Welfare
Educatori Professionali: per non disperdere il potenziale dell’integrazione socio-sanitaria
È il momento di chiedere al nostro legislatore una norma ad hoc sull’Educatore Professionale, che superi gli ostacoli che impediscono l’unificazione della professione. «Possiamo pensare a un appuntamento comune? C’è bisogno di ritrovare le basi della figura unica, forte nelle sue competenze e nei suoi attori di formazione, chiaramente distinguibile dai cittadini e dagli stakeholder»
Partiamo dagli aspetti positivi: la figura dell’educatore professionale ha trovato uno spazio di attenzione nell’opinione pubblica che fino a ieri si limitava ad alcuni e sparuti fatti di cronaca. Negli ultimi mesi sono almeno sedici gli articoli – in gran parte ospitati da questo sito, a cui va un plauso – che hanno ripreso i temi della professione e accompagnato il dibattito (spesso sterile quello targato “social network”), il pensiero e l'approfondimento.
Le modifiche introdotte dalla Legge di Bilancio 2019 allo scheletro normativo dell’Educatore Professionale, oltre a quelle già introdotte nell’omologa Legge del 2018, costruiscono uno scenario per i Servizi incerto e a tratti disarmante. Proviamo a riassumere il quadro attuale utilizzando un pizzico d’ironia:
D. Gli EP che lavorano nelle Aziende Sanitarie hanno l’obbligo dell’iscrizione all’Albo previsto dalla Legge 3/2018: e quelli che lavorano nelle strutture accreditate e convenzionate con i servizi sanitari regionali?
R. Dipende; se svolgono attività “limitatamente socio educative” non sono tenuti; altrimenti se un giorno decidono di sconfinare nell’attività educativa socio sanitaria, allora devono farlo!
D. In che senso, scusi?
R. Non saprei, meglio chiedere al legislatore!
D. E una Cooperativa, quindi, che voglia rispondere a un Bando pubblico dove è richiesta la presenza educativa, deve dotarsi di EP socio-pedagogici, socio-sanitari, oppure può mantenere il personale precedente, anche privo di titolo?
R. Dipende dal Bando (mi salvo in angolo!); fossi in lei, per stare dalla parte dei bottoni, terrei le tre tipologie: non si sa mai!
D. E se un EP lavora in carcere?
R. Dipende anche qui: se è assunto dal Ministero di Grazie e Giustizia segue un proprio ordinamento; se invece proviene dall’accordo tra Ministero e Servizio Sanitario Regionale, allora …..
D. Mi scusi ma sono confuso!
R. Lo so; per la verità anch’io non mi sento proprio bene mentre le parlo!
Scusandomi per questa semplificazione (frutto però di decine di mail reali ricevute), provo a riportare l’articolo sui binari del ragionamento. Le modifiche legislative sulla figura dell’Educatore Professionale, come già detto in precedenti articoli su Vita.it, sono frutto dell’inedia nella quale il legislatore ha lasciato, per anni, la definizione di questo professionista. Normato inizialmente solo in ambito sanitario (D.M.520/98), con una Legge di riforma del welfare (L.328/00) inascoltata sul capitolo delle “figure professionali sociali” e con un’area dell’integrazione socio-sanitaria appena tratteggiata nelle norme di riferimento (D.L. 229/99 e L.3/2018), il sistema legislativo del nostro Paese ha abbandonato il tema delle professioni dell’integrazione socio-sanitaria, lasciando unicamente alle Università il compito di “sbrigarsela da sole”.
Il risultato, dopo qualche anno, è stato il rinforzo della “separazione” tra percorsi formativi sanitari (Laurea SNT2) da quelli sociali (Laurea Cl 18 – L19), la perdita di senso e obiettivi comuni sulla professione, il crescere della diffidenza tra i professionisti, per arrivare oggi a una realtà frammentata come quella costruita – malamente, mi sia consentito – a colpi di commi nelle Leggi di Bilancio. Torno a usare questa sintetica ed efficace formula dello “amministrare legiferando” introdotta dagli esperti di studi sul diritto per spiegare quelle situazioni nelle quali, il legislatore dovendo portare a casa un risultato, trova strade semplificate e alternative a quelle del riordino secondo “norme quadro” di riferimento.
Ritengo che il filo del discorso sull’Educatore Professionale vada ripreso a partire dal senso dell’integrazione socio sanitaria, così come definito dal D.lgs. 229/1999 (ripreso da AGENAS nel suo Glossario sull’Integrazione Socio Sanitaria) come “tutte le attività atte a soddisfare, mediante percorsi assistenziali integrati, bisogni di salute della persona che richiedono unitariamente prestazioni sanitarie e azioni di protezione sociale in grado di garantire, anche nel lungo periodo, la continuità tra azioni di cura e quelle di riabilitazione” che al suo interno prevede prestazioni sanitarie a rilevanza sociale, prestazioni sociali a rilevanza sanitaria e prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria.
Un sistema di prestazioni così composto, con la fattiva collaborazione tra l’Ente pubblico e soggetti del Terzo Settore, che si occupa di “salute dei cittadini” (concetto, la salute, che l’OMS ha efficacemente riassunto in “uno stato di completo benessere fisico, psichico, mentale e sociale e non semplice assenza dello stato di malattia”), ispirati dal principio dell’universalità e della parità dei cittadini nel ricevere cure e assistenza, hanno realmente la possibilità di determinare, con lungimiranza, un sistema integrato di servizi sociali e sanitari in tutte le regioni del nostro Paese. Il sistema deve puntare all’integrazione perché i bisogni dei cittadini non possono essere disgiunti: un problema di salute può avere delle ricadute sociali e viceversa una condizione d’impoverimento può indebolire la tutela della salute del singolo.
Sono convinto che siamo ancora in una fase intermedia per la figura professionale; la frammentazione degli Educatori Professionali nelle parti socio-pedagogica e socio-sanitaria, con titoli equipollenti o da dichiarare equivalenti, iscritti all’albo o da iscrivere agli elenchi speciali, senza titolo o con un percorso di recupero dei crediti formativi, non possa reggere alla prova delle organizzazioni regionali dei servizi alla persona che sono delicati meccanismi di welfare per le comunità.
Quale occasione migliore, allora, per chiedere al nostro legislatore che si applichi su una norma ad hoc sull’Educatore Professionale, che superi gli ostacoli che impediscono l’unificazione della professione?
Parlarsi è un buon modo per riallacciare i rapporti: coinvolgendo le “parte in causa”, ovvero parlamentari sensibili al tema, funzionari dei ministeri competenti, regioni, centrali cooperative, associazione rappresentativa, federazioni di organismi e organizzazioni sindacali, possiamo pensare a un appuntamento comune? C’è bisogno di ritrovare le basi della figura unica, forte nelle sue competenze e nei suoi attori di formazione, chiaramente distinguibile dai cittadini e dagli stakeholder.
* Franceso Crisafulli è educatore professionale e lavora come Coordinatore nell'Unità disabili presso l'AUSL di Bologna. È past President dell'ANEP – Associazione Nazionale Educatori Professionali. Per corrispondenza con l’autore: f.cri67@gmail.com
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