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Doninelli: Bonadonna una lezione da non scordare

Ho incontrato Gianni Bonadonna una sola volta, in una stanzetta presso l’Istituto dei Tumori di Milano, dove mi aveva convocato per chiedermi di scrivere un testo teatrale ispirato alla sua vicenda umana e lì ho imparato una lezione. Scomparso una settimana fa non disperdiamo il suo insegnamento

di Luca Doninelli

Il nome di Gianni Bonadonna, scomparso pochi giorni or sono (il 7 settembre), è conosciuto e apprezzato presso chi, in tutto il mondo, si occupa di oncologia, ma al di fuori di questa cerchia si riduce a quella di un carneade. Ne ha parlato, con insistenza, attraverso due bei libri, il giornalista Giangiacomo Schiavi, ma ciò non è stato sufficiente a vincere un ingiusto silenzio, anche in occasione della sua scomparsa solo pochi articoli di rito.

Ho incontrato Gianni Bonadonna una sola volta, in una stanzetta presso l’Istituto dei Tumori di Milano, dove mi aveva convocato per chiedermi di scrivere un testo teatrale ispirato alla sua vicenda umana. Il progetto non ebbe buon esito, però la sua immagine resta ben fissa nella mia memoria. Il suo corpo gravava infatti con difficoltà su una sedia a rotelle, e le parole – lucidissime – richiedevano un enorme sforzo per affiorare, stentate, alle labbra. Guardarlo era come guardare quello che restava, dopo un terribile bombardamento, di una città un tempo bellissima.

Oncologo di fama internazionale, famoso per il suo rigore professionale e per il suo carattere rude, al culmine del successo Gianni Bonadonna fu colpito da un gravissimo ictus. Sopravvissuto per miracolo, si sottopose a una lentissima riabilitazione, passando all’improvviso dall’altra parte di quella parete invisibile ma solidissima che divide i sani dai malati, anche se i sani si chiamano “medici” e i malati “pazienti”.

La grandezza di quest’uomo, testimoniata da diverse pubblicazioni e da protocolli di cura da lui codificati e ancora vincenti, sta nell’aver voluto vivere fino in fondo la sua esperienza di malato, e – pur nelle sofferenze – di considerarla preziosa per una conoscenza più profonda della dimensione umana della medicina.

Parole essenziali, quali “malattia” o “cura” rivelarono nuovi significati, nuovi risvolti. L’uomo tornò a occupare un posto centrale nella sua concezione della pratica medica, per la quale il fattore antropologico è, di norma, tutt’altro che scontato. Il malato che si rivolge con speranza al medico può non essere guardato come un uomo: può essere semplicemente una gastrite, un cancro al pancreas, un’ischemia coronarica. Tutti dipende (come sempre) da chi guarda.

Mentre cercava di rendere nuovamente comunicabili i pensieri che la malattia non era riuscita a cancellare, Bonadonna intuiva che la battaglia per la salute richiede una profonda alleanza tra medici e pazienti. Il cancro, diceva, può essere sconfitto innanzitutto se cominciamo a guardarlo non come il Male per eccellenza, ma solo per quello che è, cioè una malattia: una ribellione delle cellule, contro quale un esercito di medici e pazienti agguerriti può muovere battaglia, com’è sempre accaduto. Significativo il titolo di uno dei suoi ultimi libri: "Medici umani, pazienti guerrieri. La cura è questa"

Pur essendosi sempre dichiarato agnostico, nella lotta contro la malattia Bonadonna riallacciò i fili di una conversazione interrotta moltissimi anni prima: quella con Dio. Nessuno può sapere (forse non lo sapeva nemmeno lui) se con la parola “Dio” egli intendesse davvero qualcosa di reale, un interlocutore vivo e presente, o se viceversa pronunciasse quel nome solo perché esso personificava una sorte difficile, o il caso: chissà. Resta il fatto che quel “tu” divenne una consuetudine: non di preghiera, ma di conversazione.

Forse la traversata dell’inferno che il destino gli ha riservato l’ha reso consapevole che l’uomo, di cui la medicina si occupa, è davvero un mistero. Forse, scendendo al fondo di sé stesso, si è reso conto che solo quel “tu” (immaginario o meno) è il nostro interlocutore adeguato contro la solitudine, e che senza quel “tu” i nostri rapporti con gli altri – anche quelli professionali – sono condannati al fraintendimento o alla manipolazione.


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