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CINA. Amnesty lancia l’allarme Tibet

Il sentimento antitibetano e le violazioni nei confronti di questa minoranza da parte del governo cinese stanno assumendo proporzioni inaccettabili. Amnesty International invoca l'intervento dell'Onu

di Redazione

In Cina, negli ultimi 12 mesi contadini, nomadi, studenti, operai e intellettuali si sono uniti alle proteste dei monaci e delle monache contro le crescenti violazioni dei diritti umani, l’intensificazione della campagna di «educazione patriottica» e la repressione. Le autorità cinesi continuano a descrivere le proteste come episodi isolati animati da intenti separatisti e che nulla hanno a che vedere coi diritti umani.
Amnesty International ha chiesto oggi al governo cinese di consentire l’ingresso in Tibet agli osservatori sui diritti umani e ai giornalisti e di porre fine alla campagna «Colpire duro», lanciata in vista delle proteste per il 50° anniversario della fallita rivolta del 1959. L’organizzazione per i diritti umani ha sottolineato che le crescenti misure di sicurezza poste in essere dalle autorità cinesi rischiano di esacerbare una situazione già tesa. Roseann Rife, vicedirettrice del Programma Asia – Pacifico di Amnesty International ha dichiarato a riguardo «misure estreme di sicurezza possono solo aumentare la tensione e causare ulteriori violazioni dei diritti umani». Negli ultimi 12 mesi il controllo sulle informazioni provenienti dal Tibet è stato rigido. I giornalisti stranieri hanno potuto visitare la regione solo in visite guidate di gruppo organizzate dal governo, mentre agli osservatori dell’Onu sui diritti umani l’accesso è stato negato del tutto.
Nonostante la chiusura della regione e il recente aumento della presenza militare, Amnesty International sta ricevendo segnalazioni di violazioni dei diritti umani ai danni della popolazione tibetana: detenzioni e arresti arbitrari, prolungati periodi di carcere, negazione del diritto di espressione, associazione e riunione nonchè del diritto dei tibetani di preservare cultura, linguaggio e religione.
«Le autorità cinesi devono immediatamente “aprire il Tibet“, consentire l’ingresso agli osservatori sui diritti umani e alla stampa internazionale e invitare gli esperti dell’Onu sui diritti umani a visitare la regione» ha affermato Rife.
In un «libro bianco» diffuso un mese fa, il governo di Pechino ha sostenuto che tutte le proteste degli ultimi mesi non sarebbero altro che tentativi, da parte di forze anti-cinesi occidentali, di provocare disordini e di sostenere la «cricca del Dalai Lama», con l’obiettivo di ostacolare e dividere la Cina. Rife ha concluso sostenendo che «se questa è la loro posizione, significa che le autorità cinesi non riescono a riconoscere la profondità del radicato risentimento della popolazione tibetana».

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