Leggi e norme
Da associazione a cooperativa: se la legge si mette di traverso
Può capitare che un'associazione senta la necessità di trasformarsi in un'impresa. Il vestito più coerente sarebbe quello della cooperativa. E invece di fatto le norme favoriscono il passaggio a società di capitale: «Un ostacolo alla libera scelta e un'assurdità: non c'è associazione al mondo che non definirebbe la cooperativa la forma giuridica di impresa più affine al suo universo valoriale e organizzativo di riferimento». L'intervento del presidente di Legacoop Lazio
di Mauro Iengo

Un’associazione può mutare ed evolversi al punto da sentire il bisogno di trasformarsi in impresa: è comprensibile e legittimo. Avviene quando gli standard qualitativi dei servizi aumentano, insieme alla domanda. I committenti, enti pubblici o privati, richiedono maggiori garanzie su come verranno gestiti. Da qui, il bisogno di investire e di dimostrare maggiore affidabilità nei confronti di eventuali creditori, anche attraverso forme di contabilità e pubblicità strutturate. Tutto ciò porta a un mutamento degli assetti aziendali e all’impiego di risorse umane non più legate prevalentemente al lavoro volontario. È una svolta organizzativa talvolta necessaria per continuare a svolgere al meglio la propria missione, senza però snaturare lo spirito originario che la anima. Per rimanervi fedeli, diverse associazioni individuano nella forma cooperativa l’impresa ideale per dare avvio a questa trasformazione.

Paradossalmente, però, alcune prassi amministrative, presenti a macchia di leopardo sul territorio nazionale, ostacolano questa loro libera scelta. Riconoscono piuttosto la legittimità del passaggio da associazione a società lucrativa, che non a società mutualistica. È assurdo perché non c’è associazione al mondo che non definirebbe la cooperativa la forma giuridica di impresa più affine al suo universo valoriale e organizzativo di riferimento. Non è superfluo ricordare che le cooperative, secondo l’art. 45 della Costituzione e il codice civile, svolgono una funzione sociale, sono enti senza fini di speculazione privata, perseguono lo scopo mutualistico, sono organismi aperti all’ingresso successivo di nuovi soci e governano democraticamente l’impresa secondo il principio del voto per testa. Insomma, sarebbe più coerente il passaggio dalla visione solidaristica a quella mutualistica della cooperazione rispetto al salto vertiginoso che imporrebbe una normale società per azioni.
Come si giustifica allora questa contrarietà? Non va sottovalutato il fatto che sussiste una complessità legislativa che si presta a rigidità interpretative e fraintendimenti. L’equivoco più grosso porterebbe a un assunto paradossale: le associazioni riconosciute possono trasformarsi esclusivamente in società di capitale. Eppure, il notariato e parte importante della giurisprudenza ammettono, secondo un’interpretazione più sistematica, la possibilità che le associazioni riconosciute, addirittura anche quelle non riconosciute, possano trasformarsi in ordinarie società di capitali o in società cooperative.
la soluzione a queste diversità interpretative potrebbe essere quella di intervenire legislativamente, correggendo le norme del codice civile, in particolare l’articolo 2500-octies
Indubbiamente, la soluzione a queste diversità interpretative potrebbe essere quella di intervenire legislativamente, correggendo le norme del codice civile, in particolare l’articolo 2500-octies. Si potrebbero così risolvere i problemi che causa la coesistenza di prassi amministrative di fatto ugualmente legittime, ma divergenti e contrarie perché indotte dal margine di discrezionalità di cui gode ogni amministrazione nel trattare una materia altamente complessa e in continua evoluzione. Le correzioni sarebbero peraltro semplici se l’obiettivo fosse quello di consentire il libero passaggio da una forma all’altra, ovviamente con le dovute cautele sul piano della trasparenza amministrativa e pubblicitaria. E tuttavia l’intervento legislativo non sarebbe nemmeno così necessario. Di fronte a un fenomeno sociale ed economico così facilmente leggibile basterebbe il buonsenso.
Il caso “Arci Solidarietà”
Legacoop Lazio ha di recente accompagnato Arci Solidarietà in un passaggio da associazione a cooperativa che si è trasformato in una odissea ma che, dopo un anno, ha avuto esito positivo grazie all’ufficio del Registro di Viterbo/Rieti. Come si è proceduto? Per andare sul sicuro, è prima diventata un’associazione riconosciuta. Poi ha richiesto la trasformazione all’ufficio del Registro di Roma. Domanda che, tuttavia, ha avuto esito negativo in quanto il giudice del registro era tra i sostenitori della tesi per la quale le associazioni riconosciute possono trasformarsi in srl o spa, ma non in cooperativa perché non espressamente citata nella legge.
Vista l’ostilità dell’ufficio di Roma, si è consultato quello di Viterbo/Rieti, il quale in ultimo ha considerato positivamente la possibilità di trasformazione da associazione riconosciuta a cooperativa. C’è da sottolineare che avrebbero proceduto anche se fosse stata un’associazione non riconosciuta, in virtù della tesi maggioritaria espressa in Lombardia e Veneto, dove gli ostacoli alla trasformazione da associazione a cooperativa non esistono.
Qui nel Lazio, invece, l’associazione ha dovuto ottenere prima lo status di associazione riconosciuta e cambiare la sede legale da Roma a Viterbo per poi, una volta ultimata la trasformazione, convocare una assemblea alla presenza del notaio e deliberare il ritorno nella Capitale. La circumnavigazione degli uffici amministrativi che Arci Solidarietà ha compiuto per raggiungere il proprio obiettivo rappresenta plasticamente quanto di più grave e dannoso un ente che intende produrre ricchezza materiale e sociale possa subire.
Questa situazione non si limita al Lazio ma si replica in altre regioni d’Italia, arrecando un danno a questi enti del Terzo settore in una fase delicata di cambiamento. Se la soluzione è quella legislativa, dunque, si prepari al più presto la proposta di legge che, più di tante altre alle quali abbiamo assistito, merita il carattere di necessità e urgenza. Altrimenti, si trovi un orientamento amministrativo comune che consenta agli enti associativi di procedere con serenità alla trasformazione in società.
Foto: profilo Facebook di Arci Solidarietà
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.