Non profit

Dall’uomo flessibileball’uomo artigiano

di Redazione

L ‘ ultimo film ( La felicità porta fortuna ) di Mike Leigh, ora nelle sale, è curiosamente un film ottimista. Fatto strano per un grande regista, che ci ha abituati a sguardi ravvicinati e mai edulcorati sulla realtà. Leigh è un uomo di sinistra, un intellettuale di successo. Ebbene, in una delle prime sequenze di questo suo nuovo film , la simpaticissima protagonista entra in una piccola libreria londinese, e si trova tra le mani un volume con un titolo che suona pressapoco così: «Impariamo ad andare in fondo alla realtà». Lei lo ripone con un certo fastidio, esclamando tra sé: «Meglio tenersi lontani dalla realtà». A quel punto il film prende il via, con il suo carico, a volte travolgente, di simpatia. Tutti tifiamo per lei, ma quella battuta iniziale ci condiziona: l’avventura che Pobby, la protagonista, sta vivendo è solo una favola. L’ottimismo di Leigh quindi è un ottimismo che per reggere deve prescindere dalla realtà e dai suoi condizionamenti ( potete leggere la recensione di Maurizio Regosa a pagina 44 ).
Per una strana coincidenza, proprio negli stessi giorni, è uscito in Italia l’ultimo libro di Richard Sennett. Sennett è il sociologo che negli ultimi decenni ha anticipato con grande talento intuitivo i grandi fenomeni che preparavamo a vivere: primo tra tutti quello della “flessibilità”. Ora Sennett sembrerebbe annunciare una svolta in controtendenza, che pochi hanno messo nel conto. La formula suggestiva e un po’ sorprendente che ha coniato è quella dell’ Uomo artigiano ( The Craftsman nella versione originale inglese). Nell’era del virtuale, il senso del proprio essere, dice Sennett, sarà sempre più determinato dal desiderio e dalla capacità di fare bene una cosa. La materialità anziché chiudere l’uomo nel guscio angusto dei gesti ripetitivi, sarà l’ancora di salvezza che rimette l’uomo in rapporto con il mondo, con «l’esterno» per usare una parola del sociologo americano. Non è un passo indietro, è una via di uscita dal vicolo cieco in cui è finita una società competitiva ed esasperatamente centrata sulle abilità individuali (quelle abilità che non lasciano traccia e che non hanno eredi: spariscono quando sparisce il soggetto che ne è depositario geloso). L’uomo artigiano invece è l’uomo che torna a mettersi in rapporto con le competenze degli altri, che recupera un senso pienamente vissuto del lavoro, che è – dice Sennett – un «lavorare insieme». È l’uomo che riparte dalla realtà, non considerandola un gravame ma una ricchezza imprescindibile.
Ci piace usare di questa contrapposizione perché alla base delle riflessioni sia di Leigh che di Sennett c’è uno stesso desiderio: quello di ristabilire un nesso tra le storie individuali e una possibile felicità. Ma per Leigh la felicità è una faccenda legata alle condizioni speciali di una creatura da favola. Per Sennett invece la felicità si genera nella soddisfazione di una relazione compiuta: con il proprio lavoro e con la collaborazione non più competitiva con chi ci sta attorno. Ovviamente, se le cose vanno nella direzione indicata da Sennett, si può ben immaginare quali chance si spalanchino per il non profit. È proprio il caso di dirlo: apriamo gli occhi e mettiamoci in cammino…

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.