Non profit

Con Google Buzz l’hanno fatta sporca

I lati oscuri del gigante di Mountain View

di Redazione

In Italia è di fine febbraio la sentenza del tribunale di Milano che ha condannato a sei mesi di reclusione con la condizionale tre dirigenti di Google per non avere impedito nel 2006 la pubblicazione di un video che mostrava un minore con la sindrome di Down bersaglio di atti di violenza compiuti da quattro studenti di un istituto tecnico di Torino. È il primo precedente giudiziario a livello internazionale che attribuisce agli internet service provider la responsabilità per i contenuti caricati dagli utenti. Utenti che sono insoddisfatti per la nuova applicazione Google Buzz, il social network nato per combattere Facebook: oltre 180 milioni di utilizzatori di Gmail sono stati registrati in maniera coatta a Buzz che, senza permesso, ha reso pubbliche informazioni sensibili come l’elenco dei propri contatti. Utenti che iniziano anche a meditare sulla pseudo cyber guerra fredda condotta da BigG in Cina, dove oggi si decide di rimuovere i filtri censori imposti dal regime, ma accettati all’arrivo nel gennaio 2006. Vista la reazione del governo cinese, Google dirotta il traffico su Hong Kong e spera di rinsaldare l’immagine di sostenitore della libertà d’informazione incrinata da un comportamento incoerente.
C’è poi l’antitrust Usa che non è convinta dell’accordo di Google con parte degli editori di libri, il rischio di un nuovo monopolio è troppo forte. E poi c’è anche lo scontro con i grandi quotidiani, in primis con Murdoch, che non accettano più il modello di business costruito dal servizio Google News in cui non vengono spartiti gli introiti pubblicitari generati grazie all’aggregatore di notizie provenienti dai siti dei loro giornali.
Aldo Daghetta

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