Sezioni

Attivismo civico & Terzo settore Cooperazione & Relazioni internazionali Economia & Impresa sociale  Education & Scuola Famiglia & Minori Leggi & Norme Media, Arte, Cultura Politica & Istituzioni Sanità & Ricerca Solidarietà & Volontariato Sostenibilità sociale e ambientale Welfare & Lavoro

Europa e sostenibilità

Diligenza imprese, la Germania non molla e la direttiva resta al palo

Il provvedimento, che avrebbe obbligato le imprese europee a vigilare sulla filiera e quindi controllare che i fornitori rispettassero diritti umani e ambiente, salta di nuovo. Malgrado gli sforzi della presidenza belga, il Consiglio europeo non trova la maggioranza, per la strenua contrarietà di Berlino. Sulla materia era stato raggiunto un accordo a dicembre, per questo la parlamentare olandese Lara Wolters, relatrice a Strasburgo, grida all'oltraggio da parte degli Stati membri. Le prime reazioni in Italia

di Giampaolo Cerri

Press conference on corporate sustainability due diligence directive

Diligenza addio. L’ulteriore accantonamento, questa mattina, da parte del Consiglio europeo a presidenza belga fa calare il sipario, almeno per questa legislatura, sulla Direttiva sulla diligenza dovuta, la Csddd o anche Cs3d, ossia quel provvedimento – per il quale Parlamento e Consiglio e avevano raggiunto un accordo di massima nel dicembre scorso – e che avrebbe obbligato molte aziende europee (oltre i 500 dipendenti) a verificare che nella filiera si rispettassero i diritti umani e l’ambiente.

Il voltafaccia di Berlino

All’inizio dell’anno, come ricorderanno i lettori di VITA ma soprattutto quanti, fra i nostri abbonati, leggono la newsletter ProdurreBene che ricevono in esclusiva, all’inizio dell’anno, dicevamo, s’era andata palesando la contrarietà tedesca. La fronda era nata in seno all’esecutivo di Berlino, per iniziativa del Partito liberale molto sensibile alle ragioni di alcuni grandi ìndustriali germanici, che paventavano un aumento di costi, in materia di controllo, di chiusura di alcuni mercati e di rischi legali legati alla responsabilità.

Alla contrarietà tedesca, era subito seguita la dichiarata astensione di Finlandia, Austria e, un po’ a sorpresa, dell’Italia che, in passato, aveva sostenuto sempre il provvedimento e soprattutto, a dicembre, non aveva manifestato riserve.

Il laconico tweet della presidenza belga

Il rinvio odierno è il secondo e la presidenza belga ha idealmente allargato le braccia in un tweet laconico.

Tra i primi a intervenire il Global Compact Network Italia delle Nazioni Unite, col direttore esecutivo Daniela Bernacchi: «La direttiva ci darebbe l’opportunità storica di fornire uno strumento concreto per limitare gli impatti negativi sull’ambiente e sui diritti umani. Riteniamo che le sole misure volontarie non siano sufficienti a responsabilizzare le imprese, ma vadano accompagnate da un contesto normativo allineato con i principi guida al livello internazionale». L’articolazione Onu che si rivolge al mondo imprenditoriale , auspica «che il dibattito comunitario sulla direttiva possa riprendere al più presto. Gli obiettivi fissati da Agenda 2030 si avvicinano a passi enormi e la strada da percorrere è ancora lunghissima: diventa quindi assolutamente prioritario dotare l’Europa di un provvedimento che aiuti tutte le aziende a sviluppare un percorso virtuoso di sostenibilità»..

Forum della finanza sostenibilie:
«L’Europa ora ascolti le molti voci levatesi»

Il Forum per la Finanza Sostenibile, che nelle scorse settimane aveva seguito passo passo l’evolversi – o meglio l’involversi – della situazione, anche con prese di posizione del presidente Massimo Giusti, ha rilasciato una nota in cui «si rammarica per lo stop alla direttiva sulla due diligence delle imprese (#Csddd) da parte del Consiglio, nonostante l’accordo provvisorio raggiunto con il Parlamento europeo a dicembre. L’adozione della direttiva», prosegue la nota, «sarebbe uno step fondamentale per affrontare l’impatto delle imprese su persone e pianeta attraverso una migliore gestione dei rischi di sostenibilità e per supportare gli investimenti sostenibili. Auspichiamo che le istituzioni europee raccolgano le indicazioni delle molte voci a supporto della direttiva emerse in queste settimane, così da arrivare in tempi brevi all’approvazione del provvedimento».

WeWorld: «Sconcertante atteggiamento
degli Stati membri»

Molto dura la presa di posizione di WeWorld, una delle ong che fa parte della iniziativa Diamoci una regolata, che spinge da anni per l’adozione di un regolamento europeo in materia.

«Oggi la mancata approvazione da parte del Consiglio dell’Ue, ad opera dei maggiori stati membri, della direttiva sulla dovuta diligenza per la sostenibilità delle imprese segna una deplorevole battuta d’arresto per la responsabilità delle aziende e la tutela dei diritti umani e dell’ambiente in tutto il mondo», attacca il comunicato. «È sconcertante», dice WeWorld, «come gli Stati membri dopo anni di negoziazione su un testo che è stato licenziato in accordo, di Consiglio e Parlamento il 14 dicembre, dopo un lungo iter democratico che ha convolto imprese, sindacati, società civile non rispettino ora gli impegni presi nelle istituzioni europee».

Secondo WeWorld «è difficile capire cosa gli Stati vogliano opporre, difronte ad una legge che vorrebbe semplicemente rendere concrete le tutele verso diritti umani e l’ambiente, come previsto dalle convenzioni internazionali sottoscritte dai nostri stessi governi. Si tratta di passare dalla teoria alla pratica e chiedere alle grandi imprese di evitare, con azioni concrete, pratiche industriali a discapito delle persone e della natura. La mancata approvazione della direttiva sarebbe un fallimento dei governi dell’Ue e un segnale di via libera a alle aziende sconsiderate che possono continuare ad alimentare le crisi climatiche ed ecologiche per ottenere profitti a vantaggio di pochi».

Mario Calderini: lobby estremiste del business
ma anche errori politici

Duro anche Mario Calderini, il grande esperto di impatto del Politecnico di Milano che affida a un post del suo profilo LinkedIn il suo dispiacere: «Risultato più che atteso, responsabilità di molti. Certamente delle lobby estremiste del business ma anche errori politici madornali, in particolare aver costruito una narrativa politica completamente schiacciata sulla green transition, dimenticandosi non solo della transizione sociale associata, regalando di fatto un enorme consenso al populismo, ma anche di esprimere una vaga idea di politica industriale, che deve contenere il Green deal, non coincedere con esso».

La rabbia della relatrice Wolters:
«Oltraggiato il Parlamento»

Durissima anche la relatrice del provvedimento presso il Parlamento, l’olandese Lara Wolters (nella foto di apertura, ndr), del Partito del lavoro, protagonista di una rapida e durissima conferenza stampa, in cui ha accusato il Consiglio, ossia gli Stati membri, «di fare giochetti», scandalizzata per il fatto che un accordo raggiunto solo due mesi fa, fosse stato così rapidamente disatteso. Furente addirittura verso i francesi che, secondo le indiscrezioni, avrebbero proposto di alzare da 500 a 5mila addetti il dimensionamento delle aziende da obbligare all’applicazione della direttiva.

La foto in apertura è di Matthieu Cugnot/Unione europea.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA