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Esentasse solo il donose compri, paghi le imposte

odv Sentenza della Corte di Cassazione sulle esenzioni fiscali

di Redazione

La sentenza della Corte di Cassazione numero 19212 del 14 settembre 2007 ha sottolineato come per le organizzazioni di volontariato la previsione di esenzione da qualsiasi imposta recata all’articolo 8, comma 2, secondo periodo della legge 266/91, restringa l’ambito oggettivo all’acquisto di beni per donazione, attribuzione di eredità o legato. Non è pertanto ammissibile un’interpretazione estensiva della norma che vada a ricomprendere tutti gli atti delle organizzazioni di volontariato, come ad esempio l’acquisto a titolo oneroso.
La sentenza interveniva infatti in seguito alla richiesta di una organizzazione non profit (vedremo poi quale) che, avendo acquistato un podere per svolgervi le proprie attività a fini di solidarietà, riteneva di poter essere esclusa da ogni tipo di imposta.
Ecco in dettaglio cosa ha scritto la Corte: «L’esenzione da ogni imposta è prevista unicamente per le donazioni e le attribuzioni di eredità o di legato effettuate in favore delle medesime. Per le altre operazioni fiscalmente rilevanti effettuate dalle organizzazioni in questione non è invece riconosciuta una generalizzata franchigia da ogni imposizione».
Nel caso specifico, visto che l’acquisto del podere è avvenuto per normale compravendita, l’esenzione non c’è, indipendentemente dalle attività che verranno svolte al suo interno: «La circostanza che l’atto sia connesso all’attività (?) esclude unicamente l’applicazione delle imposte di registro e di bollo?» mentre «deve essere applicata l’imposta ipotecaria per la quale non è contemplata nella legge alcuna esclusione».
Benissimo. D’accordo; il ragionamento non fa una grinza, infatti il testo dell’articolo 8, comma 2 recita così: «Le donazioni e le attribuzioni di eredità o di legato sono esenti da ogni imposta a carico delle organizzazioni che perseguono esclusivamente i fini suindicati».
Quello che fa pensare è che il ricorso (a precedenti provvedimenti delle Commissioni tributarie) è stato promosso dall’interessata che – non sappiamo come – si qualifica «organizzazione di volontariato» essendo invece una cooperativa sociale.
Basta intendersi. La stessa legge 266/91 afferma che «le organizzazioni di volontariato possono assumere la forma giuridica che ritengono più adeguata al perseguimento dei loro fini, salvo il limite di compatibilità con lo scopo solidaristico», (art 3, comma 2) e poi anche che «l’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario» (art 2, comma 2) oltre alla presenza nello statuto della «gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti» (art 3, comma 3).
Sarò della vecchia scuola; ma non vedo come una cooperativa sociale, che è ente di mutualità e non di esclusiva solidarietà, possa dirsi organizzazione di volontariato, dato che al socio receduto deve rimborsare la sua parte di capitale sociale, e che il suo fine è di far lavorare i soci ecc. ecc.
No, in questo caso son troppe le ragioni per affermare che un giudice, una commissione doveva accorgersi dell’assenza del requisito soggettivo, oltre a rilevare la questione oggettiva. E se ne dovevano accorgere – forse – anche i commentatori interni all’Agenzia delle Entrate, che hanno pubblicato sul sito del periodico FiscoOggi un interessante articolo sulla sentenza, senza rilevare minimamente questa contraddizione.

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