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Digital divide Parte da Seattle la nuova sfida di Muhammed Yunus
di Redazione

Un telefono cellulare per ogni villaggio povero del mondo. Un’utopia da ricchi occidentali? Una realtà già in migliaia di villaggi di Uganda, Rwanda, Camerun e Indonesia. Il merito è del Grameen Technology Center, un ramo della omonima fondazione di Muhammad Yunus, inventore del microcredito e premio Nobel per la Pace 2006. A guidare il Gtc c’è Peter Bladin, un matematico svedese, negli Usa da quasi 20 anni: manager della Microsoft, dieci anni fa Bladin ha lasciato la multinazionale di Bill Gates per realizzare il sogno di mettere la tecnologia a disposizione dei poveri della terra. Lo abbiamo incontrato a Seattle, dove il Gtc ha sede.
Vita: Oggi la tecnologia è la forza e il vanto dei Paesi ricchi. Quale impatto concreto può avere sui Paesi poveri?
Peter Bladin: Un grandissimo impatto. A guardare bene la situazione di questi Paesi, la povertà nasce dalla mancanza di opportunità e di contatti. In un villaggio africano, ad esempio, basta una semplice telefonata per scoprire qual è il prezzo del raccolto al mercato e decidere come e dove venderlo, per chiamare un medico in città o avvisare un villaggio dell’arrivo di ribelli. Da qui nasce l’idea del Village Phone che si basa sul modello del microcredito: prestiamo ad una persona del villaggio i soldi per comprare un telefono cellulare; questi si ripaga il suo debito vendendo le telefonate agli abitanti del villaggio, che a loro volta possono usufruirne per risolvere problemi concreti e migliorare la propria vita. In questo modo abbiamo creato un business per gli imprenditori e nello stesso tempo un’opportunità per tutto il villaggio. Il progetto funziona già in Uganda, Rwanda, Camerun e Indonesia dove abbiamo appena cominciato; nelle Filippine, in Cambogia e in altri Paesi alcune associazioni stanno utilizzando questo modello.
Vita: Quali sono le implicazioni del vostro lavoro?
Bladin: Le racconterò due aneddoti: qualche tempo fa il Nord dell’Uganda fu attaccato da terroristi del confinante Sudan. Tramite il cellulare un villaggio avvisò un altro del pericolo in arrivo. Quel giorno morirono 200 persone, ma il villaggio avvisato riuscì a mettersi in salvo. Immaginiamoci quante persone si sarebbero potute salvare se ci fossero stati i cellulari in Rwanda durante il genocidio del 94. Qualche anno fa, poi, un mio collega ha seguito la nascita del progetto in Uganda; nei villaggi la sera non c’era elettricità e la gente di solito si riuniva per chiacchierare al buio. Con l’introduzione del telefono, invece, ogni sera gli abitanti si collegavano con la stazione radio più vicina per ascoltare un talk show. Una sera fecero una colletta e decisero di chiamare il programma e di raccontare cosa accadeva nel loro villaggio. Questo per dire che il nostro lavoro può portare a grosse conseguenze politiche, ma anche solo alla possibilità che la gente si metta insieme e prenda delle decisioni. C’è poi l’impatto economico: un’interessante ricerca della London School of Economics dimostra come per ogni incremento del 10% della diffusione del cellulare, il prodotto interno lordo di un Paese in via di sviluppo cresce dall’1,6 al 2,2%. La comunicazione, insomma, aiuta l’economia. È questo il motivo per cui non abbiamo mai avuto nessun ostacolo dai governi locali, anche quelli dittatoriali.
Vita: Operate tramite joint venture con aziende spesso multinazionali. Una delle critiche che viene mossa alla Grameen è quella di spianare la strada alle aziende e creare nuovi consumatori. Come vi difendete?
Bladin: L’idea comune è che da un lato ci siano le aziende non profit buone, e dall’altro quelle for profit, cattive. La nostra soluzione è prendere la passione dell’uno e l’efficienza dell’altro per creare il social business. Le nostre joint venture lavorano in termini di profitto, ovvero misurano i risultati e gestiscono l’attività in maniera efficiente, ma hanno un obiettivo duplice: non solo rientrare del dollaro e mezzo investito, ma anche ottenere un miglioramento concreto delle condizioni di vita della popolazione. Nei nostri report, accanto ai numeri segnaliamo i passi in avanti fatti: se hanno una casa, se i figli vanno a scuola, se hanno i soldi per curare i bambini. Però siamo convinti che se una non profit vuole avere un impatto reale, se vuole arrivare a 10mila villaggi e non solo a 10 deve associarsi con le compagnie telefoniche. Loro chiedono di rientrare dagli investimenti fatti, noi in cambio pretendiamo che tengano i costi dei servizi più bassi perché il villaggio possa avere dei margini e guadagnarci. Il nostro modello è di un’economia sostenibile che crei benessere per tutti nel tempo.
Vita: Ma concretamente quali sono gli accordi economici con queste aziende? Loro prendono metà del profitto e voi riutilizzate l’altra metà?
Bladin: Concretamente c’è un tempo minimo per ripagare le infrastrutture, che in genere si aggira sui due anni. Quando raggiungiamo il break even, l’accordo è di reinvestire in nuove infrastrutture se sono necessarie. Ad un certo punto in Uganda, per esempio, è accaduto che con i profitti la società telefonica ha creato una business unit proprio per i village phone, che è una cosa buona perché significa più servizi per noi. Noi invece abbiamo avviato il progetto in un altro Paese. Questo modello aziendale, che potrebbe risultare spietato, è invece di successo. I miliardi e miliardi di dollari che i Paesi occidentali hanno destinato all’Africa in questi anni non l’hanno aiutata, ma hanno solo creato dipendenza. Noi crediamo molto nella responsabilizzazione, Yunus dice che ogni bambino che nasce è potenzialmente un piccolo imprenditore. L’Africa ha dei problemi che il mondo occidentale non può risolvere. Possiamo dargli gli strumenti ma devono essere capaci di agire da soli.
Vita: Cosa pensa del progetto di Nicholas Negroponte: Un pc per ogni bambino povero?
Bladin: Qualche anno fa abbiamo avviato un’iniziativa simile nel Nord dell’India, ma non ha funzionato perché i piccoli imprenditori non riuscivano a rientrare dal debito. Credo che i problemi siano due: il primo, che dietro non c’è un modello di business che funzioni, il pc è uno strumento complesso e le multinazionali ne detengono il know how. Chi lo ripara quando si rompe? Chi fa la manutenzione continua? L’idea di Negroponte, poi, prevede che siano i governi a comprare pc e a distribuirli alla popolazione. Ma la nostra esperienza ci insegna che se una cosa è data dall’alto non è tenuta nella giusta considerazione. Però quello che apprezzo dell’idea di Negroponte è di aver attirato l’attenzione dei grandi gruppi dell’informatica come Microsoft su un nuovo mercato potenziale.
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