Famiglia
Diario dell’adozione/2: Quelle brave persone che per mestiere si fanno i fatti vostri
Guai a prenderli sottogamba o indisporsi. Loro sono lì per capire se davvero siete adatti e pronti alladozione (di Andrea Giamarino e Mariachiara Rubino).
di Redazione
Il vestito è in ordine, il capello è a posto, le scarpe sono pulite. Meglio infilarsi in tasca un pacchetto di fazzoletti di carta, nel caso l?emozione facesse qualche scherzo. È il grande giorno, quello del primo appuntamento con l?assistente sociale, la persona (insieme alla psicologa) cui la legge chiede di decidere se siete o meno idonei ad adottare. La sua telefonata non si è fatta attendere troppo: qualche settimana dopo aver consegnato la domanda in Tribunale, è arrivata la chiamata per il primo appuntamento.
Pochi sfuggono all?effetto ?primo giorno di scuola?, quel misto di eccitazione (finalmente si fa sul serio) e timore (saremo all?altezza?) che si ha nell?affrontare una nuova avventura. O forse dovremmo dire ultimo giorno, quello (fatidico) degli esami. Già, perché di un vero e proprio esame si tratta. E questo agli aspiranti genitori adottivi non va proprio giù: ma come, con tutti i disgraziati che mettono al mondo figli senza farsi il minimo scrupolo, noi che ci abbiamo pensato tanto dobbiamo pure sottoporci a un esame?
Però c?è sempre un però. Casi di genitori che, ?gettano la spugna? dopo aver adottato e ?restituiscono? il figlio al Tribunale, purtroppo, non mancano. E quindi che ci sia un ?vaglio preventivo?, tutto sommato, ci sta.
Niente superman
Il numero e la tipologia dei colloqui d?idoneità varia. Non c?è uno standard prefissato né in termini di numero di incontri né di modalità: c?è chi fa incontri di gruppo con la presenza simultanea di più coppie e chi invece si concentra sulle singole coppie. Quello che non cambia sono i contenuti: statene certi, si faranno gli ?affari vostri?. Non per curiosità morbosa o sadismo – come magari qualche volta capita di pensare. Semplicemente, perché quello è il loro lavoro: cercare di capire se davvero siete disponibili a un?adozione. Anche il modo in cui vi presentate contribuisce a costruire il loro giudizio. Inutile presentarsi come Superman e Wonder Woman. Meglio cercare di essere se stessi.
Forse vi metteranno in difficoltà, in imbarazzo, o magari vi faranno arrabbiare: meglio cercare, per quanto ci si riesce, di non prenderla come un fatto personale. Come ad ogni esame che si rispetti, non mancheranno leggende più o meno vere sulla cattiveria di alcune domande o sulla supposta crudeltà di alcuni esaminatori. Non è il caso di dargli più di tanto peso. Forse lo possiamo dire perché sia l?assistente sociale sia la psicologa con cui noi abbiamo avuto a che fare sono state delle brave esaminatrici. Ma angosciarsi troppo non è mai granché utile. Meglio piuttosto prepararsi.
Arrivano i Carabinieri
Già, perché contrariamente a quanto accade di solito, nel caso dell?adozione il percorso standard prevederebbe che prima si faccia l?esame e poi il corso di preparazione. L?iter ?standard? prevede infatti i colloqui per l?idoneità, l?eventuale idoneità, la scelta dell?associazione (per chi opta per l?adozione internazionale) e poi il corso – obbligatorio – di preparazione. Fare qualche incontro, ancora meglio un corso per futuri genitori mentre si fanno i colloqui, o addirittura prima di affrontarli, agevola di parecchio il compito.
Un giorno che siete in casa soprappensiero, ecco che bussano alla porta i Carabinieri. Giusto il tempo di pensare se avete parcheggiato la macchina in garage, se avete pagato tutte le multe o che sia successa qualche tragedia ed ecco che vi spiegano che sono lì per la faccenda dell?adozione. Devono infatti certificare – non avessero altro da fare – che abitate lì dove abitate, se la casa è vostra e qual è il vostro reddito.
Ma torniamo ai colloqui: come si svolge l?indagine psicosociale? Vi viene chiesto di raccontare di voi come persona e di voi come coppia. Ci sono domande semplici – come vi siete conosciuti, quando vi siete sposati, chi sono e cosa fanno i vostri genitori, se avete fratelli o sorelle, che lavoro fate, che interessi avete -, altre più personali – la storia della vostra vita, il perché vi piace vostro marito o vostra moglie.
Poi arrivano le Domande, quelle con la D maiuscola: perché avete deciso di adottare, se avete indagato sul motivo per cui non riuscite ad avere figli (gran parte delle coppie che scelgono l?adozione oggi lo fanno per questa ragione), se siete sterili. E poi ancora come ve lo immaginate, perché avete detto – se lo avete detto – che lo volete piccolo, se lo vorreste o meno nero, se vi fa paura sapere che possa essere malato. E ancora: come reagireste se una volta arrivato in casa vostra vi dicesse che non vi vuole come genitori. O addirittura: cosa fareste se veniste a sapere che ha subito una violenza, o che è figlio di un incesto? Domande da far tremare i polsi. Per questo è sempre meglio prepararsi prima dei colloqui alle domande che possono fare e alle risposte da dare. Nessuno ci chiede di essere degli psicologi esperti, ma di essere persone che si pongono delle domande e che magari sanno chiedere aiuto quando serve, quello sì.
Suona il campanello
Il penultimo atto è la visita a domicilio: siete oramai arrivati in dirittura d?arrivo, ma è il caso di mantenere comunque alta la guardia. Non si tratta infatti di una visita di cortesia, ma di un vero controllo dell?idoneità del luogo in cui vivete ad accogliere eventuali figli. Quindi casa in ordine, ambiente modello pubblicità dei pavimenti. Vedere la casa, significa di norma tutta la casa: non sentitevi troppo ?invasi?, non c?è nulla di personale.
Passata anche questa, c?è l?ultimo appuntamento: la lettura della relazione psicosociale. Oramai siete arrivati in fondo: il primo traguardo è tagliato. Sentirvi ?raccontati? da qualcuno che in fondo vi conosce appena è una sensazione un po? strana. Se avete eventuali dubbi importanti, meglio chiarirli. Quella relazione è il vostro lasciapassare per tutto il cammino successivo.
Andrea Giamarino
Mariachiara Rubino
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