il sostegno all’acquisizione di competenze e al protagonismo del volontariato nella co-programmazione delle politiche di welfare con particolare riferimento alla salute. Terza: la promozione del volontariato nel contrasto allo spopolamento delle aree interne e infine la valorizzazione del volontariato all’interno di modelli di economia civile. Lungo queste quattro linee di sviluppo abbiamo già cominciato a muoverci. Per esempio, entrando nell’Alleanza delle case di comunità sul versante sanitario o attivando un’analisi sulla nostra base associativa sul ruolo dei giovani all’interno delle organizzazioni.
L’Istat racconta di una fase di crisi significativa… Come sta oggi il volontariato in Italia?
Non parlerei di crisi, ma di evoluzione. Accanto ai modelli associativi classici, vediamo sempre più frequentemente forme di impegno civico variegate, mobili, ibride e anche temporanee. Ma non per questo meno efficaci e meno significative. Spesso la partecipazione cambia anche dentro gli stessi enti di terzo settore (Ets) e vediamo crearsi modelli organizzativi nuovi con funzionalità diverse. Il volontariato digitale per esempio sta crescendo. Fino a quattro o cinque anni fa praticamente non esisteva. Oggi, attraverso le piattaforme on line, volontari che vivono per esempio a Cuneo possono mettere le loro competenze al servizio di associazioni che si trovano in Sicilia. Oppure penso ai tanti gruppi informali che svolgono attività sociali nei quartieri. Difficile censirle, ma esperienze di questo genere sono in aumento. Del resto, la voglia di partecipare non è venuta meno. Come dice il Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, il 30% dei giovani si impegna in forme di volontariato e il 60% ha fiducia nel Terzo settore; è una fiducia saltuaria? Sì; è una fiducia che va alimentata? Certo; ma non possiamo raccontare che questo è un Paese di indifferenti, perché non è così.
Il sistema dei Csv è al passo con questi cambiamenti?
Questa per noi è la domanda centrale. Nel 2027 il network dei Csv compirà 30 anni. Oggi siamo in un momento di transizione. Lo dico in maniera netta. Ci stiamo trasformando da “erogatori di servizi di base” a promotori di sviluppo del volontariato ad ampio spettro. Non ci rivolgiamo quindi più solo alle organizzazioni di volontariato, ma guardiamo anche ai singoli volontari come prevede la norma. Singoli che possono stare dentro gli enti di Terzo settore, ma anche al di fuori di questo perimetro. Per esempio, nelle scuole, per esempio nelle Asl, per esempio nei comuni, nelle fondazioni di terzo settore, nei comitati.
Dopo otto anni è arrivato finalmente il via libera al decreto per la certificazione delle competenze nel volontariato: è questa la strada da seguire per aumentare i tassi di partecipazione civica nel nostro Paese?
Abbiamo aspettato tanto, ma è certamente una buona notizia. Vedremo che effetti concreti produrrà. La strada è corretta. I volontari non chiedono soldi, chiedono che le loro competenze vengano riconosciute dalle pubbliche amministrazioni, ma anche dalle aziende private. E questo vale per i giovani, e non solo per loro. In generale, poi, quello che chiediamo alla politica è di tenere presente il volontariato come interlocutore nella costruzione delle governance a livello locale e centrale.
I centri di servizio si sostengono grazie al Fondo Unico Nazionale (Fun), alimentato dalle fondazioni di origine bancaria. Il Fun è gestito dall’Organismo Nazionale di Controllo (Onc). A quanto ammonta questo Fondo oggi?
38 milioni di euro l’anno.
Sono sufficienti?
La dico in battuta: Non bastano mai. E non perché aumenti il numero dei Csv, quanto perché cresce quello dei soggetti che usufruiscono dei nostri servizi: oltre 86mila, quando cinque anni fa erano circa 50mila, giusto per avere un termine di confronto. Il nostro scopo e quello delle Fondazioni di origine bancaria è il medesimo: il benessere delle comunità. Per questo è decisiva la collaborazione. La partita va giocata insieme sui territori ognuno per la propria mission e peculiarità.
A quanto dovrebbe arrivare il Fondo Unico dal suo punto di vista?
È difficile dare una cifra. Quando, ogni anno, facciamo l’analisi dei bisogni come da linee guida della Fondazione Onc coinvolgiamo oltre 20mila enti (tra reti, associazioni, fondazioni, comuni e altri stakeholder del territorio) e quello che emerge è un quadro di necessità gigantesco e forse rispondere a tutto non sarebbe nemmeno proprio dei Csv e quindi, come dicevo prima, i fondi non bastano mai. Ma i Csv creano prossimità e partenariato nei territori e l’esito è quello di suscitare una condivisione di risorse (spesso non solo economiche ma di competenze e collaborazioni) che genera un ulteriore valore di circa 10 milioni di euro all’anno se dovessi quantificare. E tutto questo perché generiamo bene comune con tutti gli attori delle comunità.
Le attività di progettazione nei territori da parte dei singoli Csv non rischiano di drenare risorse alle singole associazioni?
Le risorse ottenute grazie alla partecipazione a bandi della Pa, piuttosto che delle Fondazioni nei vari territori vengono poi sempre utilizzate per aumentare e migliorare la nostra attività al servizio del volontariato. Di certo non ci mettiamo a fare cose che non ci competono o che ci mettono in concorrenza con altri soggetti del terzo settore, questo per noi è un valore. Ciò detto non siamo un organo verticistico, ma collegiale. E ogni Csv locale ha una sua autonomia.
Come sono i rapporti con il Forum del Terzo settore?
Il rapporto con il Forum è strategico, perché è il principale organo di rappresentanza del nostro mondo. Noi abbiamo una funzione diversa. Il confronto è aperto e non sempre siamo concordi su tutto. Ma è fondamentale fare sintesi e condividere strategie. D’altra parte, il nostro è un sistema complesso, dove ci sono pluralità di punti di vista, che riflettono la ricchezza e la vivacità delle comunità. Una ricchezza che va preservata, ma anche orientata alla promozione dello sviluppo inclusivo dei territori. Che è l’obiettivo finale sia per noi, sia per il Forum.
Si può usare la Carta docente per abbonarsi a VITA?
Certo che sì! Basta emettere un buono sulla piattaforma del ministero del valore dell’abbonamento che si intende acquistare (1 anno carta + digital a 80€ o 1 anno digital a 60€) e inviarci il codice del buono a abbonamenti@vita.it