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Attivismo civico & Terzo settore

Con la scusa del design Milano si scopre New York

Lorenzo Castellini e Beniamino Saibene

di Chiara Cantoni

Quando la sera, rientrando dall’ufficio, nel traffico congestionato della tangenziale Est, lo sguardo incrocia un bivacco urbano con tanto di tende insediate sotto il ponte di via Rubattino, i casi sono tre: lo stress da lavoro produce allucinazioni; un nuovo campo nomadi; qualcosa di nuovo sta accadendo a Milano. La risposta giusta è la 3.
Perché l’ultima frontiera dell’ospitalità low cost, durante il Salone del Mobile che porterà Milano al centro creativo del mondo dal 12 al 17 aprile, si chiama Public Camping, ed è la risposta di esterni alla carenza di alloggi meneghina: un campeggio diffuso, con piazzole, servizi, area relax, libreria internazionale, work station e locker room, allestito negli spazi indoor del Lambretto Art Project di via Arrighi, e nei 14mila mq outdoor del sottoponte, per accogliere studenti, architetti, creativi in arrivo da tutto il mondo per la settimana del design. «Ma prima ancora un luogo d’incontro e confronto ad alto rendimento di relazioni, dove scambiare idee, contatti, esperienze», dicono Lorenzo Castellini e Beniamino Saibene, i due soci fondatori di esterni, impresa culturale attiva dal 95 nella progettazione di spazi pubblici e di eventi aggregativi. I primi a capire, in tempi non sospetti, che per far diventare davvero Milano la capitale del design bisognava portare il design in città, non confinarlo tra i padiglioni della fiera.
E così hanno fatto. Gettando il seme di un successo di partecipazione che cresce di anno in anno. «Quando il design dei professionisti incontra la partecipazione attiva di cittadini, turisti, viaggiatori, allora le città possono cambiare». È la scommessa del Public Design Festival.
Una sorta di FuoriSalone nel FuoriSalone?
Lorenzo: Più che altro un progetto aperto alla città, pensato per tutti, in alternativa alla Fiera degli operatori e degli addetti ai lavori. L’idea, nata 15 anni fa, è legata alla riqualificazione di piazze, strade, aree inutilizzate ma ad alto potenziale di socialità, attraverso interventi temporanei di design urbano che facciano leva sul coinvolgimento dei cittadini. La settimana del mobile è un momento privilegiato per l’affluenza di intelligenze creative dai cinque continenti. Abbiamo pensato che attingere a tante e tali competenze potesse essere anche per noi l’occasione di avviare sinergie internazionali utili al progetto. Da qui, la coincidenza del Public Design Festival con l’evento fieristico ufficiale.
La formula delle “porte aperte” lanciata da Esterni 15 anni fa, è diventata il simbolo più riconoscibile dell’intera settimana…
Lorenzo: Non c’è dubbio che le nostre attività abbiano contribuito a fare del Salone un momento di festa per tutti. Chi ha un negozio, uno spazio, lo spalanca alla città. Progetti e idee nascono agli angoli delle strade, tra una chiacchiera e un aperitivo; le piazze vengono finalmente utilizzate come tali, luoghi d’incontro per gente che ha voglia di partecipare alla grande sagra del design. È un dinamismo spontaneo, generato dal basso, che funziona e restituisce vitalità ai quartieri, altrimenti silenti, di Milano.
Oggi sembra facile, ma all’inizio?
Beniamino: L’organizzazione era meno strutturata: spedivamo i fax da casa, bussavamo alle porte di aziende e istituzioni, a caccia di sponsor. Tanto hanno fatto gli amici: con l’aiuto di cento volontari, molti tedeschi e francesi conosciuti ad altre fiere all’estero, abbiamo allestito il primo intervento all’Arco della Pace. L’idea era di promuovere il design come bene di tutti, invitando i milanesi a vestire per un giorno i panni del creativo. Chi voleva mangiare, bere o assistere agli eventi, doveva presentare un suo disegno alle casse. I baristi, nel ruolo di critici, servivano cibo e bevande valutando la moneta di scambio: già visto, questo progetto vale mezzo bicchiere; originale, ne merita due… Molti turisti capitavano lì per errore, confondendo esterni con Interni, poi però non se ne andavano più. «Sembra di stare a New York», ripetevano. Significa che persino Milano può essere accogliente e internazionale: dipende anche da noi.
È la sfida del fare impresa culturale?
Lorenzo: È la sfida di tutti. A Milano, il desiderio di ritrovare una socialità perduta, di riscoprire una dimensione di relazione che faccia sentire meno soli, è un sentimento diffuso. Nel nostro caso, si è tradotto in progetto condiviso. Siamo partiti in cinque, ventenni o poco più. Alle spalle percorsi formativi diversi: lettere, ingegneria, architettura, teatro. Di fronte, un punto di domanda sul futuro. Ci ha messi insieme la voglia di investire professionalmente nella nostra città, aiutandola a trovare quelle occasioni di incontro e confronto che la rendono più bella.
Da qui l’idea di design pubblico?
Lorenzo: Ripensare una metropoli attorno alle persone significa introdurre una narrazione diversa dei bisogni e degli spazi, non solo dal punto di vista urbanistico, ma anche estetico, dell’arredo urbano, della fruizione e dei servizi. Modificare la viabilità di un sottopasso per velocizzare il transito non basta; occorre dare ai residenti la possibilità di fare proprio il progetto, di gestirlo, modificarlo, perché se ne prendano cura nel tempo. Milano è per un noi un laboratorio sperimentale. Talvolta, i progetti testati qui in via temporanea diventano permanenti altrove. A Madrid, per esempio, il Comune ci ha chiesto di intervenire su un’area di 3mila mq nel quartiere multietnico di Lavapies. Insieme agli abitanti abbiamo costruito una nuova piazza: un orto, spazi gioco per i bambini, teatro open air, mercato e area relax. Un vuoto urbano è stato trasformato in uno spazio di tutti affidato alla gestione dei residenti. Immaginiamo il design pubblico come qualcosa che riesca a restituire il senso di comunità. È il filo conduttore di tutti i nostri interventi.
Come il progetto in zona Isola, aperto al pubblico durante il Festival…
Beniamino: Parliamo di un quartiere in rapida trasformazione, anche in ragione dello sviluppo edilizio nell’area limitrofa di Garibaldi che sta inghiottendo aree verdi e spazi d’incontro. Questa espropriazione ha, in qualche modo, cementato un fronte comune, risvegliando nei residenti il desiderio di pensare alternative. Si è messo in moto un dinamismo che ci interessava capire. Un anno fa, esterni ha aperto il sito Zonaisola.it, una piattaforma di dialogo per raccogliere le persone più attive e le istanze di quartiere non ancora rappresentate. Questo lavoro sarà visibile nei giorni del Salone, con progetti semplici, non invasivi, sviluppati insieme ai collettivi di design Raumlaborberlin (Berlino) e Stortplaats Van Dromen (Paesi Bassi), sul Cavalcavia Bussa, trasformato in un minicantiere temporaneo: piccole costruzioni pubbliche, a misura di cittadini, in mezzo alle grandi costruzioni dei cantieri privati.
Si torna alle sinergie internazionali…
Beniamino: Ci guardiamo intorno e ciò che di buono vediamo proviamo a riproporlo. Nel tempo abbiamo poi elaborato formule di ospitalità sostenibile che ci consentono di estendere gli inviti. Dal Campeggio diffuso, già tutto esaurito, al bedsharing, alla Casa dei designer, declinata secondo gli eventi in Casa dei registi per il Milano Film Festival, Casa dei modelli per le settimane della moda. Ad Amsterdam abbiamo allestito una Casa dei filosofi. Cerchiamo spazi inutilizzati, pubblici o privati, e li convertiamo in ostelli temporanei. È il modo migliore per conoscere realtà diverse e, perché no, pensare progetti insieme.
Utile a voi, utile alla città…
Lorenzo: Cerchiamo di rispondere a bisogni reali, con soluzioni funzionali ed economiche. Come il servizio di accoglienza pensato per piazzale Cadorna. Durante il Festival, ci sarà un info point sui nostri prodotti ma anche sulla città, per dare il benvenuto ai turisti, spiegando loro come prendere i mezzi, consigliare un ostello, un ristorante… Basta poco per rendere ospitale una città. Con lo studio viennese Office for Subversive Architecture, che ha un approccio poco ortodosso nel richiamare l’attenzione al design, abbiamo pensato il progetto “Through the Looking-Glass”: tutte le colonne antistanti la stazione verranno ricoperte di una lamina riflettente; l’effetto ottico creato, il mirroring, farà scomparire alla vista i pilastri dei portici intensificando il passaggio di persone e il trambusto della piazza.
Anche il Progetto Cuccagna è un vostro cavallo di battaglia…
Beniamino: Da quattro anni siamo impegnati con un consorzio non profit nel recupero all’uso pubblico di una delle più antiche cascine agricole milanesi, in zona Porta Romana. Il Festival è l’occasione per aprirne gli spazi e ufficializzare la nascita di esterni design, un nuovo brand nel settore dell’arredo urbano, che inaugura la sua collezione con la Panchina Circolare. Un progetto pensato nel 2006, oggi prodotto grazie alla collaborazione dei designer Jair Straschnow e Wouter Nieuwendjik. La forma della seduta, ancora una volta, è un invito a instaurare relazioni, a fruire degli spazi pubblici come trama di rapporti.


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