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Corridoi umanitari, arrivati 300 profughi afghani: benvenuti in Italia

Ci sono le cicliste della disciolta nazionale afghana, che andranno a L'Aquila e un giovane attivista per i diritti civili, con la moglie e i due figli piccoli. Inizia la nuova vita di 300 afghani arrivati con i corridoi umanitari organizzati dalla società civile. L'accoglienza è totalmente a carico delle associazioni proponenti: sono più di 5mila i profughi giunti in Europa con i corridoi umanitari dal 2016. Ecco le loro testimonianze raccolte all'arrivo a Fiumicino

di Stefano Pasta

Uno striscione di festa a Fiumicino e i palloncini colorati per giocare in attesa delle valige e della registrazione della polizia di frontiera. Un piccolo mazzo di fiori e un libro per studiare l’italiano come regalo di benvenuto. Poi una casa, accogliente, in un comune italiano da Nord a Sud, con una rete di volontari locali (singoli, associazioni, parenti) pronti ad accompagnare i profughi tra iscrizioni a scuola, turni per insegnare l’italiano, iter per i documenti, scoprire dove fare la spesa e, in generale, inserirsi in un nuovo contesto.

Così inizia la nuova vita di 300 afghani – per la maggior parte hazara – arrivati il 27-28 luglio con voli dal Pakistan e dall’Iran con i corridoi umanitari organizzati dalla società civile in base al protocollo con lo Stato italiano firmato il 4 novembre 2021 con Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Tavola Valdese, Arci, Caritas Italiana, Iom, Inmp e Unhcr. Con questo arrivo, i profughi giunti in Europa con i corridoi umanitari di Sant’Egidio insieme ai vari partner – da Libano, Etiopia, Libia, Lesbo e la Grecia – superano i 5.000 dal 2016. Anche in questo caso, come prevede il protocollo di intesa con lo Stato, il progetto è totalmente a carico delle associazioni proponenti, reso possibile grazie alla generosità e all’impegno gratuito di associazioni e cittadini italiani, che hanno offerto le loro case per ospitare. Tra queste Solidaire, che, in collaborazione con Open Arms, ha contribuito all’organizzazione del volo dal Pakistan. Al corridoio per gli afghani si è aggiunta per la prima volta anche l’Arci, un segnale interessante di come il modello si possa allargare.

Tra chi passa l’area controlli di Fiumicino, ci sono Najiba e i suoi quattro figli: Hazara, il marito è stato ucciso in un attentato nei mesi precedenti alla riconquista di Kabul, lei sapeva di essere a rischio perché donna sola e perché il figlio maggiore Elyas era impegnato in attività culturali all’università ed aveva scritto una canzone che non era apprezzata dai talebani. I loro nomi erano stati inseriti nelle frenetiche liste dell’agosto 2021, quelle delle evacuazioni dall’aeroporto di Kabul, delle giornate di attesa nella fossa dell’Abbey Gate all’ingresso dello scalo e dei giovani morti nell’estremo tentativo di aggrapparsi alla carlinga dei velivoli in partenza per l’Occidente. Najiba e i figli erano lì, ma non riuscirono a salire sull’aereo: «Abbiamo vissuto nel terrore per mesi, cambiando spesso luogo dove stavamo», racconta Elyas «La mamma, perché vedova non risposata, era malvista, tutti noi abbiamo dovuto lasciare scuola e università». Dopo la fuga degli occidentali da Kabul, la speranza, pur flebile, era che si riaprissero dei canali di evacuazione. Elyas era in contatto via WhatsApp con Sant’Egidio in Italia: «A volte – spiega – bastano poche parole per non lasciarsi andare alla disperazione, ripetevano che stavano lavorando per aprire un corridoio».

Il 4 novembre arriva la firma del protocollo delle associazioni con il Governo e a gennaio le prime informazioni per lasciare il Paese. Najiba, Elyas e le sorelle più piccole si spostano a Teheran, dove iniziano altri mesi di attesa, sempre in contatto con Sant’Egidio e una domanda, ripetuta ogni volta, rispetto al volo per l’Italia: “when?”, imparata anche in italiano: “quando?”. «Il 28 luglio»: finalmente un giorno arriva la risposta. Sul loro volo sono in 64 afghani, il giorno prima da Islamabad in 217, sempre accompagnati dagli amici della Comunità. «Non abbiamo dimenticato le sofferenze degli afghani! Si realizza una promessa: quella di non abbandonarli dopo il ritorno al potere dei talebani lo scorso agosto; gli ostacoli e i muri sono stati tanti, ma oggi sono caduti e inizia una nuova storia di pace e futuro», ha detto Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, accogliendoli al terminal 5, quello dei voli speciali.

Ad ascoltarlo, ci sono Najiba e i suoi figli, le cicliste della disciolta nazionale afghana che ora saranno accolte a L’Aquila, la vedova con figlia di un poliziotto del precedente governo, la direttrice di una scuola che dallo scorso agosto ha perso il lavoro e ha rischiato di perdere la vita. E ancora, un’insegnante per bambini disabili che lavorava a Kabul con dei religiosi italiani, una donna anziana il cui volto non nasconde il dolore che ha vissuto. Vicino a lei è seduto Mohsen, trent’anni, giovane laureato in giurisprudenza e attivista per i diritti civili: «Con mia moglie e i due figli di 5 e 2 anni – quest’ultimo ha una grave disabilità – siamo stati nascosti a Herat, i talebani sono venuti a cercarmi, ma siamo riusciti a scappare in Pakistan». Spiega Impagliazzo: «Queste persone saranno ospitate, in diverse città, dalle nostre Comunità, ma anche da cittadini e congregazioni religiose che hanno voluto aprire le porte delle loro case. Mentre milioni di persone che fuggono da guerre, fame e cambiamenti climatici per cercare un futuro rischiano di scomparire dai riflettori o di divenire oggetto di strumentalizzazione politica, l’Italia mostra il suo volto umano e accogliente, grazie ai corridoi umanitari e a una virtuosa sinergia tra la società civile e le istituzioni».

L’impegno, confermato anche da Marina Sereni, intervenuta a Fiumicino, è che ci siano presto nuovi arrivi. Ha detto la viceministra degli Esteri: «Non abbandoniamo il popolo afghano, il governo italiano continuerà, coi propri partner e le agenzie internazionali, a portare aiuti umanitari in Afghanistan e nei Paesi limitrofi. Abbiamo il dovere dell’accoglienza nei confronti di chi verrà in Italia grazie ai corridoi umanitari». Il fondatore di Open Arms, Oscar Camps, ha detto: «Per noi che siamo abituati a soccorrere in mare in condizioni difficili, è un orgoglio poter evacuare queste persone attraverso canali sicuri e legali. Continueremo a essere in mare, ma è importante anche cercare di evitare una sofferenza non necessaria, facilitando in ogni modo possibile questi corridoi umanitari». Il responsabile immigrazione di Arci, Filippo Miraglia, ha ricordato che «se queste persone oggi arrivate in aereo, si fossero messe in viaggio da sole per cercare protezione, rivolgendosi ai trafficanti come sono obbligate a fare il 99% delle persone in fuga, rischierebbero di finire nei lager libici o respinti alle nostre frontiere terrestri. Per questo vogliamo sostenere ogni forma di accesso legale e sicuro, anche per dimostrare che esistono alternative». Daniele Garrone, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia e Alessandra Trotta, moderatora della Tavola valdese, sottolineano come questo corridoio sia ormai un modello possibile da sei anni: «Questo arrivo è il frutto dell'impegno congiunto di associazioni e istituzioni che hanno lavorato insieme per sviluppare ed estendere la buona pratica dei corridoi umanitari inaugurata nel 2016, e da allora proposta anche alle istituzioni europee come politica strutturale di gestione dei profughi. La dimensione ecumenica, che vede insieme evangelici e cattolici, è per noi particolarmente significativa».

*Stefano Pasta, Comunità di Sant'Egidio

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