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Debito. E fu davvero Giubileo

Giovanni Paolo II lanciò la sua offensiva nel 1994.

di Riccardo Moro

In questa prospettiva, ricordando che Gesù è venuto ad «evangelizzare i poveri» (Mt 11, 5; Lc 7, 22), come non sottolineare più decisamente l?opzione preferenziale della Chiesa per i poveri e gli emarginati? Si deve anzi dire che l?impegno per la giustizia e per la pace in un mondo come il nostro, segnato da tanti conflitti e da intollerabili disuguaglianze sociali ed economiche, è un aspetto qualificante della preparazione e della celebrazione del Giubileo. Così, nello spirito del Libro del Levitico (25, 8-28), i cristiani dovranno farsi voce di tutti i poveri del mondo, proponendo il Giubileo come un tempo opportuno per pensare, tra l?altro, a una consistente riduzione, se non proprio al totale condono, del debito internazionale, che pesa sul destino di molte nazioni. Giovanni Paolo II Le parole del Papa nella Tertio Millennio Adveniente che lanciò il Giubileo, sono piuttosto essenziali. Non hanno una retorica roboante e sembrano suggerire una direzione, più che richiederla, ma rilette con attenzione costituiscono un vero e proprio appello. Il Papa vuole caratterizzare il tempo del Giubileo come occasione per vivere «più decisamente l?opzione preferenziale della Chiesa per i poveri e gli emarginati (?) e l?impegno per la giustizia e per la pace». Siamo nel 1994, a sei anni dal Giubileo, più di dieci anni fa, e non è la prima volta che Giovanni Paolo II interviene sul tema del debito e della giustizia internazionale. Già nella Centesimus annus nel 1991 il Papa aveva citato la questione del debito internazionale (Centesimus annus n. 35) e prima ancora ne aveva parlato nel Messaggio alla 40a Assemblea generale delle Nazioni Unite dell?ottobre 1984. E ancora aveva promosso la riflessione sull?argomento da parte del Pontificio Consiglio per la giustizia che è culminata nella pubblicazione del documento Un approccio etico al debito internazionale del 1986. Levitico, capitolo 25 L?attenzione su questo problema nasceva dalla constatazione che la crisi del debito internazionale comportava gravissimi problemi sociali e politici, aggravati dalla sostanziale disattenzione della comunità internazionale. I Paesi in via di sviluppo erano indebitati con le istituzioni finanziarie internazionali e con le nazioni ricche, e la dinamica dei tassi di interesse e del valore del dollaro, che si apprezzava rispetto alle monete dei Paesi debitori (elementi su cui i Paesi del Sud del mondo non avevano modo di esercitare influenza), resero il debito impagabile anche quando il denaro prestato era stato usato senza sprechi. La dimensione del debito era tale che i Paesi erano costretti a utilizzare le loro scarse risorse finanziarie per il pagamento degli interessi, sottraendole al finanziamento di scuole e ospedali e in generale agli investimenti per lo sviluppo. In questo modo il debito, di fatto, diventava una condanna al sottosviluppo, una sorta di moderna forma di schiavitù. Per questo, Giovanni Paolo II decide di caratterizzare il Giubileo con un impegno sul debito in coerenza con il messaggio contenuto in un testo dell?Antico Testamento, il capitolo 25 del Libro del Levitico, nel quale il Signore parla al popolo di Israele e dispone che ogni cinquant?anni si ritorni all?equilibrio iniziale che corrisponde alla distribuzione della terra tra le famiglie del suo popolo operata da Dio stesso secondo giustizia. I membri del popolo di Israele sono liberi di operare economicamente, scambiandosi la terra e prestandosi denaro, ma occorre evitare che gli scambi e le diverse capacità possano creare una situazione in cui alcuni dispongono di molto e altri sono privati definitivamente delle loro proprietà e addirittura della loro libertà. All?epoca, infatti, concedersi in schiavitù al proprio creditore, dopo avergli ceduto la propria terra, era l?ultima risorsa disponibile per pagare i propri debiti. Il Giubileo, nelle indicazioni del Levitico, era il tempo in cui la terra tornava alle famiglie di origine, i debiti erano cancellati e la libertà resa agli schiavi. In modo analogo, il Papa chiede che si entri nel nuovo millennio in condizioni di pari dignità per tutti, senza la schiavitù di un debito che impedisce lo sviluppo. Cancellare il debito significa dunque liberare risorse che possono essere utilizzate per finanziare un cammino di liberazione. L?appello del Papa apparentemente riguarda un aspetto particolare delle relazioni tra la parte ricca e quella povera del pianeta. Di fatto, si colloca in una prospettiva più ampia che coinvolge l?intera questione della costruzione della giustizia e della pace che trova in qualche modo il proprio compimento proprio nel Giubileo. Questo appare evidente osservando il contesto in cui ogni volta egli colloca i suoi interventi sul tema. Venti milioni di firme Che cosa è accaduto dopo le parole del Papa? Che cosa hanno generato? Credo si possa rispondere tenendo conto di due dimensioni. La prima è quella della iniziativa internazionale delle istituzioni e dei governi. Fondo monetario internazionale e Banca mondiale, il gruppo dei G7 e in generale le nazioni creditrici hanno accettato di avviare iniziative di riduzione del debito di una certa consistenza. La nota iniziativa Hipc, rivolta a una quarantina di Paesi a basso reddito è stata lanciata nel 1996 da Banca e Fondo, su pressione del G7, come risposta all?appello giubilare. Ha prodotto riduzioni del debito per 27 Paesi, concentrati soprattutto in Africa, e avviato un percorso destinato a proseguire anche in futuro. Il numero di nazioni toccate è ancora troppo ridotto, ma non si può negare un impegno nuovo da parte del mondo dei creditori che sino a qualche anno fa dichiaravano che fosse impossibile cancellare il debito e oggi competono per apparire i primi della classe per somme cancellate. La seconda dimensione è quella della società civile, che si è impegnata a raccogliere le parole del Papa e a rilanciarle in tutto il mondo dando vita a quella che è stata forse la prima grande campagna globale della storia. Se in passato il movimento per i diritti umani aveva lottato contro l?apartheid o le mine antiuomo ottenendo dopo molti anni i risultati sperati, con la campagna sul debito abbiamo assistito in pochissimo tempo alla formazione di una grande coalizione mondiale che ha avuto il suo momento più alto nel luglio 1999 quando ai capi di Stato del G7 riuniti a Colonia sono stati consegnati quasi venti milioni di firme che sottoscrivevano l?appello per la cancellazione del debito. Ciò che però è interessante non è solo il risultato immediato intorno alla questione del debito, come l?iniziativa Hipc o la legge italiana. L?appello sul debito ha suscitato una sorta di effetto-valanga che sta caratterizzando il dibattito internazionale. Mi riferisco alla riflessione che il dibattito intorno al debito ha suscitato. Porre la questione del debito infatti richiamava due altre questioni: da un lato quella della legittimità della domanda di cancellazione, dall?altro quella delle modalità di utilizzo delle somme liberate. La prima riflessione era centrata ovviamente sulla questione della giustizia. Pagare i debiti è normale, ma si può accettare che il prezzo del debito sia il sottosviluppo? È ammissibile che oggi sul pianeta la maggioranza dei cittadini possa vivere in condizioni di sistematica vulnerabilità mentre la minoranza gode di protezioni e tutele incomparabilmente superiori e inaccessibili ai primi? Si può continuare a convivere con la scandalosa povertà che oggi colora di sé prima di tutto l?Africa e con lei le altre regioni ?dimenticate? del pianeta? È questo il dibattito che ha generato l?attenzione delle Nazioni Unite dedicate allo sviluppo e in particolare la Conferenza internazionale di Monterrey del 2001 dedicata al Finanziamento dello sviluppo e, proprio durante l?anno giubilare, l?Assemblea delle Nazioni Unite che ha scelto i Millennium development goals (Obiettivi di sviluppo del millennio), con i quali le nazioni del mondo si sono poste l?obiettivo di dimezzare la povertà nel pianeta entro il 2015. No al mercato selvaggio A questa attenzione si è arrivati anche grazie allo sviluppo della seconda riflessione, quella dedicata all?utilizzo delle somme liberate con le cancellazioni del debito. Avviata in modo pragmatico, per assicurare che la cancellazione del debito non si risolvesse in uno spreco di risorse pubbliche o, peggio, in finanziamento di impieghi perversi come l?acquisto di armi, la discussione arrivò più o meno naturalmente a riconoscere la riduzione della povertà come obiettivo e destinazione principale delle operazioni di riduzione del debito. Discutere sull?efficacia della lotta alla povertà ha portato poi molto più lontano di quanto si pensasse, mettendo in discussione l?intero approccio che aveva caratterizzato l?azione delle istituzioni finanziarie internazionali e dei Paesi ricchi, quello dei famigerati aggiustamenti strutturali, liberalizzazioni selvagge dell?economia che hanno seminato morte nel Sud del mondo, distruggendo di fatto le vulnerabili economie nascenti di quei Paesi. Discutendo di efficacia si è giunti a sottolineare l?importanza della ownership locale, della priorità della politica, ribadendo il ruolo dello Stato espressione della comunità nazionale, che disegna una spesa pubblica orientata alla istruzione e alla formazione. Soprattutto, si è affermata la necessità di non lasciar fare tutto solo al mercato, ma di coinvolgere tutte le forze sociali locali: istituzioni, settore privato e società civile per discutere insieme le politiche nazionali. Proprio quest?ultimo aspetto costituisce la terza novità. L?attenzione alla società civile, che si è di fatto imposta come interlocutore, è divenuta ormai regola nel comportamento di governi e istituzioni. I programmi strategici di riduzione della povertà che ogni Paese deve redigere per accedere a riduzioni del debito e nuovi finanziamenti sono accettabili se frutto di un percorso partecipato dalla società civile. Cittadinanza mondiale Attenzione globale alla riduzione della povertà come dovere di tutta la comunità internazionale nella costruzione della giustizia, trasformazione e rinnovamento degli strumenti concreti di lotta alla povertà e nuovo ruolo della società civile, come forma rinnovata di esercizio democratico mi paiono essere tre fra le conseguenze più interessanti di un appello, quello per la cancellazione del debito, che nei primi tempi aveva addirittura fatto dubitare qualche operatore dell?equilibrio del pontefice. Non è un caso forse che nel messaggio per la Giornata della pace di quest?anno, l?ultimo che questo Papa ci ha lasciato, egli torni a parlare di debito all?interno di una forte domanda di assunzione di responsabilità intorno alla sfida della riduzione della povertà, a cominciare dall?Africa, come modalità concreta per costruire la giustizia e la pace, introducendo il concetto di ?cittadinanza mondiale? che proprio le campagne sul debito avevano dato modo di sperimentare.


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