Welfare

Decreto Rilancio, 4 proposte per rimettere al centro i giovani

L'ex sottosegretario al Welfare: "Nelle misure del governo finora le nuove generazioni sono state ignorate. Come rimediare? Si potrebbe destinare un miliardo a quattro nuove misure orientate a sviluppare nuove competenze, rafforzare ed allargare il sistema duale di apprendimento, favorire l’inserimento lavorativo dei giovani e proteggere il nuovo lavoro “on demande” gestito dalle piattaforme"

di Luigi Bobba

“Non lasciateci in panchina”. Questo il grido che sale da una recentissima indagine tra i giovani di cinque paesi europei (Italia, Francia, Germania Spagna e Regno Unito) con un’età compresa tra i 18 e i 34 anni, condotta da Ipsos per conto dell’Osservatorio Giovani dell’Università Cattolica di Milano e del Dipartimento politiche della famiglia. Il 60 % dei giovani italiani ritiene che l’emergenza Covid-19 avrà conseguenze negative per i propri progetti per il futuro (trovare un lavoro, andare a vivere per conto proprio, sposarsi, avere un figlio, spostarsi in un ‘altra città o Paese), mentre ciò è vero solo per poco più del 40% dei giovani francesi e tedeschi. Ma il dato più inquietante – come ha osservato il professor Alessandro Rosina -, è che per i giovani italiani questa frustrazione delle proprie aspettative di vita si va a sommare al fatto che, già prima del Corona virus, la loro condizione rispetto ai giovani degli altri paesi europei era per così dire “in ritardo”. Si esce più tardi dalla casa dei genitori, ci si sposa o si va a convivere in età più avanzata, si trova un lavoro diverso tempo dopo aver concluso gli studi e il primo figlio arriva spesso dopo i 30 anni.

Eppure nel decreto “Rilancio Italia”, questo dato inquietante sembra non trovare attenzione. I giovani appaiono come i nuovi invisibili, per loro e per i loro progetti non c’è posto. E’ vero che il decreto si preoccupa di proteggere milioni di lavoratori e lavoratrici che rischiano di perdere il lavoro o che hanno visto il loro reddito più che dimezzato. Così pure, il provvedimento introduce finalmente una regolarizzazione per i lavoratori migranti e si ricorda anche delle colf e delle badanti dimenticate invece dal Cura Italia. Ma se si vanno scorrere i molti articoli del corposo testo del decreto, difficilmente si trova un’attenzione adeguata a quanto l’indagine curata da Rosina ha messo in luce. Poichè la crisi in cui siamo immersi può essere anche un’occasione per innovare e per restituire futuro alle generazioni più giovani, suggerisco alcune piste di lavoro che potrebbero essere recepite con emendamenti allo stesso decreto Rilancio nel prossimo iter parlamentare.

Si obietterà: ma con quali soldi? Rispondo che forse anziché gettare nella “fornace” di Alitalia altri tre miliardi, si potrebbe destinare un miliardo a quattro nuove misure orientate a sviluppare nuove competenze, rafforzare ed allargare il sistema duale di apprendimento, favorire l’inserimento lavorativo dei giovani e proteggere il nuovo lavoro “on deman” gestito dalle piattaforme.

Prima misura: il decreto non prevede alcun nuovo finanziamento per il Servizio civile. Non va bene. Propongo di avviare, coinvolgendo anche i giovani in servizio civile, un piano straordinario per arginare il “digital divide” che la crisi ha reso ancora più evidente. Ingaggiare 30.000 giovani che si prendano in carico 150.000 famiglie con presenza di minori, per accompagnarle in un programma di alfabetizzazione informatica, rendendole capaci di utilizzare tecnologie digitali e di sostenere i figli nei processi di formazione a distanza. Un segnale in questa direzione ci viene da non poche esperienze territoriali, dove giovani volontari si sono messi a disposizione delle scuole per supportarle nell’insegnamento a distanza; come pure, da una norma del decreto, con la quale la ministra Bonetti si è riservata una quota, circa 15 milioni di euro, per interventi volti a contrastare la povertà educativa minorile. Il piano per contrastare il “digital divide” ha un duplice scopo: mobilitare decine di migliaia di giovani in un intervento formativo e prelavorativo; sostenere l’apprendimento di minori e adulti delle famiglie più sfavorite nell’uso di tecnologie digitali.

Secondo passo: se si vuole facilitare un inserimento al lavoro meno tardivo e incerto di quello attuale, occorre un investimento massiccio sull’apprendimento duale. Mi riferisco a due modalità già esistenti nel nostro ordinamento: gli ITS – Istituti tecnici superiori – e la IeFP (istruzione e formazione professionale) realizzata con alternanza rafforzata e in apprendistato formativo. Due strade che hanno dato negli anni scorsi ottimi risultati sia nella riduzione degli abbandoni scolastici che nell’ inserimento lavorativo. Anche qui un piccolo segnale è venuto dalla ministra dell’Istruzione Azzolina, che recentemente ha stanziato 30 milioni per gli ITS. Ma la percentuale dei giovani che in Italia consegue un titolo di studio con apprendimento duale (scuola e lavoro) è pari a poco più del 7%, mentre in Germania è superiore al 30%: e i risultati, in termini di tasso di occupazione dei giovani, si vedono!

Terzo step: il decreto Rilancio destina 230 milioni al “Fondo nuove competenze”, un fondo destinato a coprire i costi della formazione per i lavoratori interessati dai cambiamenti prodotti dalla crisi Covid-19. Iniziativa più che opportuna ma che lascia fuori tanti giovani che un lavoro vero non l’hanno ancora trovato o che sono rimasti impigliati in tante micro attività precarie e scarsamente regolate. Allora un po’ di coraggio: si incrementino le risorse di questo fondo in modo da poter consentire l’acquisizione di competenze e una migliore occupabilità proprio di questi giovani. A tal proposito ci si domanda dove siano finiti i “navigator”, dove sia finita l’App che avrebbe dovuto facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro promessa dal presidente dell’Anpal? Senza politiche attive del lavoro, la condizione occupazionale dei giovani è destinata solo a peggiorare.

Infine, aveva suscitato molto clamore, nell’estate del 2018, l’iniziativa dell’allora ministro del Lavoro Di Maio, di convocare i rappresentanti dei riders per annunciare un’imminente nuova regolazione del loro lavoro. Poi è calato il silenzio. Recentemente i riders si sono ripresi la scena proprio nel silenzio delle città diventate deserte per via del lockdown, denunciando come il loro lavoro fosse rimasto poco tutelato e scarsamente remunerato. Ora, non sprechiamo un’altra occasione per introdurre una regolazione normativa e contrattuale appropriata per il lavoro on demand, in modo che non siano solo i gestori delle grandi piattaforme a trarre profitto dal lavoro di tanti giovani. Le proposte in tal senso sono diverse – come quella delle Acli di utilizzare il contratto di lavoro interinale – ma una soluzione è urgente; perché queste forme di lavoro sono destinate a crescere e richiedono sempre più una regolazione flessibile ma capace di offrire una tutela adeguata alle persone. Quattro proposte per far entrare in partita i nostri giovani, senza i quali non ci potra’ essere un vero rilancio dell’Italia.


*presidente di Terzjus – Osservatorio di diritto del Terzo settore, della filantropia e dell'impresa sociale

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