«Gli insediamenti informali sono il vero volto delle grandi metropoli: dopo la fase dell’indifferenza nei confronti delle favelas e quella della lotta contro di esse, è giunta l’ora che sia noi architetti che i politici si cominci a “take care”, a prendersi cura di loro». Stefano Boeri, architetto, assessore alla Cultura del Comune di Milano, racconta il suo percorso di avvicinamento alla mondo della favelas, partendo dai numeri: «3 milioni di persone vivono in quartieri di questo tipo nella sola San Paolo. A Nairobi, in Kenya, sono 2 milioni e mezzo, 8 milioni nella sola Mumbai in India. Non sono dei corpi estranei, lontani. Al contrario, sono una parte fondamentale della città contemporanea».
Lei ha sorvolato San Paolo in elicottero, quanto è stato importante vedere dall’alto la metropoli?
È stato fondamentale. San Paolo, rispetto a Rio dove le favelas si trovano in cima alle colline (i morros) e i quartieri ricchi in basso, si sviluppa tutta orizzontalmente. È difficile coglierla nel suo insieme a meno che, appunto, non la si “visiti” dall’alto. E dall’alto il colpo d’occhio è fortissimo. E mi sono reso conto che le favelas sono rapide, macchie urbane che crescono a vista d’occhio senza il più delle volte un’idea precisa, se non l’istinto della sopravvivenza.
Risolverete il problema delle favelas con questo progetto?
Le favelas ? ed è il terzo punto del manifesto ? sono necessarie. È detto in modo non assolutamente provocatorio, ma sono funzionali alla storia sociale dei Paesi che le ospitano. Non dimentichiamoci che sono la principale forma di accesso alla vita urbana di migliaia di migranti e di contadini. Sono la nuova frontiera verso cui si dirige un flusso incontrollabile di urbanizzazione che ogni anno sposta, a livello planetario, milioni di abitanti del pianeta dalla campagna alla città.
Lei cosa sta imparando da questa esperienza?
Per me architetto è un’esperienza bellissima, per me uomo e cittadino un’esperienza straordinaria. Sto scoprendo tantissima creatività dove meno ce la si aspetta, come appunto una favela. Lì si vive con poco e ci si ingegna per inventarsi la giornata. Ogni idea non è fine a se stessa ma serve per farcela. È una motivazione essenziale per la creatività che forse le società europee ogni tanto dimenticano.
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