Mondo
Damien Glez: “Hanno ucciso dei monumenti”
La testimonianza esclusiva del vignettista franco-burkinabé Damien Glez per il quale i vignettisti di Charlie Hebdo «non vorrebbero vederci piangere, ma lottare per la libertà, ciascuno a suo modo. Non possiamo regalare ai terroristi la paura»
di Redazione

Di notorietà internazionale, il vignettista franco-burkinabé Damien Glez conosceva bene i disegnatori di Charlie Hebdo uccisi ieri a Parigi. «Sono crollati dei monumenti della stampa, dei vignettisti immensi, che non vorrebbero vederci piangere, ma lottare per la libertà».
Ecco la sua testimonianza esclusiva.
Cabu, Wolinski, Charb, Tignous, Honoré. Ogni volta che sente pronunciare questi nomi, a Damien Glez vengono i brividi. «Li conoscevo bene, alcuni di loro come Tignous, molto bene. Sono perdite umane e professionali immense, ma conoscendoli, nessuno di loro vorrebbe vederci sprofondare nella compassione o rendere la loro morte ancora più tragica di quella che è». Le parole pronunciate dal celebre vignettista africano suonano come un monito. Le nostre lacrime, seppur sincere, vanno asciugate in fretta per «proseguire la loro lotta per la libertà, ognuno a modo suo»
In questa intervista rilasciata a Vita.it, il direttore del giornale satirico burkinabé “Le Journal du Jeudi” e vignettista di notorietà internazionale offre uno sguardo lucido e appassionato su una professione sotto schock.
Damien, lei conosceva i vignettisti di Charlie Hebdo, alcuni di loro come Tignous, anche molto bene. Come ha reagito dopo l’annuncio della loro morte ?
Sono ancora sotto shock. Non riesco a trovare le parole. È vero che i vignettisti non amano molto parlare, ma questo dramma supera davvero ognia mia immaginazione. Si sa che Charlie Hebdo non amava, e non ama tutt’ora la commiserazione. E del resto le stesse vittime non avrebbero apprezzato il fatto che piangiamo sulla loro sorte, quindi d’istinto mi rinchiudo nel silenzio. Quello che posso dire è che la comunità dei vignettisti nutre una rabbia profonda contro un’agressione che non ha precedenti nella storia di questa categoria professionale. Oggi vogliamo riprendere il testimone e continuare a lavorare perché la più grande vittoria che possiamo regalare ai terroristi è la paura. È necessario prendere in mano le nostre matite e rimetterci a disegnare. Come prima, più di prima.
Oggi in molti parti del mondo la gente ha osservato un minuto di silenzio. Quale sarà il suo omaggio?
Ogni disegnatore ha il proprio stile, anche se disegnare su e per Charlie Hebdo sarà un tentativo di avvicinarsi allo stile di Charlie, a quello che il giornale vorrebbe pubblicare su questo tema e che sicuramente farà la prossima settimana. Bisogna stare lontani dai toni della commiserazione. Alcuni vignettisti hanno deciso di adottare un approccio tenero, altri affrontano di petto gli islamisti per fargli capire che non hanno vinto la guerra, e nemmeno una vittoria.
Per quanto ci riguarda, rendere un omaggio vibrante e sentito agli amici di Charlie, anche perché il nostro magazine ha sempre avuto rapporti stretti con la sua redazione. Negli anni ’90, una parte si era trasferita a Ouagadougou per produrre un numero speciale assieme al Journal du Jeudi. Tra loro, vorrei ricordare Luz, che per fortuna è sopravvissuto all’attacco di ieri.
Che cosa rappresenta Charlie Hebdo ai suoi occhi ?
Era un giornale con le palle. I disegnatori uccisi erano dei vignettisti dal talento immenso, erano dei pilastri della cultura satirica francese, e si sa che la Francia è stato un paese all’avanguardia in tema di satira, sin dal XIX secolo con Daumier. Cabu e Wolinski, per citare i veterani, hanno segnato la storia della stampa francese e francofona, e della satira in particolare. Ieri sono crollati dei monumenti, hanno ucciso dei monumenti.
E anche amici…
Conoscevo molto bene Tignous, che era venuto a Ouagadougou, ma anche Cabu nell’ambito dell’associazione fondata da Plantu Cartoonist for Peace e Wolinski nel corso di una mostra collettiva. Quello che mi colpisce è il paradosso immenso tra la loro morte avvenuta in condizioni terribili, e la loro immensa umanità. Sono stati accusati di irresponsabilità e di cattiveria, quando erano invece persone dotate di una estrema sensibilità umana e intellettuale, nonché di una dolcezza infinita. Loro stessi avevano finito per definirsi stupidi e cattivi, quando ovviamente non lo erano. A 77 anni, Cabu era ancora un vecchio adolescente che sorrideva a tutti. I suoi disegni potevamo sembrare posticci, ma non sono mai stati agressivi. Cabu voleva provocare per scuotere la gente e far riflettere, senza essere sgradevole.
Condivide il loro approccio dell’Islam?
Ogni disegnatore effettua scelte in base alla sua identità, la linea editoriale del giornale per cui lavora o collabora, e il paese in cui vive. Alcuni giudicano più opportuno aggirare i divieti e non attacare gli islamisti di petto, e cioè attraverso Maometto perché disegnare il profeta equivale a provocare il malcontento di una parte del popolo musulmano, con risultati contro produttivi. Poi ci sono i vignettisti, special modo i francesi, convinti che sono gli eredi di una cultura, quella della satira, che risale a più di un secolo fa e che mai andrebbe tradita.
In Africa la stampa è molto più giovane, e spesso i giornalisti devono prendere in considerazione una popolazione molto credente e estremamente sensibile ai temi religiosi. In tale contesto, non vogliano offendere nessuno, cosa che del resto non fa parte degli scopi di un disegno.
Il vero problema di Charlie Hebdo come sappiamo è la rappresentazione che hanno fatto di Maometto. E su questo punto, la loro posizione è difendibile. Certo Maometto è innazitutto un personaggio storico, poi ognuno di noi se lo appropria a modo suo, ma un vignettista ha il diritto di rappresentare un personaggio storico, sotto qualsiasi forma e in qualunque cirostanza.
Ha mai fatto vignette su Maometto ?
Sì, ma non le ho pubblicati in Burkina perché la gente le avrebbe accolto male. Non è paura, perché non ci sono problemi religiosi particolari nel mio paese, ma un gesto preventivo nei confronti della comunità musulmana. Invece ci ho povato con la figura di Gesù, e in questo caso ho ricevuto lettere molto agressive, in alcuni casi minacciose. Forse questa esperienza mi è bastata per non pubblicare disegni su Maometto in Burkina, cosa che invece ho fatto su giornali europei o panafricani.
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.