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Darfur: il grido d’allarme dell’Acnur

"Il deteriorarsi della crisi del Darfur minaccia la regione"

di Redazione

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, António Guterres, ha oggi messo in guardia la comunità internazionale sul fatto che il deteriorarsi della situazione nella regione sudanese del Darfur rischia di innescare un’altra ondata di esodi forzati, suscettibile di destabilizzare l’intera regione.

“Le Agenzie umanitarie si stanno già adoperando in tutti i modi per far fronte agli ingenti bisogni dei circa 2 milioni di sfollati interni in Darfur e degli oltre 200mila rifugiati che si trovano in 12 campi gestiti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) al di là del confine con il Ciad”, ha detto Guterres. “Il deteriorarsi della situazione della sicurezza ci impedisce di fornire aiuti in vaste aree del Darfur, mentre nel confinante Ciad le nostre risorse si stanno esaurendo. La situazione, già molto grave, sta peggiorando giorno dopo giorno”.

Guterres ha menzionato la mancanza di sicurezza, il problema dell’inaccessibilità a numerose aree, come anche la continua incertezza sull’intervento delle forze di peacekeeping delle Nazioni Unite, recentemente approvato dal Consiglio di Sicurezza, al quale però il governo di Khartoum si oppone. Inoltre nel corso delle ultime settimane migliaia di truppe sudanesi sono state inviate in Darfur, rafforzando il timore di una pesante offensiva militare che potrebbe causare ulteriori esodi forzati.

“Milioni di persone corrono già gravi rischi”, ha affermato l’Alto Commissario. “Centinaia di esse stanno ancora morendo a causa delle violenze e migliaia di individui sono costretti ad abbandonare i loro villaggi. È necessario un’urgente intervento della comunità internazionale per far pressione sulle parti coinvolte nel conflitto e convincerle a lasciare che le agenzie umanitarie facciano il loro lavoro in condizioni di sicurezza. Molte vite dipendono da ciò. Se la situazione non migliora, si profila una grave catastrofe.”

Nel Darfur meridionale e occidentale l’UNHCR dispone di sei uffici e di circa 100 operatori impegnati in attività di monitoraggio e protezione. Dal dicembre scorso la situazione in Darfur è andata deteriorandosi costantemente. Dodici operatori umanitari sono stati uccisi dal mese di maggio, i convogli umanitari vengono assaltati ripetutamente, i veicoli vengono rubati e sono stati attaccati anche uffici e compound. Alcune aree possono essere raggiunte dal personale umanitario soltanto in elicottero.

Guterres ha aggiunto che il deteriorarsi della situazione in Darfur potrebbe avere gravi conseguenze per il resto della regione. Il confinante Ciad, dove dodici campi allestiti dall’UNHCR in zone remote e in un ambiente estremamente difficile ospitano al momento più di 200mila rifugiati originari del Darfur, è già alle prese con il clima di insicurezza nei pressi del confine, che ha costretto circa 50mila ciadiani ad abbandonare i loro villaggi. 15mila di essi sono fuggiti in Darfur. La crisi in Darfur potrebbe inoltre esacerbare la instabilità cronica nelle aree settentrionali della Repubblica Centrafricana. Circa 46mila rifugiati centrafricani si trovano infatti attualmente in tre campi gestiti dall’UNHCR nel Ciad meridionale.

“Il Ciad si è sempre dimostrato molto generoso nel soccorrere i rifugiati, ma le sue capacità di far fronte all’afflusso di rifugiati si stanno esaurendo”, ha fatto presente Guterres. “E’ arduo anche solo immaginare le dimensioni e la gravità della crisi che ci troveremmo ad affrontare nel caso in cui ulteriori esodi forzati abbiano luogo in Darfur. Anche senza considerare la violenza e l’insicurezza le operazioni umanitarie in questa regione remota e povera di risorse sono estremamente difficili.”

Anche l’unico segno incoraggiante – il ritorno ai villaggi originari nel Sudan meridionale di migliaia di rifugiati e sfollati sudanesi attualmente in corso – potrebbe essere interessato dal possibile aggravarsi della crisi in Darfur. Personale e risorse, infatti, dovrebbero sicuramente essere trasferite dalle operazioni nel Sudan meridionale – già pesantemente sottofinanziate – per far fronte al nuovo possibile spostamento forzato di popolazione.

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