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Ci vorrebbe una clinica del legame per curare il mito dell’autonomia

di Redazione

Ormai è innegabile l’aumento esponenziale delle richieste di aiuto rivolte ai servizi psichiatrici. Questo dato reale viene spesso citato per giustificare le difficoltà del settore: l’affluenza supera di gran lunga le capacità di risposta delle istituzioni. Miguel Benasayag, psichiatra argentino che opera a Parigi, parte dallo stesso dato ma vi legge un cambiamento qualitativo, un malessere che siamo impreparati ad affrontare. Ora Benasayag prende a prestito il termine di Spinoza per parlare di Epoca delle passioni tristi (titolo del saggio edito da Feltrinelli), ovvero della tristezza del nostro tempo che viene dall’impotenza e dalla disgregazione. Non c’è più il mito del futuro («le magnifiche sorti e progressive») ma la minaccia del futuro. Inquinamenti, nuove malattie e ora anche la crisi economica riempiono il cielo di nuvole nere. Se le scienze progrediscono, contemporaneamente cresce la sfiducia e la delusione nei loro confronti. Certo non può la psichiatria dare risposta a tutti i mali sociali?
Se è in crisi il principio di autorità perché prevale il mito della libertà individuale. Se si è persa la connessione tra autorità ed anteriorità (cioè il valore dell’esperienza) non basterà una psicoterapia a ristabilirla socialmente. Certo che oggi la psichiatria arretra. Rinuncia spesso alla diagnosi, opera attraverso classificazioni. Ma con la classificazione e l’etichetta si crede di rendere visibile l’essenza di un disturbo ma in realtà si rischia di rendere invisibile la persona, di ridurla al sintomo (bersaglio del farmaco). Benasayag non ha una risposta, semplicemente ci dice che non possiamo far finta che il mondo non sia cambiato. Propone come terreno di lavoro “una clinica del legame”, abbandonando il mito sociale della autonomia.
Pensando alla nostra realtà italiana che ha sommessamente ricordato il trentennale della legge 180/1978, non posso non cogliere la “medicalizzazione” dei servizi pubblici, l’esplosione del consumo farmacologico. Soprattutto col passaggio amministrativo (1998) della psichiatria agli ospedali (Spdc), il lavoro territoriale (Cps) è stato sottovalutato e sottodimensionato. Siamo dunque al paradosso che, di fronte ad un aumento della domanda a cui potrebbe corrispondere un’autorevolezza sociale, un investimento, una centralità, assistiamo invece ad una implosione della psichiatria pubblica schiacciata tra burocrazia ospedaliera, case farmaceutiche, restrizioni di budget e personale. Occorrerebbe una ripresa di pensiero ed azione. Occorrerebbero nuove “passioni gioiose” come quelle della stagione di Basaglia.

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