Welfare

Costi e vantaggi del Reddito di Cittadinanza Attiva

Il direttore generale della Fondazione Con il Sud torna sulla proposta da lui lanciata su Vita Magazine nel mese di marzo e da cui è nato un effervescente dibattito, facendo due conti

di Pietro Ferrari Bravo

Il Reddito di Cittadinanza Attiva così come si va delineando sulle pagine di Vita grazie al contributo di numerosi operatori del Terzo Settore, professori universitari e commentatori è un concetto poliedrico che può colorarsi dei colori che ciascuno di noi sente di fargli assumere. Si tratta di una misura che può consentire il rafforzamento di percorsi di un nuovo welfare “labour intensive”, agendo su diverse classi di bisogno.

Da un lato, il bisogno di persone “inoccupate” che necessitano di un reddito nel loro percorso alla ricerca di un livello dignitoso di benessere, e a cui si può dare l’opportunità di non ricevere un “sussidio” ma di essere invece parte di un meccanismo di scambio sociale che li può vedere protagonisti. Parafrasando l’efficacissimo Marco Revelli, il reddito di cittadinanza attiva elimina il rischio di “dannazione del tempo vuoto”, grazie al principio di reciprocità richiamato da Luigino Bruni nel dibattito di queste settimane. Dall’altro, il bisogno di sostegno di anziani non autosufficienti, malati cronici, neo-mamme; o ancora il bisogno di gestione dei beni comuni di essere curati come se fossero (ma effettivamente lo sono) di tutti, e non di nessuno. Penso ad esempio a campi o ad aziende confiscate alle mafie, ai boschi a rischio di incendi, alle spiagge da pulire per valorizzare le potenzialità turistiche del territorio, etc. Quanto più questa seconda categoria di bisogni viene effettivamente soddisfatta, tanto più il reddito di cittadinanza diventa strumento che dà dignità al sussidio ricevuto. Si tratta di porre l’attenzione sul valore delle attività e delle relazioni umane che ne scaturiscono, e non solo sul reddito.

A questo punto il problema è la copertura economica di una misura di questo tipo. I detrattori dello strumento puntualizzano che essa presenterebbe un costo di decine di miliardi di euro e che non è pertanto possibile neanche concepirla in tempi di rigore finanziario. Facciamo allora dei semplici conti, avendo a mente che la macro-economia può essere vissuta come l’estensione della micro-economia. 700 euro al mese costituiscono una cifra limitata ma pur sempre superiore rispetto alle pensioni minime. Su base annua si tratta di 8.400 euro a percettore del reddito di cittadinanza attiva e quindi, stimando a titolo meramente orientativo in 3 milioni gli inoccupati in Italia, la misura presenterebbe un costo di circa 25 miliardi di euro.

Questi conti tuttavia non considerano che i numeri sono probabilmente significativamente inferiori rispetto a quelli che sarebbero necessari per un sussidio alla disoccupazione. Le attività cui ho fatto cenno sono spesso non altamente qualificate e piuttosto faticose, per quanto potenzialmente foriere di grandi soddisfazioni e socializzanti. Ovviamente, considerata la complessità del meccanismo, le propensioni individuali e le circostanze oggettivamente ostative, non tutti gli inoccupati sono pronti ad accudire un anziano allettato o a ripulire le vie tagliafuoco dei boschi.

Inoltre, è ormai constatazione comune che le manovre sui conti (maggiore tassazione o minori spese) hanno spesso effetti deflattivi su PIL ed entrate fiscali (è a tal proposito illuminante il recente Working Paper del Fondo Monetario Internazionale "The Challenge of Debt Reduction during Fiscal Consolidation",  in cui viene spiegato come nel breve periodo le manovre finanziarie possono portare all'aumento del rapporto debito/PIL). All’inverso, è possibile dire che l’aumento della spesa pubblica abbia benefici effetti su PIL ed entrate fiscali, attraverso lo stimolo indotto dai consumi. Se ciò è vero in generale, nel caso di un reddito di 700 euro dato ad un inoccupato, è forte la probabilità che una grande parte di tale importo si trasferisca in un incremento dei consumi, con positive conseguenze sulle entrate fiscali.

Una misura di questo tipo potrebbe pertanto avere, a conti fatti dopo un periodo congruo di osservazione, un impatto contenuto sui conti del Paese. L’impatto sarebbe invece straordinario ed estremamente pervasivo sul fronte sociale, andando a toccare ampia parte della cittadinanza, attraverso il reddito o bensì attraverso i servizi di welfare o di valorizzazione dei beni comuni, in un'ottica di infrastrutturazione sociale organica del Paese e di ripresa di una nuova consapevolezza di comunità. Nel caso in cui il Legislatore decidesse di muoversi in questo senso, la vera sfida sarà quella di assicurare un’organizzazione snella ed efficiente per la gestione dello strumento, in modo da provare a conciliare effettivi bisogni di welfare e aspirazioni individuali. Ma su questo punto torneremo.
 

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