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Eluana non deve morire.lo dice anche l’onu
Il caso Con la Convenzione sui disabili in vigore non si potrebbe staccare il sondino
di Redazione
Se l’Italia avesse già ratificato la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, la sentenza della Corte d’Appello di Milano sul caso Englaro non avrebbe potuto esserci. Tale sentenza, infatti, cozza con l’articolo 25, comma f, della Convenzione: «Gli Stati parte devono prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prestazione di cure e servizi sanitari o di cibo e liquidi in ragione della disabilità». Un articolo – ci dice Giampiero Griffo, membro dell’esecutivo mondiale di Disabled People’s International e advisor del governo italiano nella stesura della Convenzione stessa – che è stato scritto così proprio dopo aver riflettuto sul caso Terri Schiavo, a cui tutti, oggi, paragonano Eluana.
Vita: La contraddizione quindi c’è?
Giampiero Griffo: Certo. Quell’articolo è stato introdotto a seguito di una discussione sul caso Terri Schiavo. Il punto di partenza, irremovibile, è che le persone non possono essere lasciate morire di fame e di sete. È una cosa assolutamente crudele per gli animali, figuriamoci per una persona: non stiamo parlando di macchine o di terapie, è una cosa ben diversa. Quindi se la Convenzione fosse già in vigore in Italia, nessuna sentenza potrebbe autorizzare a interrompere idratazione e alimentazione artificiali, poiché una convenzione internazionale è preminente sulle leggi nazionali.
Vita: Significa che per voi alimentazione e idratazione non sono trattamenti e quindi non possono essere sospesi?
Griffo: Esatto. Per una questione di dignità della persona, di non discriminazione, di violazione di diritti e non di sacralità della vita: il nostro ragionamento è diverso da quello che fa la Chiesa. Se si tollera che una persona possa morire di fame e di sete è perché si pensa che quella persona può essere trattata così, perché non ci si pone il problema della sua dignità e del suo diritto ad essere assistita. La Dpi ragiona da molti anni sulle pratiche e gli approcci della biomedicina, e spessissimo ci troviamo di fronte a violazioni dei diritti delle persone con disabilità.
Vita: Eluana è una persona disabile?
Griffo: Sì, senza dubbio. Una persona in stato vegetativo non è malata, semplicemente ha delle limitazioni funzionali croniche. La Convenzione – ed è l’aspetto importante – dice che una limitazione nasce sempre dal rapporto fra il modo in cui la società mi accoglie e le mie caratteristiche: io non salgo sul bus perché la società non ha mai pensato di dover prevedere che io potessi salirvi.
Vita: Cioè siete preoccupati che il caso Englaro possa nuocere alla lotta per i diritti delle persone con disabilità?
Griffo: Ci preoccupa l’approccio culturale all’eutanasia che sta prendendo piede nel mondo: è il “non welcome” della società a produrre l’idea che alcune persone hanno meno valore di altre, che la loro vita ha meno dignità o meno qualità e che quindi possono essere eliminate. Spessissimo le persone che vivono una disabilità grave, una dipendenza, sono portate a percepirsi negativamente solo perché la società non le accoglie. Per questo la sentenza sul caso Englaro ci sembra rischiosa, come stanno evidenziando molti genitori di disabili gravi e molte associazioni che si occupano dei diritti dei disabili: si comincia con una categoria di persone, domani forse potremo pensare di passare a un’altra.
Vita: L’Italia sulla ratifica della Convenzione Onu a che punto è?
Griffo: Più indietro di come sembrava. Il governo Prodi a fine dicembre ha approvato il disegno di legge per la ratifica della Convenzione, che poi però non non è mai stato assegnato a nessuna commissione parlamentare per l’avvio dei lavori. Quindi siamo proprio all’inizio, nel senso che qualcuno, nel nuovo governo, deve presentare un ddl ad hoc: nessuno l’ha ancora fatto. Solo a metà giugno è stata presentata alla Camera una proposta di legge apposita, appena assegnata alla commissione Affari esteri: si tratta certo di uno stimolo positivo, ma l’iter legislativo di ratifica di una convenzione internazionale deve partire dal governo con un disegno di legge.
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