Dipendenze

Così le loot box trasformano i videogiochi in azzardo

Si chiamano loot box e le si trova spesso nei percorsi dei giochi online. Nuova frontiera del gaming che riguarda soprattutto i più giovani. Studi scientifici associano l’acquisto di queste mistery box a problemi di salute mentale e dipendenza. Esrb negli Usa e Pegi in Europa hanno adottato etichette per dare l'alert

di Elena Inversetti

È nella semplicità apparente che spesso si nasconde l’inganno. Come nelle loot box. Le scatole premio che fanno parte dell’esperienza del gaming e che sono un vero e proprio modello di business: l’unboxing. Perché ne parliamo? Perché le loot box, insieme al trading online e al gaming, rappresentano le nuove frontiere dell’azzardo che riguardano anzitutto i più giovani. Un esempio? Gli adolescenti spendono una media di 50 dollari al mese in loot box.

Ma che cosa sono di preciso? Una “scatola premio” è un contenuto virtuale presente nei videogiochi che può essere acquistato o guadagnato e che contiene oggetti o vantaggi di gioco che vengono assegnati casualmente (es. bonus, skin, potenziamenti, avatar…). Il giocatore non conosce il contenuto della loot box fino al momento dell’apertura. Per questo motivo principalmente sono oggetto di dibattito, in quanto mimano meccanismi tipici del gioco d’azzardo.

Dati relativi all’Italia in uno studio Espad del Cnr

Perché l’unboxing è una forma di azzardo

Anche se in alcuni casi sono gratuite o possono essere acquistate con valuta virtuale, il più delle volte, la spesa di denaro è reale, finalizzata a una ricompensa aleatoria, proprio come accade nell’azzardo. Il valore dell’acquisto non è infatti legato al contenuto in sé, ma alla possibilità di ottenere qualcosa di desiderato. Esattamente la dinamica delle scommesse, dove si paga per “tentare la fortuna”.

Il meccanismo dell’unboxing inoltre si basa sul rinforzo intermittente: il cervello riceve una gratificazione non prevedibile che genera dopamina e che mantiene alta l’attivazione… praticamente come nelle slot machine. Si tratta di uno dei metodi più efficaci per creare dipendenza comportamentale.

Alcune loot box poi mostrano visivamente che “quasi” si sarebbe ottenuto un oggetto raro – “ci mancava davvero poco” – alimentando così la frustrazione e il desiderio di riprovare. È il meccanismo della “quasi vincita”, altro escamotage tipico dell’azzardo.

Infine le loot box sono presenti in giochi accessibili anche ai minorenni che hanno maggiore vulnerabilità e minor consapevolezza del rischio. Sappiamo infatti che l’esposizione precoce a meccanismi simili al gioco d’azzardo può aumentare il rischio di sviluppare dipendenze future.
Ecco perché in alcuni Paesi, come Belgio e Olanda, le lotto box sono regolamentate come forme di gioco d’azzardo. In Italia non ancora.

Tutto per un misterioso bottino

Non è un caso che loot in inglese significhi letteralmente bottino. Questo sistema di ingaggio tipico dell’azzardo, infatti, non riguarda solo il mondo del gaming. È ampiamente diffuso nel mercato anche se con un altro nome: mistery box (o scatola a sorpresa), ossia un contenitore fisico o digitale, venduto senza che l’acquirente conosca nel dettaglio cosa contenga.
Il contenuto è rivelato solo dopo l’acquisto e può includere prodotti di valore variabile. Le mistery box sono spesso utilizzate nell’e-commerce, nel collezionismo e nel merchandising, e fanno leva sul meccanismo psicologico della sorpresa e sull’anticipazione del premio. Insomma, loot box a tutti gli effetti, solo non applicate ai videogiochi.

E pensare che la mystery box è stata un’idea di Maria Montessori. Una scatola chiusa con uno o due fori dentro cui il bambino veniva invitato a infilare le mani per toccarne il contenuto. Un esercizio pensato per affinare la percezione sensoriale. Nella nuova era antropologica, anche la mystery box è diventata digitale, assumendo però un’identità liquida e diventando il precursore dell’unboxing. Il fascino di queste scatole sta proprio nella loro segretezza che si svela solo durante lo “scartamento”.
Un mistero che genera adrenalina. Una sorpresa che a tutti gli effetti è una scommessa. E una tendenza sfruttata a piene mani dall’e-commerce e alimentata dai tanti influencer che si avvalgono dell’unboxing per recensire diversi tipi di prodotti, non solo videogiochi: dalle uova di Pasqua ai giocattoli. Lo scopo? Innescare emozioni indotte che, seppure virtuali, sono in grado di generare il bisogno (reale) di acquisto.

Non è certo una novità dell’era digitale. Il funzionamento base infatti è simile a quello delle figurine: spendendo relativamente poco, si può acquistare una bustina di figurine adesive e l’album da completare, ma è possibile scoprire quali sono le figurine contenute nella bustina solo dopo averla aperta. Infine, per completare l’album, è necessario continuare ad acquistare altre bustine di figurine e altre ancora, senza avere contezza della probabilità di trovare le figurine che mancano.

Fattori di rischio per la salute mentale

Il Italia le loot box non sono considerate un gioco d’azzardo, mentre molti esperti stanno chiedendo che l’acquisto di scatole di bottino sia regolamentato dalle leggi esistenti sul gioco d’azzardo, proprio perché sono i primi a vedere gli effetti dell’unboxing e a individuarne la correlazione.

Diversi studi scientifici (qui uno dei più recenti) dimostrano come l’acquisto di loot box sia associato al gioco d’azzardo reale, alla dipendenza da videogiochi e anche ad altri problemi di salute mentale, come ansia e impulsività. In sintesi l’acquisto di loot box condivide fattori di rischio per la salute mentale simili ad altre dipendenze comportamentali.

Intanto nel 2020 il Pan European Game Information – Pegi, l’ente europeo che certifica l’età di riferimento dei videogiochi, ha introdotto una nuova etichetta specifica per indicare quando un videogioco include modalità di acquisto con elementi casuali, come le loot box, ma anche pacchetti di carte, ruote della fortuna…
Questa etichetta si chiamava Includes Paid Random Items e doveva comparire sia sulle confezioni fisiche dei giochi sia sugli store digitali. Tuttavia, successivamente, il Pegi ha modificato la formulazione dell’etichetta, allineandola a quella utilizzata dall’Entertainment Software Rating Board – Esrb negli Stati Uniti. E così la nuova dicitura è diventata In-Game Purchases (Includes Random Items), eliminando il termine Paid (a pagamento). Questa misura non è giuridicamente vincolante ed è stata adottata come autoregolamentazione del settore o come misura di responsabilità sociale d’impresa. Infatti non sempre viene applicata dagli sviluppatori di videogiochi.

I numeri dell’unboxing in Italia

I dati più recenti sulle loot box in Italia per la popolazione più giovane li fornisce lo studio Espad Italia realizzato dalla Sezione di Epidemiologia e Ricerca sui Servizi Sanitari dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Centro Nazionale di Ricerca – Cnr.
Si tratta dell’annuale ricerca sui comportamenti d’uso di alcol, tabacco e sostanze psicotrope legali e non, da parte degli studenti e delle studentesse di età compresa fra i 15 e i 19 anni frequentanti le scuole medie superiori. Inoltre Espad Italia, inserito nell’omonimo progetto europeo, consente di rispondere, mediante rapporti pubblicati con cadenza annuale, alle richieste dell’Osservatorio Europeo delle Droghe e delle Tossicodipendenze – Emcdda. Negli ultimi anni lo studio indaga anche le abitudini legate al gioco d’azzardo. In particolare nella sezione dedicata al rapporto tra gaming e gambling, viene dato spazio proprio alle loot box.

Ricerche scientifiche

https://www.classification.gov.au/sites/default/files/documents/agrc_literature_review_final_20220906_accessible.pdf

https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC9295209/

https://www.frontiersin.org/journals/psychology/articles/10.3389/fpsyg.2022.1009129/full

https://www.sciencedaily.com/releases/2025/02/250219111302.htm

https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC11114398/

https://www.theaustralian.com.au/health/gaming-loot-boxes-linked-to-gambling-mental-health-problems/news-story/03940cc54ce133a5e2c0f7d8dcf99e84

Etichettatura Pegi: https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC10049760/?utm_source=chatgpt.com

In apertura photo by Ashin K Suresh on Unsplash I dati sono relativi allo studio del Cnr

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