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Cina, le due chiese ora sono una

La svolta del Papa verso Pechino. Che cosa cambierà.

di Andrea Tornielli

Monsignor Giuseppe Zheng Changchengsi, 89 anni, vescovo ?patriottico? di Fuzhou che ha trascorso quasi trent?anni nei campi di prigionia cinesi, l?estate scorsa aveva detto all?inviato del mensile 30Giorni di avere due desideri, uno grande e uno piccolo piccolo. Il primo: «Vorrei che tutti i cinesi avessero l?occasione di incontrare Gesù». Il secondo: «Vorrei che il Papa mi mandasse una lettera, un messaggio, un biglietto per dirmi che sa che tutto quello che ho fatto, con tutti i miei errori, l?ho fatto per amore alla Chiesa. Così potrei morire contento». In queste commoventi parole è racchiuso tutto il significato dello storico messaggio di Giovanni Paolo II al popolo cinese, del mea culpa per gli errori commessi dai missionari, dell?apertura di credito verso le autorità di Pechino. È come se Wojtyla quel biglietto l?avesse mandato a tutti i vescovi, a tutti i preti, a ogni singolo fedele cattolico della Cina. Al Papa stanno a cuore i cristiani cinesi, sta a cuore l?unica Chiesa cattolica tuttora divisa in due comunità: quella clandestina che, nei primi anni 80, non fidandosi delle aperture di Deng Xiaoping, decise di rimanere nelle catacombe, e quella ufficiale o ?patriottica?, che scelse invece di venire alla luce e che è stata per lungo tempo controllata dal regime comunista. Non esistono due chiese nell?immensa Repubblica che fu Celeste impero, come invece ancora oggi sottolineano molti commentatori. La Chiesa è una e lo testimonia il fatto che la stragrande maggioranza dei vescovi ?patriottici?, nominati con l?approvazione del governo e consacrati autonomamente, è stata poi riconosciuta dalla Santa sede e che entrambe le comunità credono e praticano un?identica fede. Solo tenendo presente la non facile realtà in cui vivono dieci milioni di cattolici cinesi si può dunque comprendere l?urgenza del ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Cina e Vaticano, fortemente voluta da Karol Wojtyla. Lo scopo del tentativo papale è quello di migliorare le condizioni di vita dei cristiani e di permettere che l?immenso desiderio di monsignor Zheng inizi a realizzarsi: «Vorrei che tutti i cinesi avessero l?occasione di incontrare Gesù». Gli esiti diplomatici sono incerti, e dalle prime risposte non sembra proprio che Pechino intenda riaprire una porta rimasta chiusa per cinquant?anni: il governo cinese, pur giudicando positivamente il messaggio del Pontefice, ha infatti detto di pretendere ulteriori scuse dal Vaticano. Eppure un primo effetto le parole del Pontefice l?hanno ottenuto. È un germoglio, ma è già segno di un miracolo. Lo riferisce Fides, agenzia di stampa della Congregazione per l?evangelizzazione dei popoli, fonte non sospettabile di voler blandire il regime comunista cinese avendolo più volte attaccato duramente e avendo sempre puntualmente riferito delle persecuzioni patite da vescovi e preti della comunità clandestina. Fides ha pubblicato la testimonianza di un sacerdote della Chiesa non ufficiale, attualmente agli arresti domiciliari, controllato dalla polizia ogni giorno, che dice: «Il Papa ci ha fatti riunire, ufficiali e non ufficiali: solo lui ha questa forza, questo coraggio e questa capacità di rendere vivo lo spirito del cristianesimo, cioè l?amore e la verità». E un intellettuale cattolico, sempre appartenente alla Chiesa clandestina, ha aggiunto: «Il Papa ha fatto emergere la nostra dignità come popolo cinese, ci ha trattato con un rispetto che solo lui poteva offrirci. Forse è la prima volta che noi cattolici cinesi ci troviamo finalmente uniti insieme, per gioire di questa dignità. Speriamo anche noi di avere la visione ampia e il cuore grande come il Santo Padre». Info: www.fides.org


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