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Cooperazione & Relazioni internazionali

Darfur: Procuratore tribunale internazionale chiede mandato arresto per Bashir

di Giulio Albanese

Il procuratore della Corte Penale Internazionale, Luis Moreno-Ocampo, ha chiesto ai giudici della Cpi di incriminare il presidente sudanese Omar Hassan el Bashir, allegando alla richiesta nuovi elementi di prova sui crimini di guerra commessi dal capo di Stato sudanese nel Darfur. In una nota diramata dall’ufficio di Ocampo si legge che il procuratore ha presentato oggi le prove che mostrano come il presidente sudanese si è macchiato di genocidio ed ha commesso crimini contro l’umanità e crimini di guerra nel Darfur. Com’è noto, la società civile mondiale, nelle sue molteplici componenti, ha sempre difeso il ruolo della Corte dell’Aja, nata con lo statuto di Roma del 1998, ratificato da 106 Paesi. Ma tale provvedimento, anticipato alcuni giorni fa dal Washington Post, sta già suscitando in molti ambienti una forte preoccupazione per le sue possibili ripercussioni nel difficile negoziato tra governo e ribelli nel Darfur. Da rilevare che i sostenitori dell’azione legale contro Bashir respingono ogni critica ricordando come il presidente sudanese non sia mai stato effettivamente impegnato nella ricerca di una soluzione pacifica e ritengono che l’incriminazione potrebbe costringerlo al tavolo negoziale. Finora, in merito alla questione darfuriana, Moreno-Ocampo aveva fatto spiccare due mandati di arresto per crimini di guerra e contro l’umanità per l’ex ministro dell’Interno Ahmed Harun, oggi responsabile del dicastero degli Affari umanitari, e per il leader delle famigerate milizie dei janjaweed (‘ diavoli a cavallo’), Ali Kosheib. Da notare che questi atti giudiziari non hanno mai avuto alcun seguito, a fronte del secco rifiuto di Khartoum di consegnare i due ricercati all’Aja. Ecco allora che da una parte l’incriminazione di Bashir conferma indubbiamente il coinvolgimento nelle atrocità commesse nel Darfur dei più alti esponenti del regime, come peraltro denunciato ripetutamente da diverse organizzazioni umanitarie; dall’altra, però, è illusorio pensare che il Sudan consegni nelle mani della giustizia internazionale la propria massima autorità. Come ho avuto già modo di scrivere in questi giorni, ritengo che sia davvero ingenuo pretendere che questo passo della Corte possa,ipso facto, determinare un miglioramento della situazione dei diritti umani in Sudan. Sarebbe stato auspicabile pertanto che la diplomazia internazionale fosse stata messa nelle condizioni di fare il proprio corso, senza dover subire interferenze, in uno scenario, quello darfuriano, in cui è tragicamente urgente arrivare a una pace. Chi scrive in questi anni ha sempre stigmatizzato l’operato del regime sudanese, ma in un contesto così delicato come è oggi quello del Darfur, i pronunciamenti dell’Aja, inutile nasconderselo, potrebbero avere delle gravi ripercussioni a livello negoziale. Se le cancellerie dovessero fallire la loro missione diplomatica nel Darfur, dove è in gioco il destino di milioni d’innocenti, sarebbe un brutto guaio.


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