Report
“Come stai?”, ecco come hanno risposto i ragazzi e le ragazze delle periferie italiane
L’organizzazione umanitaria WeWorld pubblica il report “Diritti ai margini. Rimettere al centro il futuro di bambini e adolescenti delle periferie italiane”. A livello generale, le emozioni più provate sono felicità, rabbia, noia, ansia e confusione. Le risposte più negative sono rivolte verso la scuola e vengono dagli 11-13enni
di Redazione
Desiderio di riscatto, paura per l’economia delle loro famiglie, insoddisfazione verso la scuola, tanta ansia e inquietudine verso il futuro: WeWorld fotografa con il report “Diritti ai margini. Rimettere al centro il futuro di bambini e adolescenti delle periferie italiane” emozioni, paure, sogni e desideri di bambini e bambine, ragazzi e ragazze dagli 8 ai 19 anni, residenti nelle periferie di cinque città italiane dove l’organizzazione è attiva con i suoi centri per supportare i giovani e le loro famiglie e contrastare disuguaglianze, dispersione scolastica e povertà educativa.
Il Report è partito da una semplice domanda, “Come stai?”, fatta ai giovani delle periferie italiane coinvolti nei progetti di WeWorld, per poi analizzare la loro condizione, con contributi degli operatori che tutti i giorni lavorano con loro. I protagonisti del report sono coinvolti nei progetti di WeWorld a Milano (quartiere Barona) a Roma (San Basilio), Cagliari (Sant’Elia), Catania (San Cristoforo), Aversa, e sono stati interpellati sulla loro situazione socioeconomica ma soprattutto sulle loro emozioni e aspettative per il futuro: il risultato è una “fotografia” delle periferie italiane che ne mette in luce complessità e difficoltà ma anche desideri e speranze.
Ad emergere prima di tutto la necessità di ribaltare la prospettiva sulle periferie: «È ora di riconoscere la centralità e la dignità di persone e luoghi che da troppo tempo sono considerati ai margini: serve una visione trasformativa, che collochi le periferie italiane e i loro giovani al centro dell’agenda politica, sociale ed economica del Paese», commenta Dina Taddia, Ceo di WeWorld. «A rischiare di rimanere indietro, intrappolate nell’immobilità sociale, sono infatti soprattutto le nuove generazioni. Nelle periferie sociali e geografiche italiane il diritto al futuro dipenderà da quanto garantiremo il diritto all’educazione, scolastica ed extra scolastica, grazie all’azione congiunta di tutti gli attori della comunità educante. Maggiore sarà l’attenzione che daremo ai giovani, partendo dalle periferie, migliore sarà il futuro che offriremo alla nostra società».
«Dobbiamo», scrive l’organizzazione, «intervenire per garantire il diritto al futuro a tutti i bambini e le bambine, partendo da una scuola incentrata anche sul benessere, non solo sulle hard skills, che vada ad agire sulle diseguaglianze. Oggi invece non tutte le scuole sono uguali e il nostro sistema lascia indietro gli ultimi, chi vive ai margini (come le periferie dove interveniamo) non ha le stesse possibilità per costruirsi un futuro. L’educazione è un diritto che riguarda il pieno sviluppo della personalità umana, nonché condizione per l’esercizio e il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Garantire un’educazione inclusiva e di qualità ha benefici non solo sui singoli, ma su tutta la comunità. In questo senso, la scuola è un luogo fondamentale e rappresenta un potente strumento di contrasto alle disuguaglianze».
Le periferie si trovano un po’ dappertutto: dai quartieri nati abusivamente e ora sanati, lontani dai centri urbani, agli enormi complessi residenziali pubblici, situati a due passi dal centro storico, passando per le piccole località di montagna. In queste molteplici e diverse periferie sociali, le disuguaglianze si distribuiscono lungo i confini regionali, provinciali e comunali e sono tutte accomunate da minori opportunità formative, di accesso e partecipazione a un’educazione di qualità, incidendo sulle prospettive future, professionali e lavorative di tutto il tessuto sociale, ma in particolare dei e delle più giovani.
Per affrontare e contrastare queste disuguaglianze, è fondamentale mettere in campo interventi strutturali, che coinvolgano tutta la comunità educante, e che agiscano, allo stesso tempo, sulle competenze cognitive ed extra-cognitive e, soprattutto, sulla qualità dell’offerta culturale e formativa e sulle possibilità socioeconomiche dei territori. L’obiettivo è che il futuro delle nuove generazioni non sia segnato, fin da subito, dal luogo in cui nascono perché oggii nei territori che hanno minore offerta le competenze di studenti e studentesse sono più basse, come mostrato dai dati del report.
Per questo, nel report viene ripresa la proposta che WeWorld, a settembre, ha lanciato insieme al duo Mammadimerda formato da Francesca Fiore e Sarah Malnerich insieme alla petizione “Ristudiamo il calendario! Un nuovo tempo scuola non è più Rimandabile“, per una scuola aperta che tenga finalmente al centro i bisogni dei bambini, delle bambine e delle loro famiglie a partire dalla rimodulazione del calendario scolastico e dall’introduzione del tempo pieno.
Il tempo scuola è un tempo prezioso, soprattutto per chi vive in contesti svantaggiati. Ciò che serve è una scuola aperta, nei tempi e negli spazi, caratterizzata dalla qualità degli apprendimenti, da metodologie innovative che garantiscano lo sviluppo di competenze cognitive ed extra-cognitive, promuove il protagonismo attivo di bambini e bambine e contrasta le disuguaglianze.
Voci dalle periferie
“Come stai?” – questa la prima domanda posta per indagare il benessere generale dei e delle giovani. Il report vuole restituire una fotografia delle emozioni e della soddisfazione dei ragazzi e le ragazze rispetto a varie dimensioni della loro vita, dalla scuola al loro quartiere.
A livello generale, le emozioni più provate sono felicità, rabbia, noia, ansia e confusione; per quanto riguarda la soddisfazione, questa viene soprattutto dai rapporti con famiglia (“molta soddisfazione” per il 55,56%) e dal rapporto con amici/amiche (26,26%).
Le risposte più negative sono rivolte verso la scuola e vengono dagli 11-13enni (per il 55,10% sono poco/per nulla soddisfatti della scuola) e dai 14-16enni (20,41%).
Cosa pensano del futuro, i ragazzi e bambini delle periferie italiane?
L’indagine pur rilevando un mix di emozioni -felicità (49,49%), ansia (44,44%) e speranza (41,41%), seguite da sorpresa (38,38%) e agitazione (28,28%) – ci racconta che la loro idea di futuro è accompagnata, per quasi 3 giovani su 4, da ansia e inquietudine. Oltre il 43% dei ragazzi interpellati ha paura di non raggiungere i propri obiettivi nella vita; le preoccupazioni riguardano poi il fatto di “non guadagnare abbastanza soldi per vivere tranquillamente (38%), e non trovare lavoro (28%). Aspetti che mostrano un diffuso desiderio di riscatto e accesso a possibilità che possano favorire la mobilità sociale.
Inoltre, più del 27% dei partecipanti dichiara di preoccuparsi “spesso” per il lavoro dei propri genitori; il 41% “qualche volta”; dati più negativi si registrano tra bambini e bambine con background migratorio. In particolare, tra gli 8 e i 10 anni, 3 bambini/e su 4 (76,92%) si preoccupano “sempre, spesso o qualche volta” per la condizione economica della propria famiglia; queste preoccupazioni possono avere ricadute su salute e rendimento scolastico, come nella scelta di abbandonare la scuola per contribuire al reddito familiare.
Per quasi il 20% dei partecipanti l’Italia non è un Paese che si occupa del futuro di bambini/e e adolescenti; per gli interpellati, gli ambiti che dovrebbero essere migliorati sono l’educazione, la scuola e le condizioni economiche delle famiglie. Inoltre, dovrebbero essere create più opportunità di svago e luoghi per fare sport e socializzare. I/le giovani dei centri di WeWorld nelle periferie italiane manifestano la volontà di sganciarsi dalla condizione socioeconomica di partenza.
«Per chi proviene da un contesto familiare di fragilità, l’educazione rappresenta uno strumento essenziale di mobilità sociale, che permette di contrastare le disuguaglianze di partenza e di accedere a opportunità lavorative per uscire da condizioni di esclusione e povertà», conclude Taddia. «Se questa possibilità viene a mancare, aumenta il rischio di trasmissione intergenerazionale della povertà: infatti, i giovani che abbandonano gli studi precocemente sono disoccupati con maggiore frequenza rispetto ai coetanei. Il risultato è la creazione di un circolo vizioso in cui coloro che nascono in condizioni di vulnerabilità socioeconomica hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola, fatto che li rende più a rischio di disoccupazione e povertà. Infatti, percentuali molto elevate di abbandoni precoci si riscontrano laddove il livello d’istruzione e quello professionale dei genitori è più basso e nei nuclei con maggior deprivazione economica. Il rischio di povertà delle famiglie in cui i genitori hanno al massimo la licenza media è del 10,9% e l’abbandono degli studi prima del diploma riguarda il 22,7% dei e delle giovani di questi nuclei, contro il 5,9% di chi ha genitori con un titolo secondario. Con WeWorld crediamo che questa tendenza possa e debba essere ribaltata, per questo le nostre proposte per garantire il diritto al futuro delle nuove generazioni partono proprio dalla scuola».
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