Salute

Dipendenze, un tunnel in cui entra tutta la famiglia

Un ebook, gratuito e in lingua inglese, approfondisce il tema dei familiari e amici stretti colpiti dalla dipendenza di un congiunto. Daniela Capitanucci, presidente And-Azzardo e nuove dipendenze: «La noncuranza verso questi soggetti sofferenti è trasversale a livello mondiale. Per ogni persona dipendente da sostanze, alcol o che gioca d'azzardo se ne stimano altre cinque-sette coinvolte»

di Ilaria Dioguardi

Una dipendenza non colpisce solo chi ce l’ha, ma anche chi gli sta vicino. L’ebook Families affected by addiction (Springer) dà luce alla sofferenza e alla perdita in qualità della vita delle vittime collaterali. Il libro è a cura di Gallus Bischof, Richard Velleman, Jim Orford, Abhijit Nadkarni, Marcela Tiburcio, è in lingua inglese e scaricabile gratuitamente. «La sofferenza di familiari e amici stretti di una persona dipendente è ancora troppo sottovalutata», dice Daniela Capitanucci, presidente And-Azzardo e nuove dipendenze. «Questo libro è molto prezioso».

Perchè Families affected by addiction è prezioso?

Per scriverlo è stato necessario un lavoro di squadra, da tanti Paesi diversi. Questo libro dimostra che la noncuranza verso questo gruppo di persone sofferenti è trasversale a livello mondiale: in alcuni posti di più e in altri di meno, non c’è la giusta attenzione al tema. L’ebook dimostra la necessità di rimboccarsi le maniche, a partire dalla politica che non può dimenticarsi che, nelle dipendenze, patiscono dei danni collaterali le persone che hanno un legame o che sono in relazione con chi è direttamente coinvolto. Il problema è molto più grande di quello che si pensa e non possiamo più dimenticarci di questi adulti, ma anche dei bambini che vivono in famiglie con una persona che ha una dipendenza.

Questo libro nasce in Inghilterra da un gruppo che fa parte di un’associazione, un network internazionale che è l’Afinet (Addiction and the family international network, ndr), che nasce per sensibilizzare e fare ricerca specifica su quella che è la sofferenza peculiare, sperimentata da tutti coloro che hanno un rapporto più o meno stretto con una persona affetta da dipendenza. Questo settore è poco studiato, anche a livello di ricerca di solito si pensa alla persona che consuma sostanze piuttosto che alcol, o che gioca d’azzardo. Ma raramente il familiare viene trattato come destinatario a sé stante di prestazioni a fronte di bisogni specifici. Nella migliore delle ipotesi, viene coinvolto a supporto della terapia della persona che ha un problema di dipendenza.

Daniela Capitanucci


Questo gruppo di ricerca, da cui nasce l’ebook, da anni cerca di mettere in luce quanto sia ingente il calo di qualità della vita, la perdita di benessere delle persone che devono convivere con un problema di dipendenza di un congiunto. Gli autori che si sono messi insieme per fare questo lavoro hanno raccolto contributi da tutte le parti del mondo su questo tema.

Dalla raccolta di questi contributi, cosa hanno trovato?

Una conferma del fatto che, anche se in teoria viene riconosciuta la sofferenza dei familiari, nella pratica sono quasi inesistenti le politiche sanitarie specifiche che rivolgono degli interventi mirati per attenuare il malessere di queste persone.

Parliamo, nello specifico, del gioco d’azzardo.

Secondo l’Istituto superiore di sanità, sono un milione e mezzo i giocatori d’azzardo patologici in Italia. Ma se pensiamo che ognuno di loro travolge nella sofferenza almeno uno o due familiari, alcuni amici e il datore o il collega di lavoro, piuttosto che il dipendente (se è un imprenditore), per ogni persona con dipendenza se ne stimano altre cinque-sette coinvolte. C’è un ampissimo gruppo di persone in Italia che soffre, di riflesso, in conseguenza della dipendenza dell’azzardo di qualcun altro. C’è anche un altro punto da chiarire: nel gioco d’azzardo ci sono degli step. Prima di arrivare alla fase critica, si comincia a manifestare perdita di controllo sul comportamento molto prima di avere una diagnosi della patologia.

Questo che cosa vuol dire?

Che i danni che una persona dipendente causa a se stesso e agli altri non li sperimenta soltanto nella fase peggiore, ma comincia a sperimentarli, in forma più attenuata, molto tempo prima di rientrare in un profilo diagnostico. Quindi quel milione e mezzo di persone dipendenti dal gioco è veramente sottostimato. Faccio un esempio concreto. Passa del tempo prima che si diventi un giocatore che spende tutto lo stipendio in due giorni, che smette di pagare le rate del mutuo di casa e le bollette, che non si presenta a prendere il bambino a scuola perché è in sala slot da 10 ore e ha perso la cognizione del tempo. Queste cose cominciano a succedere gradualmente.

La ricerca dice che i danni da gioco d’azzardo li dobbiamo misurare anche su chi non è già patologico: la perdita di controllo, più o meno grande, equivale a danni più o meno importanti. Per quanto riguarda i familiari e gli amici, è più o meno grave e più o meno invasivo il danno, a seconda della vicinanza e della prossimità del rapporto con il giocatore.

Ci spieghi meglio.

Se sono figlio minorenne, moglie o mamma di un giocatore, sono particolarmente esposto a sofferenze e danni. Ma se sono un condomino e il mio amministratore di condominio sviluppa un problema di gioco d’azzardo, anch’io, sebbene non abbia una relazione affettiva, prima o poi subirò dei danni, a volte importanti, per questo legame collegato a un passaggio di denaro. Hanno fatto degli studi anche su persone che non avevano legami affettivi con giocatori ma che erano stati coinvolti nella disregolazione del gioco di qualcuno, anche queste persone manifestavano una sintomatologia. Scoprire che l’amministratore non ha pagato le rate del riscaldamento, i giardinieri, le imposte, l’Inps del portinaio porta un condomino a vivere emozioni estremamente sgradevoli, quali situazioni di stress, di rabbia, anche di danno fisico, insonnia, una serie di depressività e di patologie, oltre ad avere un danno economico.

Chi è vicino a una persona dipendente si sente non compreso, spesso giudicato, ha sensi di colpa, prova così tanta vergogna che diventa una barriera alla richiesta di aiuto

Il gruppo di autori del libro ha analizzato tutte le normative sociosanitarie a livello mondiale. Cosa è emerso?

Che i familiari prossimi sono assolutamente assenti come destinatari di prestazioni a loro rivolte. Questo è molto grave. Nel momento in cui si fa una normativa che liberalizza il gioco d’azzardo, come è successo nel nostro Paese, non ci si può non assumersi i danni collaterali che derivano da questa scelta politica. Oggi si comincia seriamente a parlare di servizi per i giocatori, ma ancora c’è della strada da fare perché sono “a macchia di leopardo”, non sono strutturati nello stesso modo in tutta Italia. Non sempre gli operatori hanno le competenze e sono formati adeguatamente per fornire delle risposte evidence-based per la scienza a questi pazienti. Ma mentre per le persone con dipendenza dal gioco d’azzardo qualcosa si comincia a fare (vedi il decreto Balduzzi del 2012, i Lea del 2016), per i familiari proprio non c’è nulla.


In Italia, un familiare di una persona con dipendenza a chi può rivolgersi?

Può rivolgersi ai servizi generalisti aspecifici, il che è una follia. Mandare, ad esempio, una persona che ha una relazione di prossimità con un dipendente dal gioco in un centro psichiatrico perché ha una depressività non è una buona mossa perché ci sono dei modelli di supporto molto ben articolati, rivolti proprio ai bisogni specifici di queste persone. Però nessuno li sta prevedendo. Se c’è poca specificità sui trattamenti per i giocatori, men che meno ce ne sono per quelli rivolti ai familiari.


Immaginiamo un familiare che va in un servizio generalista, che può essere la psichiatria perché è depresso, ansioso o ha attacchi di panico, o il consultorio familiare perché ci sono delle liti in famiglia, la coppia sta minacciando di separarsi, ci sono dei problemi nella gestione dei bambini. Se gli operatori non conoscono l’origine del problema e non sanno come funziona il disturbo da gioco d’azzardo, pur con tutta la competenza sono in grado di comprendere solo limitatamente i bisogni di questa persona, perché trattano la patologia, il conflitto in modo avulso dal contesto in cui si sono sviluppati. Infatti, spesso quando i familiari vanno in questi servizi non si sentono compresi.

Perché accade questo?

Se l’operatore dall’altra parte non ha delle conoscenze sul tema, non conosce il disastro di vivere quotidianamente in un sistema dove c’è la menzogna imperante, la perdita di fiducia che sta alla base di tutte le relazioni, pur da bravo professionista, capisce che l’empatia e la comprensione non bastano per essere di aiuto e di supporto ai familiari, che per primi dovrebbero essere informati bene su quello che stanno vivendo e perché. Chi è vicino a una persona dipendente si sente non compreso, spesso giudicato, ha sensi di colpa, prova così tanta vergogna che diventa una barriera alla richiesta di aiuto: si sentono fallaci in qualche punto.

Quali sono le sofferenze di una persona prossima ad un dipendente dal gioco d’azzardo?

Un giocatore perde il controllo e tutti restano travolti. Chi gli è vicino soffre a causa della sua dipendenza, sperimenta logorio e stress, ha necessità di un supporto sociale mirato ai suoi bisogni, sia di tipo professionale con operatori capaci di capire di che cosa hanno bisogno, sia a livello informale. Spesso le famiglie, quando arrivano da noi, ci dicono che non ne hanno parlato con nessuno perché non capiscono come mai il parente o amico non smetta di giocare, pensano che basta che smetta. Non si rendono conto della complessità del fenomeno.

Molte volte anche i familiari sono a digiuno, non sanno come funziona la dipendenza da gioco d’azzardo. Non sono a conoscenza dell’esistenza dei meccanismi condizionanti, non sanno che non è questione di buona o cattiva volontà del giocatore. Come in tutte le dipendenze, il giocatore non è più libero di non giocare, vorrebbe anche smettere, ma non è sempre in grado di controllare i suoi impulsi. È chiaro che i familiari si trovano ad affrontare le situazioni con delle modalità che possono essere diverse.

Quali modalità, ad esempio?

Alcuni adottano una modalità di ritiro: si chiudono in se stessi, non escono più, non parlano con nessuno, diventano estremamente chiusi e riservati. Altri lasciano correre. Altri ancora diventano dei gendarmi, dei controllori, assumono su di loro tutta la parte economica, che è un peso enorme. Limare la stabilità, la sicurezza economica, lo star bene, l’equilibrio mentale di una famiglia trovo che sia molto rischioso.

Tempo fa avevamo un familiare, in un gruppo che seguivamo, che era la mamma di un giovane giocatore, lavorava in un pronto soccorso come capo sala. La signora, mentre era il lavoro, ricevette sul suo telefono la segnalazione di un prelievo, che aveva effettuato di nascosto il figlio. Questa signora è andata così nel pallone emotivamente, per via della ricaduta del figlio, che in quel momento stava per sbagliare il farmaco da iniettare al paziente, il potassio invece di una fisiologica. Si è accorta appena in tempo dell’errore, ha chiesto al suo primario di poterla sollevare temporaneamente da quel ruolo, fintanto che la situazione non fosse stata più serena. Non ci si può disinteressare del malessere che vivono questi danneggiati collaterali. Non è solo una questione economica.

Sono un milione e mezzo i giocatori d’azzardo patologici in Italia. Per ogni persona con dipendenza se ne stimano altre cinque-sette coinvolte

I familiari delle persone affette da dipendenze vivono male nella vita quotidiana. Immaginiamoci l’inferno di vivere in una casa in cui una moglie deve stare attenta a dove appoggia la borsa, preoccupata perché il marito potrebbe prendere la carta di credito per giocare online. Oppure appoggia un anello o un braccialetto, non lo ritrova più e viene accusata di essere sbadata e di perdersi tutto. Poi ci sono le situazioni di violenza domestica. Il giocatore non è violento tout court.

Quando ci sono dei problemi economici, gli attriti, le frizioni diventano all’ordine del giorno e ci vuole poco a passare da una violenza verbale, che già è spiacevole, a una fisica. Abbiamo avuto genitori anziani con figli adulti che prendevano loro la pensione, li malmenavano per avere del denaro, li portavano a vendere tutti i buoni postali per incassare. C’era un padre giocatore che si è giocato tutti i soldi del figlio disabile grave, che servivano per la sua assistenza. Il giocatore in certi momenti è in preda ai “fumi” del gioco d’azzardo, del suo impulso. Sa che succederanno delle cose tragiche a se stesso e agli altri, ma non è in grado di fermarsi.

Foto di apertura di Ben White su Unsplash e, nell’articolo, dell’intervistata

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