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L’Italia indietro nella qualità dell’assistenza nel fine vita
Secondo il cosiddetto Quality of Deth Index il nostro Paese è al 21esimo posto per la capacità di dare dignità ai malati grazie alle cure palliative. Raffaella Pannuti, presidente di Fondazione Ant, sottolinea come «la sanità pubblica perde tempo e ignora il Terzo settore»
di Redazione
Da cinque anni una in Italia c’è una norma, la legge 38 sul diritto della persona a non soffrire, che a ben guardare gli ultimi studi internazionali sembra non incidere sulla realtà dei malati in fine vita. È quello che emerge da uno recente studio pubblicato da The Economist che misura la capacità degli Stati di dare dignità ai malati in fine vita grazie alle cure palliative. In base a questo Quality of Death Index l’Italia si trova al 21esimo posto su 80 Paesi esaminati.
Risultati alla mano Raffaella Pannuti, presidente di Fondazione Ant sottolinea come sia «imbarazzante notare come una valutazione sulla capacità italiana di curare la persona nella fase finale della vita sia all’attenzione internazionale e passi invece sotto silenzio nel nostro Paese».
Pannuti denuncia il fatto che «nonostante il ministero della Sanità abbia spesso ribadito il proprio appoggio alle organizzazioni non profit, le Asl locali mal sopportino la collaborazione con realtà come la nostra, creando disagi e di fatto abbandonando i malati e le loro famiglie nel momento più drammatico della morte di un loro congiunto». È accorata la presidente di Ant nel denunciare il suo sconforto che nasce dal «ricevere costantemente richieste di parenti di malati di tumore che – non trovando risposte né dal medico di base, né dalla struttura ospedaliera di riferimento del loro territorio – si spostano insieme al proprio congiunto malato dove Ant – come altre realtà attive a livello locale – può dare assistenza».
Fondazione Ant Italia onlus in oltre 37 anni di attività ha assistito a domicilio in modo completamente gratuito più di 110mila malati di tumore, grazie alla professionalità di 20 équipe medico-sanitarie multidisciplinari dedicate alle cure palliative che – ribadisce la fondazione – lavorano per la Fondazione e non operano a titolo volontario. «Il tutto con meno del 20% di denaro pubblico e nonostante l’opposizione o, nel migliore dei casi, l’indifferenza delle istituzioni sanitarie», ricorda Pannuti. «Ogni giorno riceviamo decine di lettere di ringraziamento di Parenti e siamo undicesimi in Italia per 5×1000 su 35.000 aventi diritto principalmente grazie al passaparola».
Ant nel 2014 ha assistito circa il 20% delle persone che sono morte di tumore a domicilio in Italia. «Come evidenzia la letteratura scientifica, le persone, se supportate nel modo adeguato, preferiscono morire a casa: noi riusciamo a far sì che il 78% dei nostri assistiti possa scegliere di morire a casa propria, rispetto al 58% della media nazionale», prosegue Pannuti. «Ciononostante diverse Asl e i medici di base di alcune zone del Paese non accettano la collaborazione con i nostri specialisti, sostenendo che il Servizio Sanitario Nazionale sia in grado di garantire da sé un supporto adeguato. Sono invece gli stessi malati a chiamarci quando si rendono conto che non c’è assistenza nei fine settimana, di notte, o nelle zone più impervie. Nell’assistenza di fine vita di un malato è necessario un gruppo multidisciplinare dedicato e operativo 365 giorni l’anno, H24, che solo realtà come la nostra sono in grado di garantire. Ho partecipato personalmente a decine di incontri con direzioni sanitarie – in Emilia-Romagna così come in Puglia – nei quali si diceva che su quel determinato territorio l’assistenza domiciliare e le cure palliative erano già organizzate, quando questi incontri erano invece sollecitati proprio da cittadini che quelle cure di fatto non le avevano mai ricevute. E ciò accade senza distinzione di colore politico ma in nome di un falso principio ideologico secondo il quale la sanità deve rimanere “pubblica”».
Raffaella Pannuti prosegue: «Non sono felice che le mancanza del nostro sistema, soprattutto a livello di singole Asl, vengano evidenziata dall’inchiesta di un giornale estero. Sono anni che denuncio questa situazione, le istituzioni sanitarie sono completamente indifferenti al calvario delle famiglie che hanno un proprio caro in fase terminale, pur proclamando roboanti percorsi di assistenza domiciliare, che si concretizzano solo a parole. Non c’è più tempo per le questioni di principio o i progetti pilota. È necessario che ci sia una presa di coscienza forte su questo tema e ci sia una valutazione reale dei Livelli Essenziali di Assistenza di ciascun territorio per valutare veramente la scelte che i direttori delle Asl hanno fatto, escludendo o limitando l’aiuto che la società civile vuole apportare in questo campo». E la domanda finale non può che essere: Chi ha il coraggio di stare con Ant?
In apertura foto di Sebastien Bozon/Afp/Getty Images
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