Welfare
Dal carcere un’idea, la filiera della sicurezza Processi veloci, pena certa. Ma guai se ci si dimentica dei percorsi di recupero. Anche l’Onu sostiene il progetto
giustizia Una proposta lanciata da Padova
di Redazione

La proposta proviene nientemeno che dall’Onu e dal Parlamento europeo. Destinatario il Consorzio Rebus, attivo da oltre dieci anni nel carcere Due Palazzi di Padova nel reinserimento lavorativo dei detenuti, a cui i due enti internazionali chiedono di far tesoro della sua esperienza alla luce di un importante risultato: l’abbattimento dal 90 all’1% del tasso di recidiva per chi segue un percorso di reinserimento. L’occasione è stata data dalla presentazione avvenuta nel carcere padovano di GoodFood, la sezione di Squisito! di San Patrignano dedicata alle realtà che combattono l’emarginazione e che ha visto come testimonial Andrea Muccioli e Dario Odifreddi, presidente della fondazione La Piazza dei Mestieri. Ospiti di rilievo Mario Mauro, vicepresidente del Parlamento europeo, e Jorge Rios, responsabile Progetti di sviluppo sostenibile dell’Unodc, l’ufficio Onu contro la droga e la criminalità.
«È difficile non emozionarsi vedendo quello che succede nel carcere di Padova», ha detto il rappresentante Onu. «Abbiamo visto un progetto completo, con uno stretto coinvolgimento tra settore privato e società civile. Una best practice che merita di essere condivisa con altri Paesi». «San Patrignano, Piazza dei Mestieri, Rebus hanno un minimo comun denominatore», dice il presidente del consorzio, Nicola Boscoletto, «sono esempi di sussidiarietà applicata e non blaterata»». La sfida ora si chiama “filiera della sicurezza”: «Va garantita la sicurezza ai cittadini e alla comunità. Perciò: primo passaggio, va arrestato e processato in fretta chi compie dei reati. Secondo: la pena deve essere certa. Terzo: certissimo deve essere il percorso di recupero. Se il terzo passaggio non c’è, i primi due punti vengono vanificati. Se lo Stato restituisce queste persone alla società peggio di quando sono entrate in carcere, anzi formate in delinquenza, come può aumentare la sicurezza?». Un concetto ben riassunto in un motto che campeggiava all’entrata del carcere di Noto: «Vigilando redimere». Correva l’anno 1951: la Costituzione era appena nata, con un articolo 27 che recita «le pene (?) devono tendere alla rieducazione del condannato». Niente di nuovo, ma tanto da fare?
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