Buone pratiche
Cosa ci dicono quelle sette regioni in campo per l’educazione alla cittadinanza globale
Emilia Romagna, Piemonte, Marche, Lazio, Liguria, Calabria e Sardegna nei giorni scorsi hanno presentato i risultati di un progetto finalizzato a costruire e condividere policy per aumentare la partecipazione civica. Un prototipo da allargare e valorizzare

Sette regioni: la capofila Emilia Romagna insieme a Piemonte, Marche, Lazio, Liguria, Calabria e Sardegna. Un’università: quella di Bologna. Due soggetti sociali: l’ong WeWorld-Gvc e Concord Italia, la piattaforma italiana di connessione con l’omonima confederazione europea che rappresenta 2.600 associazioni della società civile che si occupano di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario. Un progetto: R-Educ, i cui esiti sono stati presentati lo scorso 29 aprile a Frascati in provincia di Roma. Il senso dell’inziativa lo ha ben spiegato su queste colonne Paola Berberglia la presidente di Concord Italia.
Non solo il progetto ha dato concretezza amministrativa all’obiettivo 4 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile, dedicato all’educazione, che prevede l’impegno dei Paesi a “garantire che a tutti gli studenti siano fornite le conoscenze e le competenze necessarie per promuovere lo sviluppo sostenibile, i diritti umani, l’uguaglianza di genere, una cultura di pace e non violenza, la cittadinanza globale e l’apprezzamento della diversità culturale”. In un momento in cui l’opinione pubblica guarda ai referendum dell’8 e 9 giugno e in particolare al quesito numero cinque che prevede l’accorciamento delle tempistiche per l’ottenimento della cittadinanza italiani da parte degli immigrati regolarmente residenti nel nostro Paese, le prassi concrete promosse attraverso il progetto R-Educ (corsi di formazione, piani di azioni territoriale, network con soggetti profit e del Terzo settore) ci dicono che – al di là delle strumentalizzazioni politiche – esiste una classe politica e amministrativa ormai matura per gestire processi di inclusione sociale, educazione alla cittadinanza globale e alla partecipazione civile dei giovani italiani e non.

Un tema cruciale di fronte a tassi di partecipazione politica che portano al voto ormai stabilmente meno della metà degli aventi diritto anche in città con una storia di attivismo civico importante come Trento dove meno di un elettore su due (il 49,9%) ha deciso di andare al seggio (dove è stato confermato Franco Ianeselli). L’inverno democratico in cui stiamo sprofondando nella sostanziale indifferenza dei partiti di Roma si combatte proprio partendo dai territori e dalla costruzione di percorsi aperti ed accessibili alla cittadinanza. Marche, Sardegna e Liguria hanno lavorato a leggi regionali specifiche sulla educazione alla cittadinanza globale. Veneto e Friuli Venezia Giulia hanno apertamente manifestato la volontà di aderire alla rete interregionale nata in seno a R-Educ (che, come evidente dal colore delle maggioranze che governano questi territori, non ha una connotazione partitica).

L’allargamento del network fra regioni è un segnale positivo, una solida base di partenza, così come la disponibilità dell’Aics (Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo), ad oggi il maggiore finanziatore dell’iniziativa. Ora però occorre allargare l’alleanza in una logica di politica condivisa a un numero più alto di soggetti della società civile e cominciare a convogliare risorse sull’educazione alla cittadinanza attraverso una molteplicità di canali (pubblici e non). I giovani, il Terzo settore e le amministrazioni risponderanno presente, alzando la qualità della nostra democrazia. Il messaggio che ci arriva dal progetto R-Educ è sostanzialmente questo. Non tappiamoci gli occhi.
Foto: Pexels
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