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Come guardare i bambini

Fotografia. Cinque maestri dell’obiettivo ci insegnano a fare “clic”

di Redazione

Fotografare i bambini. Un impegno. Un delicato equilibrio tra l?immagine reale della loro innocenza, della loro storia, e il rischio sempre presente della strumentalizzazione, dello squallido. Soprattutto in questo periodo, in cui la cronaca ci racconta di piccole anime rubate per il ?piacere? di adulti pervertiti. Ora c?è quasi paura nel fotografare i bambini: si teme di far del male. È passato il tempo dei vari Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau o Enrico Patelloni, che riprendevano i bambini per quel che erano: l?allegria, la spensieratezza, il gioco. Nonostante le tremende situazioni che si trovavano a vivere nel periodo della guerra o subito dopo. Da sempre i bambini sono ritenuti i soggetti più belli. Oggi sono diventati anche i più impegnativi, perché pare si sia persa la spontaneità delle foto. Ormai è passato il tempo in cui si credeva che uno scatto ritraesse l?oggettiva realtà. Si può fare male anche solo con un?immagine. Ogni scatto un rapporto Per questo abbiamo intervistato cinque famosi fotografi, che per professione si occupano di ritrarre le storie difficili del nostro mondo, in particolare le storie dei bambini. Con tutta la tecnica, l?esperienza, ma soprattutto tutta la loro etica, professionale e umana. Perché dietro ogni scatto c?è sempre un rapporto. Che può essere di simpatia, ma anche di sfruttamento. Paolo Pellegrin ha appena pubblicato un libro di immagini sul disagio minorile: scatti da Sarajevo, Kampala in Uganda, Bucarest e Mostar. Città in cui, almeno apparentemente, c?è ancora poco spazio per i piccoli. Eppure basta guardare la foto in copertina per capire che cosa vuol dire simpatia nei confronti del soggetto. Un bambino a capo chino che ?scrocca? un passaggio a un tram in una città senza orizzonte. «Non è solo un?immagine disperata», commenta Pellegrin. «È una foto dinamica, che racconta di una ?ragazzata?: un bambino che si ingegna per farsi trasportare». Come un bambino qualsiasi. Anche se le altre immagini del libro, realizzato su commissione dell?Avsi (Associazione volontari per il servizio internazionale), sono ben più crude. «Ma mai violente», continua l?autore. «Per poter scattare queste immagini senza fare violenza, occorre condividere un po? la vita di quei bimbi: stare con loro qualche giorno, vedere come si muovono, mai imporgli una posa e riprenderli solo quando stanno facendo qualcosa di veramente ?bambinesco? e in cui sono totalmente impegnati». Queste le regole dettate da Pellegrin. Ma c?è anche chi è più critico. Uliano Lucas, anch?egli reporter di successo, parla di lobby della stampa, della vendita delle foto. «Ormai nessuno ti compra più una foto se non è di sangue», denuncia Lucas. «Ma io mi sono ribellato: preferisco guadagnare di meno, ma avere la certezza di non aver fatto del male. Soprattutto se è un bambino, che non è in grado di difendersi da solo». La cronaca di queste settimane ha proprio raccontato storie di bimbi che non sono stati in grado di difendersi. E di adulti che non sono stati in grado di prendere le loro difese. Per Lucas, se una persona non può acconsentire a farsi riprendere, non va ripresa. «È questa la prima violenza. Infatti, quando volete fotografare un bimbo, dovete mettervi alla sua altezza, magari anche spiegargli quello che state facendo. E mai riprenderlo se non naturalmente, così come viene». Dino Fracchia è tornato da poco dall?Albania, dove si è trovato di fronte a una situazione difficile. «Come ogni volta da quando faccio questo lavoro, da 22 anni». Il lavoro difficile di raccontare un?intera storia con un?immagine, «ma, soprattutto, di farlo in modo corretto, attraverso degli scatti che abbiano un fondo ?etico?, che portino in sé il rispetto del soggetto». Soprattutto se questo è un soggetto debole, come i bambini. «Non si può andare in una situazione ?difficile?, rubare delle immagini e andarsene: non sarebbe un lavoro da fotografo, ma da paparazzo. Con i bambini, in particolare, bisogna sforzarsi per capire e farsi capire, instaurare un rapporto: io faccio così, parlo con loro delle ore, gli spiego perché sono lì e mi faccio spiegare perché ci sono loro, qual è la loro storia. Solo allora mi permetto di scattare, perché solo così ho la certezza di fare un vero lavoro, che per prima cosa deve soddisfare me e la mia etica professionale». Squallido è facile… Come spiega Dino Fracchia, fotografare lo squallido o l?orrido è facile, perché sono soggetti che parlano da soli. «Ma il fotografo deve raccontare delle storie vere, non può imbrogliare: prima bisogna capire, per esempio, perché il bambino piange ed essere sicuri che lui lo voglia comunicare; solo allora si può pensare di riuscire a dare un?immagine significativa, che cioè sia specchio di una realtà». Francesco Zizola ha partecipato alla realizzazione del libro fotografico per i 50 anni dell?Unicef, ?Obiettivo per l?infanzia?, con la pubblicazione di sei storie di bambini ?in difficoltà?. Le vittime dell?industria del sesso in Thailandia, delle mine antiuomo in Angola, della guerra che li vede protagonisti involontari in Sierra Leone, della discriminazione in Bangladesh, del degrado e dello sfruttamento in Brasile. «Purtroppo è molto facile fare del male con un?immagine. Con lavori che sono frutto di una totale mancanza di sensibilità, foto scabrose e dal facile sensazionalismo». Prima della tecnica, dice Zizola, ci vuole un?etica: bisogna essere sempre consapevoli di correre il rischio della strumentalizzazione dell?immagine. «Io antepongo sempre a tutto una ricerca di senso, di un contenuto morale. Poi segue il mio linguaggio fotografico: contestualizzare l?immagine, mettere in primo piano il mondo, con il passato e il presente, in cui vive il bambino. In modo che questi elementi rimandino anche al futuro». Roby Schirer ha curato la mostra Reportage 97, che si apre il 12 luglio a Lucca. Si dedica anche alla cronaca e anche lui è convinto che sia facile fare del male con un obiettivo, soprattutto ai deboli che non possono difendersi. «Molte volte ho provato disgusto per ciò che stavo facendo, anche se io sono solo un ingranaggio di una macchina: io scatto, il giornalista pubblica e il pubblico legge». Racconta di quando si è reso conto che questo marchingegno si è rotto. «Ero in Polesine e dovevo fotografare la figlia davanti alla bara del padre rapito e ritrovato morto. Ho violato l?intimità di una persona, il suo dolore. Da allora mi son detto: ?Mai più?». E così è stato. Da allora il diritto di cronaca è stato per Schirer secondario rispetto alla tutela dei deboli, anche se, ammette, «non c?è un solo caso in cui si possa fare cronaca sui bambini senza violarne la sensibilità». E allora, per fotografare bene i bimbi occorre semplicemente avere il loro consenso, per non violarne l?intimità. Ma niente foto costruite: gli istanti devono sempre essere spontanei. Così come sono irripetibili. Dieci consigli d?autore per uno scatto delicato 1. La foto è sempre in qualche modo il furto dell?intimità del soggetto ripreso: occorre perciò entrare in rapporto con i bimbi, spiegando loro quel che si sta facendo [F. Zizola] 2. Rapportarsi con i più piccoli come se fossero loro i maestri che insegnano a chi fotografa la sensibilità tipica che li contraddistingue [F. Zizola] 3. Indagare nello sguardo del bambino per capire se ha accettato la presenza del fotografo [D. Fracchia] 4. Inquadrare i bambini alla loro altezza e mai riprenderli dall?alto [P. Pellegrin] 5. Fotografare il bambino mentre è occupato in qualcosa: gioco, sonno, pappa…[R. Schirer] 6. Fotografare sempre in una situazione spontanea, senza forzare mai una posa[P. Pellegrin] 7. Inquadrare tutto il corpo, perché tutto dice la sensibilità del bimbo, non solo il volto [U. Lucas] 8. Fare i primi piani senza che lui guardi in macchina [P. Pellegrin] 9. Lo sfondo della foto può essere il più disparato. Meglio se si tratta di un ambiente in cui il bambino solitamente si muove e si trova a proprio agio: cameretta, spiaggia, parco giochi… [R. Schirer] 10. Tenere la giusta distanza per evitare scatti improvvisi del soggetto che lo fanno uscire dall?inquadratura, dal fuoco, dalla luce. Una distanza tale che, attenzione!, impedisca al piccolo di distruggere la macchina


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