La cultura che salva

Col teatro in carcere per non aver paura delle emozioni

A ottobre la compagnia Matricola Zero torna nella casa circondariale Due palazzi di Padova con il laboratorio teatrale realizzato nell'ambito del progetto Per aspera Ad Astra – Come riconfigurare il carcere attraverso la cultura e la bellezza. Il laboratorio è un percorso fatto di conoscenza reciproca che, attraverso il racconto di eventi personali, ricordi e storie, permette ai detenuti di comprendere meglio la loro condizione

di Rossana Certini

Si può cambiare in carcere? Si può modificare il modo di abitare questo luogo? Sono queste alcune delle domande che, ormai da tre anni, i ragazzi della compagnia teatrale Matricola Zero si pongono ogni volta che entrano nella casa circondariale Due Palazzi di Padova per tenere il loro laboratorio di recitazione con i detenuti della sezione di alta sicurezza. Un’esperienza nata nell’ambito del progetto Per aspera Ad Astra – Come riconfigurare il carcere attraverso la cultura e la bellezza promosso da Acri e sostenuto da alcune fondazioni di origine bancaria.

«Appena ci siamo affacciati al mondo dell’alta sicurezza», spiega Federica Chiara Serpe, una dei soci fondatori di Matricola Zero, «ci è stato subito chiaro che stavamo portando il teatro, dunque la bellezza, in un luogo in cui era non solo utile ma soprattutto necessario. Lo sguardo di chi sconta una pena detentiva molto lunga o un “fine pena mai” porta in sé il pensiero che non possa esserci una via di uscita non solo dalla struttura detentiva ma, anche, dai propri pensieri. Ognuno di loro si ripete in un’auto-narrazione sempre uguale a se stessa, sedimentata nel tempo».

I detenuti della sezione alta sicurezza, condannati per reati di tipo associativo, sono sottoposti a una sorveglianza più stretta rispetto agli altri. A Padova, per esempio, non possono accedere al laboratorio di pasticceria “Giotto oltre la dolcezza” attivo all’interno della casa circondariale.

L’esperienza teatrale permette di avvicinarsi ai racconti del presente di ogni singolo detenuto. Persone spesso recluse da decenni e per questo cambiate nel profondo dalla detenzione

«Ricordo lucidamente la prima volta in cui sono entrata in carcere», racconta l’attrice Alice Centazzo, «ho provato la sensazione di sprofondare in un abisso. Superare tutti quei cancelli che si chiudevano alle mie spalle. Passare i controlli. Lasciare telefono, documenti ed effetti personali. Entrare in questo luogo altro rispetto a quelli che sono abituata ad abitare, è stato estraniante. Anche se i corridoi che si attraversano sono lunghi e dritti avevo la percezione di andare verso il basso. Come se stessi abbandonando veramente qualcosa fuori per entrare in un luogo da dove, una volta entrata, non sarei riuscita a uscire da sola. Poi l’incontro con i detenuti, con chi abita quelle mura, mi ha fatto cambiare la percezione del luogo».

Il percorso teatrale sviluppato da Matricola Zero, che a ottobre 2023 inizia il suo quarto anno di lavoro laboratoriale con i detenuti, ha tra i suoi scopi quello di trovare una modalità di confronto umano attraverso la recitazione, lavorando sulla creazione di una rete sociale interna alla struttura che permetta ai detenuti di crescere e percepire un cambiamento di identità che passa attraverso il riconoscersi come attori che compiono delle scelte e delle azioni fuori e dentro la scena.

«La scorsa estate abbiamo scelto di concludere il laboratorio con uno spettacolo aperto al pubblico esterno dal titolo L’isola», prosegue Serpe, «un titolo significativo che evoca una terra circondata, chiusa, isolata ma anche un flusso costante dato dall’elemento acquatico, che porta movimento e elementi nuovi sulla riva. L’isola diventa la metafora di una condizione umana. Di uno stare particolare che in carcere, soprattutto per i nostri attori dell’alta sicurezza, si traduce in una solitudine concreta: in questo stato consolidato negli anni, il monologo interiore diventa uguale a sé stesso, molto difficile da disinnescare».

Quando si parla dei detenuti, infatti, si raccontano spesso solo le ragioni per cui sono finiti agli arresti. L’esperienza teatrale permette di avvicinarsi ai racconti del presente di ogni singolo partecipante al laboratorio. Persone spesso recluse da decenni e per questo cambiate nel profondo dalla detenzione.

Un momento dello spettacolo (foto: Serena Pea)

«Lavorando sullo studio del testo per preparare lo spettacolo», prosegue Serpe, «è stato possibile costruire una relazione attraverso la metafora teatrale. Non sappiamo nulla della vita precedente dei nostri allievi. Sappiamo solo che hanno trascorso gran parte della loro vita in detenzione, alcuni anche al 41bis, e che hanno una grande voglia di raccontarsi e mettersi in gioco. È la fiducia la parola chiave della relazione che abbiamo creato. Costruiamo fiducia mostrando loro che, attraverso la recitazione e il movimento dei corpi, possiamo offrirgli degli strumenti per reggere la durezza della reclusione».

Il laboratorio teatrale è un percorso fatto di conoscenza reciproca che, attraverso il racconto di eventi personali, ricordi e storie, permette ai detenuti di comprendere meglio la loro condizione. Inoltre trasforma in loro l’idea punitiva della reclusione in ricostruzione di vita.

«Il percorso teatrale consente di creare relazioni empatiche, spesso rare in quei luoghi», conclude Centazzo, «abbiamo compreso che qualcosa in loro era cambiato quando durante le repliche pubbliche de L’isola hanno spontaneamente cambiato una parte dello spettacolo. Uno dei detenuti, infatti, è stato operato al ginocchio qualche settimana prima della messa in scena. Ci teneva moltissimo a essere sul palco. Così ha chiesto ai medici di poter uscire prima dall’ospedale. Abbiamo costruito un personaggio addosso a lui. Un protagonista che per tutto lo spettacolo era seduto. A un certo punto il testo prevedeva che gli attori si chiudessero in un unico abbraccio, a formare un grande cerchio, e il personaggio seduto li guardava da lontano e sorrideva. Ma durante la rappresentazione uno degli attori, in autonomia, ha deciso di staccarsi dal gruppo e andare ad abbracciare l’amico seduto. Abbiamo avuto, così, la prova provata che il teatro li ha aiutati a sostenersi a vicenda e a imparare a non avere timore delle loro emozioni. Sono loro che ogni anno ci danno la carica per ricominciare un nuovo laboratorio teatrale insieme».

Nella foto di apertura cinque degli attori della compagnia teatrale e sullo sfondo il Due Palazzi (Foto: MatricolaZero)

Partecipa alla due giorni per i 30 anni di VITA

Cara lettrice, caro lettore: il 25 e 26 ottobre alla Fabbrica del Vapore di Milano, VITA festeggerà i suoi primi 30 anni con il titolo “E noi come vivremo?”. Un evento aperto a tutti, non per celebrare l’anniversario, ma per tracciare insieme a voi e ai tanti amici che parteciperanno nuovi futuri possibili.