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Consiglio italiano per i rifugiati: «Si aprano vie di accesso legali»

Il Cir ha presentato la pubblicazione “Ponti non muri” che ricalca l'esperienza dei corridoi umanitari. «Ci sono buone prassi già sperimentate, ma dobbiamo pensare ad una scala d’intervento che sia all’altezza della sfida che ci si sta presentando davanti», ha sottolineato il portavoce Christopher Hein

di Vittorio Sammarco

No, non è un’invasione, ma il numero di chi, rischiando e spesso perdendo la vita scappa da paesi in guerra o sotto dittature feroci sta crescendo in modo notevole. Per questo occorrono “Ponti non muri”, per “Aprire vie di accesso legali e sicure in Europa”. La pubblicazione presentata ieri dal CIR – Consiglio italiano per i rifugiati (scaricabile in allegato) «è più di un testo: è una vera proposta politica», ha detto Christopher Hein – portavoce e consigliere strategico del Cir. È vero «ci sono buone prassi già sperimentate, ma dobbiamo pensare ad una scala d’intervento che sia all’altezza della sfida che ci si sta presentando davanti».

«L'adozione di meccanismi d'ingresso protetto – è la premessa e il contenuto dell’iniziativa del Cir, introdotta dal presidente Roberto Zaccaria – potrebbe ridurre considerevolmente il numero di persone costrette a intraprendere i viaggi della speranza, ogni giorno più pericolosi, attraverso il deserto e il mare Mediterraneo».

Perché i numeri parlano chiaro e forte.
Già il 2014 era stato un anno record: 278.000 persone arrivate in Europa in modo irregolare (219.000 attraversando il Mediterraneo) il 60% in più rispetto al 2013. Nel 2015 il numero dei richiedenti asilo ha già ampiamente superato la soglia del mezzo milione (522.000). Nel 2014 la rotta del mare ha portato in Italia 170.100 persone (1.111 sbarchi), durante il primo semestre del 2015 sono circa 109.500 i migranti che hanno raggiunto l’Italia. Richieste di asilo: l’Italia ha ricevuto 64.886 domande nel 2014, il più alto numero mai registrato (nel 2013 sono state 26.620). Tra coloro che fanno richiesta è aumentato drammaticamente anche il numero di donne (5.016) e bambini (4.526) e se nel 2013 i minori non accompagnati si attestavano sulle 805 presenze, nel 2014 arrivano a 2.584. Nei primi 9 mesi del 2015, più di 50.000 persone hanno chiesto asilo in Italia. L’Italia, nel 2014, su un totale di 64.886 richieste ne ha esaminate 36.330 (indipendentemente dalla data di presentazione). Di queste, a 3.649 migranti è stato riconosciuto lo status di rifugiato (3.078 nel 2013), 8.121 hanno beneficiato della protezione sussidiaria (5.654 nel 2013), 10.091 hanno ottenuto protezione per motivi umanitari (5.750 nel 2013) e 13.327 sono stati i dinieghi alle richieste presentate (6.765 nel 2013). Nel primo trimestre del 2015 delle 10.625 decisioni prese, 5.145 sono state rigettate, mentre 5.480 sono state accolte, ossia il 52%. L’Italia ha riconosciuto lo status di rifugiato a 705 persone, la protezione sussidiaria a 2.175 e la protezione umanitaria a 2.595 persone. Nel secondo trimestre del 2015, invece, sono state adottate 13.760 decisioni, delle quali 7.300 sono state rigettate, mentre 6.460 sono state accolte, ossia il 47%. E’ stato riconosciuto lo status di rifugiato a 770 persone, la protezione sussidiaria a 2.280 e la protezione umanitaria a 3.410 persone19.

Quindi si può fare di più e meglio
“I migranti sono costretti all’irregolarità del viaggio perché non esiste un altro modo per entrare in Europa, ad eccezione delle poche possibilità documentate in questa pubblicazione.”, scrivono i curatori. “Troppo poche queste eccezioni, troppo poche le vie legali d’ingresso e di accesso alla protezione per rappresentare un’alternativa realistica e fattibile per chi non può rimanere nel luogo dove si trova ed è costretto a spostarsi per salvare la propria vita o la libertà o per poter intravedere un futuro di vita dignitoso.”

L’imperativo, allora è quello di aprire canali, “ponti” per l’ingresso regolare nella “fortezza Europa” per chi necessita di protezione. Ma non “può esaurirsi in un solo strumento in grado di risolvere tutti i problemi. Devono essere creati o ampliati diversi programmi parallelamente. Devono essere potenziati gli strumenti che si basano su quote prestabilite relative al numero d’ingressi dei rifugiati come il reinsediamento, l’ammissione temporanea per motivi umanitari, sponsorizzazioni private.” E inoltre: “Più Stati devono partecipare all’attuazione di tali programmi e le quote devono essere notevolmente aumentate. Contemporaneamente devono essere sperimentati strumenti innovativi, partendo da quelli che le legislazioni attualmente in vigore già prevedono, come il rilascio di un visto umanitario.” L’obiettivo – si legge in conclusione – “è quello di fornire alle persone costrette a intraprendere un viaggio verso l’Europa un’effettiva protezione, alternative realistiche e accessibili rispetto a quelle attuali che, anche una parte importante dell’opinione pubblica europea, considera ormai insostenibili”

Ma l’Europa e chi la dirige, lo vuole veramente? E’ in grado di fare questo salto di qualità?
«Sono pessimista in merito a ciò che l’Europa sta facendo finora, ma le opportunità ci sono. La strada, però, è esattamente l’opposto di quella che sta percorrendo finora», ha detto Franco Frattini, Presidente SIOI (Società italiana per l’organizzazione internazionale, che ha ospitato l’incontro). Sottolineando poi un fermo: «No all’intervento Nato nel Mediterraneo», che qualcuno sta ventilando ,anche in buona fede con l’intento di aiutare l’Europa per l’azione di protezione e di intervento alle frontiere,: «solo l’Europa ha le conoscenze e la opportunità di affrontare questo obiettivo. Se accettiamo l’intervento Nato è la fine della politica estera europea».

Ancora più duro e severo è il presidente del Gruppo SeD al Parlamento europeo, Gianni Pittella: «È in atto una grande e formidabile mistificazione per distruggere l’Europa e i valori su cui si fonda, uno dei quali è la solidarietà. Siamo in presenza di un fenomeno strutturale, non congiunturale: i flussi continueranno forse per altri 20 anni. Ma non è un’invasione: noi Europa facciamo fatica ad assorbire con serenità un flusso di 1,5 milioni di profughi su una popolazione europea di circa 500 milioni, quando il piccolo Libano con solo quattro milioni di abitanti ne accoglie 1 milione. Ma di quale invasione parliamo? Per alcuni», ha aggiunto, «il problema si risolve se si blocca Schengen. Ma l’abolizione delle frontiere interne non c’entra con il flussi: bloccando Schengen perderemmo una delle più grande conquista dell’occidente. Bisogna insistere perché vengano rispettati gli impegni presi. La Commissione Junker ha preso l’impegno di superare Dublino e di varare un sistema legale per il flusso d’immigrati cosiddetti economici. Almeno su questo dobbiamo insistere perché si proceda».

Si è detto fiero del ruolo che sta svolgendo il nostro Paese il prefetto Mario Morcone, Capodipartimento per le Libertà Civili e l'Immigrazione del Ministero dell'Interno: «l’Italia ha fatto la sua parte importante nell’accoglienza dei migranti. Tanti paesi stanno portando avanti la tesi di bloccare per altri due anni Schengen, aggiungendo un’operazione incredibile quella di isolare la Grecia con richieste improponibili. Noi diciamo No. L’Agenda Junker ha previsto il ressettlement (risistemazione) ma bisogna vedere come si fa: noi non accettiamo una operazione che consenta ai Paesi di scegliersi gli immigrati di “qualità”, né quella che vorrebbe bloccare al Sud Italia una massa considerevole di immigrati». E conclude: «Le semplificazioni delle categorie di immigrati sorgono sulla base di egoismi nazionali, sono contrario a considerare quella di immigrati economici, cosa vuol dire? Noi continueremo a fare la nostra strada nel rispetto dei diritti umani senza farci terrorizzare da movimenti xenofobi».

Molto si deve e si può fare, piuttosto che accettare la permanenza dello Status quo, che per Sandro Gozi, Sottosegretario Presidenza del Consiglio dei Ministri, significherebbe «l’inizio della disintegrazione europea». Si dice preoccupato: «L’Europa non sta dando le risposte che auspichiamo, ha un’irresistibile tentazione di rinviare le decisioni sui problemi, invece di affrontarli e tentare di risolverli». Per questo constata che «l’Europa che abbiamo oggi è molto diversa da quella dei Trattati». «Chiediamo la revisione di Dublino” sottolinea, “magari non tutto e subito, ma soprattutto su alcuni articoli. Stiamo lavorando per questo, contro lo scetticismo generale che allo stesso modo prevedeva un’impossibilità di coinvolgere tutta l’Europa sull’Operazione Mare Nostrum».

Si punta su tre pilastri: migliorare la gestione delle frontiere esterne, con un’europeizzazione progressiva degli Hotspot; rivedere Dublino con una redistribuzione dei rifugiati; infine avviare una politica per incentivare lo sviluppo locale di alcuni Paesi per evitare le fughe.

Rivedere Schengen, infine?
«Nessun Paese ha presentato finora proposte reali per una sorta di mini-Schengen. Ma il fatto stesso che venga evocato mi preoccupa molto. Ma se l’Europa rinuncia al più grande successo del dopo-guerra, se dovessimo tornare indietro, sarebbe difficile pensare poi ad un futuro per l’Europa! Se accettassimo la fine di Schengen sarebbe la fine del sogno di un Europa unita. E poi – aggiunge – bisognerebbe spiegare in cosa beneficerebbe l’Europa dalla chiusura delle frontiere interne. La logica non è tornare indietro. E tutto ciò senza fare sconti sui diritti fondamentali anche per i Paesi all’interno della Ue. Anche grazie alla spinta che abbiamo dato noi la Commissione ha aperto un percorso di riflessione su questo aspetto».

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