Leggendo il numero di Vita dedicato alla tragedia di Haiti, Elena Mearini, scrittrice, ci ha mandato questa lettera.
Henrì e il suo internet-cafè, Toto il barbiere, Edwige e le sue forbici che tagliano chiome e passato… Leggevo e queste storie mi parevano strofe di una poesia, quando per poesia s’intende il muscolo vivo e necessario che non può rinunciare ad afferrare il bello, il miracolo perpetuo che neppure la maceria più definitiva riesce a schiacciare. Ci trovo il senso vero della resurrezione in questa gente, la volontà di appendere coccarda sopra il nulla e decretare una nascita ancora prima che il primo pianto ne annunci l’avvento. Atto di fede piantato in terra, con la convinzione di una vanga che ribalta anche i sassi più cocciuti e li sposta di lato… perché là sotto il seme rivendica luce, prega vita. Sono eroi in sordina, degni di quel fischio di tromba che accompagna il sole dentro le albe. Grazie per avere dato loro un suono.
E le parole di Lafarrière «i più poveri ci hanno salvati»… hanno potenza di rivelazione… la si dovrebbe rileggere centinaia di volte, una frase così? fino a restare senza voce, senza fiato, fino a che il senza sia tutto ciò che resta. Allora, forse, la potremmo capire… Chissà. E Goutier… con le sue parole ti spinge contro la spina dorsale del paese, ti fa toccare la dignità di una schiena dritta, nonostante tutto.
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