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Detenuti e malati: la doppia condanna

Sieropositivi, tossicodipendenti, tubercolotici: nei nostri istituti di pena non hanno diritto alla cura. Uno scandalo che il Parlamento non si decide a eliminare.

di Alessandra Camarca

«La vita di un detenuto non è mai facile se poi è anche malato è addirittura in pericolo». Vittorio Agnoletto, presidente della Lila, Lega italiana per la lotta contro l?Aids (un personaggio spesso ?scomodo? per il modo dirompente con il quale denuncia ed espone i fatti) firma una denuncia presentata in un dossier il cui titolo dice già tutto: «Malati in carcere. Tante richieste d?aiuto, un solo messaggio: non lasciateci morire». Lo fa perché, nonostante le mille promesse, ben poco è cambiato e la situazione dei detenuti tossicodipendenti o affetti da tubercolosi è sempre più grave. A tutt?oggi, secondo la Lila, in nessun carcere è disponibile un trattamento di mantenimento con il metadone e i tossicodipendenti rappresentano il 30% della popolazione detenuta, ovvero circa 16 mila persone. Per la tubercolosi, anch?essa malattia diffusasi enormemente nelle carceri, i numeri non sono conosciuti perché, spiegano all?associazione, «l?amministrazione sanitaria si guarda bene dal renderli pubblici». La Lila è oggi impegnata su tre fronti per combattere l?indifferenza attuale verso il diritto alla salute dei detenuti: il ridimensionamento della funzione dei Centri clinici penitenziari, l?approvazione della legge Pisapia sull?incompatibilità tra carcere e malattia e l?abolizione della norma che prevede il rientro in carcere per cumulo di pene per quei detenuti che hanno avviato un percorso di inserimento sociale fuori dal penitenziario. Sono i Centri clinici penitenziari, comunque, il grande equivoco della legge penitenziaria. Per la loro abolizione la Lila impiega gran parte delle sue energie. Istituiti nel ?98 con una circolare emessa dal ministero della Sanità e dal ministero di Grazia e giustizia, questi centri non rispondono alle vere esigenze dei malati in prigione. Il problema, dicono all?associazione, è che non sono accreditati al Servizio sanitario nazionale come reparti di malattie infettive e per questo i medici che vi prestano servizio non possono prescrivere farmaci di fascia H, quali ad esempio gli inibitori della proteasi (indispensabili per la terapia contro il virus da Hiv: i sieropositivi in carcere sono 5 mila, mentre almeno 300 sono quelli in fase terminale). Un detenuto, quindi, che viene ricoverato presso uno di questi Centri può eseguire molti degli esami diagnostici necessari, ma il medico lì operante non può prescrivergli la terapia perchè il Centro non è strutturato come un reparto di malattie infettive. Per questo motivo il detenuto deve essere trasportato in un reparto esterno dove un medico possa prescrivergli i farmaci necessari. A questo punto, tanto per complicare le cose, il medico dell?Asl passa la richiesta al medico infettivologo del carcere il quale, a sua volta, la trasmette alla direzione del penitenziario, che infine chiede al ministero di acquistare quei farmaci dal Servizio sanitario nazionale. La conseguenza di questa prassi sono 30 – 40 giorni di attesa per il detenuto dal momento in cui si conoscono i risultati diagnostici alla reale disponibilità dei farmaci. Una soluzione ci sarebbe, per interrompere questa catena perversa, che spesso fa arrivare a destinazione la cura quando il detenuto è già stato trasferito in un altro penitenziario e deve ricominciare tutta la pratica (subendo gravi danni per l?interruzione della terapia). L?ha trovata, sotto forma di disegno di legge, il deputato del gruppo misto, Giuliano Pisapia. Il provvedimento (che secondo la Lila ha subito rilevanti modifiche nel corso dell?iter legislativo e che adesso lascia una pericolosa discrezionalità ai magistrati circa la sorte dei detenuti malati) è ora al vaglio di Camera e Senato. E proprio per ?salvarlo? dalle modifiche che la Lila propone la creazione di una corsia preferenziale in Senato o l?attribuzione in sede deliberante alla Commissione Giustizia del Senato e l?immediata ratifica della Commissione Giustizia della Camera. L?opinione di Vittorio Agnoletto Sanità uguale per tutti La Lila non vuole togliere ai medici penitenziari il diritto di curare i detenuti malati che conoscono bene. La nostra proposta non va affatto in questa direzione, più semplicemente intendiamo batterci per rendere lo standard qualitativo della sanità e dell?assistenza carceraria identico a quello che il sistema sanitario nazionale garantisce a tutti i liberi cittadini. Per questo, insieme alle altre richieste, solleciteremo la realizzazione della legge delega al governo per il passaggio della Sanità penitenziaria al Sistema sanitario nazionale. Affinché questo passaggio possa tradursi in un effettivo diritto alla salute dei detenuti, è necessario prevedere l?allargamento del personale medico all?interno delle carceri e della pianta organica e garantire l?inserimento in via preferenziale per quei medici che hanno già lavorato all?interno degli istituti penitenziari. E poi non deve essere dimenticato che attualmente il medico infettivologo che agisce all?interno della struttura penitenziaria è un medico dimezzato, assomiglia di più a un burocrate perché di fatto svolge un ruolo di semplice passacarte non potendo prescrivere direttamente la terapia all?ammalato. E non raramente accade che i Centri clinici penitenziari dispongano di strumenti diagnostici che, per il limitato uso richiesto, abbiano costi elevatissimi per singola prestazione, innescando così un infernale circolo vizioso. Solo saltando i passaggi burocratici per ottenere prescrizioni e cure dal Servizio sanitario nazionale, il diritto alla salute dei detenuti sarà equivalente a quello di un qualunque altro cittadino. presidente nazionale della Lila


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