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Ecco perché i ricchi diventano sempre più ricchi

Si chiama "Effetto San Matteo" ed è tra le cause del crescente divario tra élites di megaricchi e poveri sempre più poveri. Nel mezzo, c'è solo terra bruciata. Lasciata a sé, senza interventi correttivi, questa è l'inevitabile deriva delle società di mercato. Ne parliamo con il sociologo statunitense Daniel Rigney

di Marco Dotti

«A chi ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; a chi non ha sarà tolto anche quello che ha». Nel 1968, il sociologo americano Robert K. Merton, padre del Nobel per l’Economia Robert C. Merton, pensò di riferirsi a questo passo del Vangelo secondo Matteo (13,12). Merton parlò di Effetto San Matteo per definire e studiare il fenomeno secondo il quale certi vantaggi iniziali tendono a accumularsi e amplificarsi, creando nel corso del tempo un divario sempre maggiore tra chi ha di meno e chi ha di più, in termini di ricchezza, ma anche in istruzione, credibilità, prestigio e risorse, in una spirale che assomiglia molto alla gabbia di ferro di Max Weber.

Una spirale che è ben fotografata dall'ultimo Rapporto Oxfam, che fotografa un' Italia dove il 5% più ricco detiene la stessa quota di ricchezza posseduta dal 90% più povero della popolazione. Con quali conseguenza sulle retoriche del "merito" è facile capirlo.

Sociologo, già direttore dell’Honors Program alla St. Mary University (San Antonio, Texas), nonché autore di Sempre più ricchi, sempre più poveri (Etas, Milano 2011), Daniel Rigney ha studiato l’evoluzione delle spirali ascendenti e discendenti di disuguaglianza che, anche a causa della crisi iniziata nel 2008, sembrano diventate una costante anche per questo scorcio di XXI secolo. Lo abbiamo incontrato.

Professor Rigney, ci spieghi: che cos’è l’“Effetto San Matteo”? Perché è tanto importante osservare e comprendere il dispiegarsi dell’ “Effetto San Matteo” in campi e ambiti tanto diversi, dalla cultura all’educazione, dalla trasmissione dei patrimoni al prestigio scientifico?
Il termine allude a quei passi del Vangelo secondo Matteo (ma passi consimili si trovano anche in Marco e Luca) che si riferiscono letteralmente alle disuguaglianze di ricchezza, ma metaforicamente alla comprensione spirituale. Alcuni prosperarano in “ricchezza” e comprensione spirituale “ricchezza”, mentre altri vanno in rovina. Alcuni diventano sempre più ricchi, altri sempre più poveri, secondo il detto inglese che ricorda come «the rich get richer and the poor get poorer».

Nelle scienze sociali, il termine si riferisce alla tendenza di generare dove una situazione sociale, economica, sanitaria di vantaggio genera ulteriore vantaggio e lo svantaggio genera ulteriore svantaggio.

Gli “Effetti di Matteo”, quando operano senza un intervento correttivo, in genere producono crescente divario tra chi ha di più e chi ha meno, rispetto a una data risorsa, come il potere, la ricchezza o il prestigio. L’effetto è analogo, per molti aspetti, all’accumulo di interesse composto in matematica e al debito composto in finanza.

L'Effetto San Matteo è una tendenza tendenza dove il vantaggio genera ulteriore vantaggio e lo svantaggio genera ulteriore svantaggio. Nelle nostre società, senza opportuni correttivi, poiché non partiamo da condizioni paritarie, chi ha avrà sempre di più, accumulando cultura, conoscenza, ricchezza materiale e non. E gli altri saranno destinati alla miseria. Ecco perché i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri

Maggiore è il vantaggio iniziale, maggiore è il guadagno, quanto più ottieni, quanto più hai…
L’allargamento delle disuguaglianze che gli effetti Matteo producono non stabiliscono la prova della superiorità morale dei vincitori o l’inferiorità morale dei perdenti, come vorrebbero farci credere certi darwinisti sociali. Al contrario, tali disparità riflettono, almeno in parte, le dinamiche intrinseche ai cicli di feedback. Questo è il processo fondamentale: le risorse iniziali, investite, comunemente portano ulteriori risorse. Questi ulteriori vantaggi a loro volta possono essere investiti per attirare ancora nuovi vantaggi e così via, creando un ciclo di auto-amplificazione che continua a funzionare, almeno fino a qualche evento esterno – non necessariamente negativo, come una crisi – interrompe e conduce a elaborarlo.

Perché è importante capire le dinamiche dell'Effetto San Matteo?
Perché se comprendiamo l’ “Effetto San Matteo”, siamo in grado di anticipare, e forse evitare, le conseguenze potenzialmente più distruttive di un divario crescente generato da quello che, in gergo, si chiama “vantaggio cumulativo”: non è infatti vero che tutti partiamo – dalla nascita o da un eventuale punto zero – da condizioni di parità e eguaglianza. Estreme e crescenti disuguaglianze minacciano non solo di danneggiare i membri più vulnerabili della società, ma anche di aumentare la probabilità di conflitti violenti, come quelli che abbiamo visto recentemente nella rivolte in Inghilterra, mentre il governo conservatore continua a tagliare producendo squarci sempre più grandi nella rete di sicurezza sociale.

Negli ultimi anni, negli Stati Uniti, le classi più abbienti si sono rifugiate sempre più in più in fortezze residenziali – le cosiddette gated communities -, cercando di fuggire non solo dall’Altro più temuto, ma soprattutto dalle loro paure e vulnerabilità. Non possiamo però comprendere simili processi, senza prendere consapevolezza dei processi sottostanti che – come “l’Effetto San Matteo”, appunto – lavorano per produrli. Quello che possiamo fare, e che anche io ho tentato con questo libro, è di aumentare la consapevolezza del problema, raggiungendo sempre più persone che lavorano nell’ambito della politica e dell’ordine pubblico, de servizi sociali e del non-profit, “Effetto Matteo” dovrebbe diventare un’espressione familiare, proprio per orientare l’analisi e le pratiche a una maggior consapevolezza di un divario tra ricchi e poveri sempre più crescente, soprattutto in un periodo di crisi, dove le persone più vulnerabili rischiano di essere trascinate e travolte da una potente risacca.

Se comprendiamo l’ “Effetto San Matteo”, siamo in grado di anticipare, e forse evitare, le conseguenze potenzialmente più distruttive di un divario crescente generato da quello che, in gergo, si chiama “vantaggio cumulativo”: non è infatti vero che tutti partiamo – dalla nascita o da un eventuale punto zero – da condizioni di parità e eguaglianza. Estreme e crescenti disuguaglianze minacciano non solo di danneggiare i membri più vulnerabili della società, ma anche di aumentare la probabilità di conflitti violenti, come quelli che abbiamo visto recentemente nella rivolte in Inghilterra, mentre il governo conservatore continua a tagliare producendo squarci sempre più grandi nella rete di sicurezza sociale

Politica economica: ecco un un ambito nel quale lo studio del vantaggio cumulativo raramente ha preso il nome di “Effetto San Matteo”….
Gli economisti preferiscono il concetto di auto-amplificazione ovvero di self-amplifying positive feedback. Investimenti di capitale di base e processi di accumulazione, per esempio,hanno spesso mostrato questo modello. Almeno fino a quando non si è urtato contro un muro, come la Grande Depressione o l’attuale crisi finanziaria. Poi i ricchi e i poveri tendono a diventare sempre più poveri, in misura ovviamente diversa, e con l’eccezione delle élites finanziarie che tendono, almeno nel mio paese, a non impoverirsi affatto.

Ineguaglianze e povertà sono sempre esistite. Questo potrebbe suggerire che si tratti, se non di un’ineludibile legge di natura, di una tendenza inevitabile delle nostre economie di profitto. Non si corre il rischio di mascherare una visione deterministica dell’economia, dietro lo schermo dell’ “Effetto San Matteo”? In altre parole, si tratterebbe di una legge naturale o di una mera costruzione sociale?
Sulla questione della legge naturale o costruzione sociale, prendo una posizione intermedia. Certi effetti li potremmo chiamare tendenze naturali nelle istituzioni sociali. Tendenze che tendo favorire chi ha già un vantaggio. Ma questi effetti possono essere mitigati da una varietà di fattori di compensazione o di forze, comprese forze socialmente e politicamente costruite.

Tra queste forze di compensazione vanno ricompresi i movimenti sociali per l’eguaglianza, dall’abolizionismo alla crescita del lavoro organizzato fino ai movimenti per i diritti civili. Movimenti popolari e progressisti negli Stato Uniti ce ne sono e continuano la loro azione anche anche oggi: senza molto successo contestano un modello di disuguaglianza economica galoppante che potrebbe sfociare in una plutocrazia incontrastata in assenza di significativi vincoli democratico.

Alcuni pensano che gli Stati Uniti si trovino già in questa condizione. Ovviamente, quando dico questo non intendo sostenere che tutte le disuguaglianze presenti nel mondo siano dovute a “effetti San Matteo”, né potrei affermare che queste disuguaglianze costituiscano una legge ferrea della società e della storia. Intendo solo dire che rappresentano processi persistenti e ricorrenti – accanto a altri processi – nella vita sociale e che la nostra inconsapevolezza o peggio il rifiuto a comprenderli e a vederli (spesso perché non ci conviene vederli) non per questo li fa scomparire.

Come farli scomparire, allora?
Mi piacerebbe avere una buona risposta, ma non ce l’ho. Posso però rifarmi a quanto afferma il Premio Nobel per l’Economia Paul Krugman. Krugman sostiene che la disoccupazione e la polarizzazione delle ineguaglianze sono, in ultima analisi, un problema più preoccupante che debiti e deficit, nonostante l’isteria politica in senso contrario, e che solo gli investimenti pubblici consistenti in settori quali le infrastrutture, le tecnologie pulite, l’istruzione, la ricerca e l’ambiente sono in grado di stimolare la domanda aggregata necessaria per sostenere a lungo termine la crescita economica, sia negli Stati Uniti che all’estero, e per creare una società a somma positiva. Ma naturalmente le attuali preoccupazioni sul debito rendono questo consiglio difficile da dispensare…

La mia sfera di cristallo è appannata, ma in genere provo diffidenza per le forme di nazionalismo neopopulista, che sembrano esprimere una disperata nostalgia per la semplicità relativa di un passato nazionale mezzo immaginario, e finiscono col negare la necessità di formulare approcci internazionali a problemi internazionali come il cambiamento climatico e la prevenzione delle epidemie in tutto il mondo. Tali movimenti reazionari costruiscono muri tra le nazioni in un momento in cui abbiamo invece bisogno di un migliore coordinamento attraverso i confini nazionali per affrontare questioni globali.

Penso ai progetti delle Nazioni Unite ma anche al lavoro di ONG nazionali e internazionali… Siamo vittime di una «complexiphobia», una paura di ciò che è complesso. Ossia di una reazione comprensibile dinanzi a eventi spaventosi che ci assalgono in un mondo sempre iperconnesso e ipercomplesso, ma al contempo di una insostenibile, se non delirante, risposta ai problemi che ci riportano alla realtà del XXI secolo. Pensare che la realtà sia semplice non la rende per ciò stesso semplice. Mi chiedo spesso di quanta complessità noi esseri umani siamo cognitivamente ed emotivamente capaci. Credo che lo scopriremo presto.

Che cosa la preoccupa maggiormente, oggi?
Sono preoccupato per il contagio della retorica apocalittica ascoltata ultimamente, da destra e sinistra, in reazione alle instabilità dei mercati. Il linguaggio apocalittico è spesso usato a fini di manipolazione usato per indirizzare le persone spaventate e in fuga verso una o l’altra direzione politica. L’isteria di massa non ci aiuta a trovare quelle innovative soluzioni tecniche o culturali di cui avremmo bisogno per affrontare in modo efficace questioni come la crisi energetica o la povertà assoluta. Non ho ovviamente consigli semplicistici da dare, ma continuo a ammirare esempi non violenti e egualitari come Gandhi o Martin Luther King. Potremmo usare un tipo di leadership nazionale e internazionale simili alla loro, oggi, che nuove violenze e nuove disuguaglianze ci stanno prendendo alla sprovvista. Abbiamo bisogno di un livello di partecipazione di massa a livello della realtà materiale per supportare leadership che si ispirino a quei principi di eguaglianza e non violenza.

Nutre ancora speranze, dunque?
Nutro ancora grandi speranze sul fatto ancora possibile oggi, anche a fronte di un cinismo dilagante e la paura del futuro, mobilitare l’energia creativa e l’intelligenza verso la realizzazione di un mondo più giusto e più equo. I prossimi grandi movimenti sociali in tal senso possono provenire da direzioni inaspettate e imprevedibili. Ma come mi disse un insegnante,l’unica cosa di cui possiamo essere certi è che la strada si incrina. Quando lo fa, è meglio essere agili nelle nostre risposte umane.

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