Finanza insostenibile
Esg, così i fondi di investimento hanno imparato ad amare le armi
Secondo un’analisi condotta da Morningstar direct a settembre 2024 circa un terzo dei fondi in Europa e nel Regno Unito con focus su tematiche ambientali, sociali e di governance aveva investito 7,7 miliardi di euro nel settore della difesa, più del doppio rispetto ai 3,2 miliardi del primo trimestre del 2022. Una tendenza che solleva interrogativi profondi, non solo per le gravi implicazioni sociali ed economiche, ma anche per i costi ambientali. Roberto Grossi, vice direttore generale di Etica Sgr, fa il punto sul rapporto di non compatibilità tra investimenti Esg con l’industria degli armamenti: «Oltre all’impatto sociale negativo che pensiamo sia oltremodo evidente, anche l’impatto avverso sull’ambiente dell’industria bellica è ampiamente comprovato da evidenze e dati»
di Alessio Nisi

Un investimento può essere definito sostenibile solo se non arreca danni significativi agli obiettivi ambientali o sociali (principio del Do not significantly harm – Dnsh): un requisito che viene meno nel caso del comparto militare. Un dettato, quello dell’articolo 2 del regolamento europeo 2019/2088, noto come Sustainable finance disclosure regulation – Sfdr, sempre più spesso messo in discussione da un contesto globale di pesante riarmo.
In questo quadro il settore degli armamenti era categoricamente escluso dagli investimenti sostenibili. Un tempo. Oggi sta invece progressivamente rientrando nei radar della finanza sostenibile. Sono infatti sempre più numerose le società di gestione che stanno considerando il comparto delle armi come compatibile con gli obiettivi Esg. Un cambio di rotta è determinato dall’enorme pressione politica, ma soprattutto dall’attrattiva dei profitti offerti dalle aziende del settore.
I numeri. Secondo un’analisi condotta da Morningstar direct per il Financial Times, a settembre 2024 circa un terzo dei fondi in Europa e nel Regno Unito con focus su tematiche ambientali, sociali e di governance aveva investito 7,7 miliardi di euro nel settore della difesa, più del doppio rispetto ai 3,2 miliardi del primo trimestre del 2022.
Se da un lato i fondi con focus su tematiche ambientali, sociali e di governance continuano a escludere le aziende produttrici di armamenti controversi (come mine antiuomo, bombe a grappolo e armi nucleari), dall’altro, in molti casi, hanno cessato di escludere l’intero settore bellico
Roberto Grossi – vice direttore generale di Etica sgr
I costi del riarmo
Una tendenza che solleva interrogativi profondi, non solo per le gravi implicazioni sociali ed economiche, ma anche per i costi ambientali, ancora poco noti.
A fare il punto sul rapporto tra compatibilità tra investimenti Esg con l’industria degli armamenti è Roberto Grossi, vice direttore generale di Etica Sgr, che che sottolinea come l’applicazione di criteri Esg «ponga in linea generale significativi dubbi sulla compatibilità con l’industria degli armamenti».

Forte accelerazione al riarmo
Questo cambiamento, spiega Grossi, si inserisce in un contesto globale segnato da una forte accelerazione del riarmo, alimentata da paure collettive e strategie geopolitiche che non si vedevano da decenni.
Al recente vertice Nato tenutosi all’Aja, i 32 paesi membri dell’alleanza hanno siglato un’intesa che prevede l’aumento della spesa militare fino al 5% del Pil entro il 2035. Si tratterebbe, si fa notare, del più imponente incremento dai tempi della guerra fredda. Per l’Italia, ciò comporterebbe un aumento della spesa militare di quasi tre volte rispetto ai livelli attuali.
Un trend che trova conferma anche nei dati globali: secondo lo Stockholm international peace research institute – Sipri, nel 2024 la spesa militare mondiale ha toccato il livello record di 2.718 miliardi di dollari, registrando un aumento del 9,4% rispetto all’anno precedente.
Si tratta della crescita annuale più elevata dalla fine della Guerra fredda. Oltre 100 paesi hanno aumentato i propri investimenti nella difesa. Gli Stati Uniti guidano sempre la classifica con 997 miliardi, pari al 37% della spesa globale e al 66% di quella dei paesi membri della Nato. Europa e Medio oriente registrano le crescite più marcate, confermando una dinamica generalizzata.

La conta dei danni economici e occupazionali
Le guerre, puntualizza Etica sgr, non si limitano a contare le vittime sul campo. Ogni conflitto distrugge ospedali, reti idriche, centrali elettriche, scuole e abitazioni. Questo impedisce l’accesso ai servizi essenziali e genera effetti di lungo periodo: fame, malattie, sfollamenti, crisi umanitarie e un drastico calo dell’aspettativa di vita. Le sofferenze non si fermano alle zone di guerra: il conflitto in Ucraina, ad esempio, ha avuto ripercussioni sul mercato globale del grano, aggravando la povertà alimentare in altri continenti.
La spesa militare, inoltre, è tra le meno efficaci in termini economici e occupazionali. Lo conferma l’ultimo rapporto Arming Europe di Greenpeace secondo cui l’aumento della spesa militare avviene a discapito di settori fondamentali come la sanità e l’istruzione, rallentando la crescita economica e aggravando le disuguaglianze sociali.
Riarmo e danni all’ambiente
Tra le conseguenze più trascurate di questa corsa al riarmo c’è l’ambiente, spesso ignorato nel dibattito pubblico nonostante i danni significativi che subisce, non solo durante i conflitti, ma anche nelle fasi che li precedono e li seguono.
Il settore della difesa, precisa Grossi, «ha infatti un impatto decisamente rilevante sulle emissioni globali di gas serra: non solo l’impiego diretto di armamenti, ma anche la loro produzione, la manutenzione dei mezzi, le esercitazioni, la logistica e l’approvvigionamento sono attività che comportano un massiccio utilizzo di combustibili fossili. Durante i conflitti armati l’impiego di carburanti, l’utilizzo di esplosivi, i bombardamenti e gli incendi che colpiscono depositi, impianti industriali e foreste determinano un forte aumento delle emissioni».
Oltre all’impatto sociale negativo che pensiamo sia oltremodo evidente, anche l’impatto avverso sull’ambiente dell’industria bellica è ampiamente comprovato da evidenze e dati. Per questo è nostra opinione che gli investimenti in società appartenenti al settore degli armamenti non possano essere considerati sostenibili
Roberto Grossi
Le armi non possono generare impatto positivo
Concretamente? Secondo un rapporto pubblicato a fine 2023 dall’Osservatorio sui conflitti e l’ambiente, nei primi 18 mesi di guerra in Ucraina sono state immesse nell’atmosfera oltre 150 milioni di tonnellate di CO₂ e altri gas serra, un volume paragonabile alle emissioni annue di un paese industrializzato come il Belgio.
«In qualità di investitori responsabili», sottolinea Roberto Grossi, «consideriamo estremamente preoccupante la crescita degli investimenti in società del settore degli armamenti anche all’interno di fondi Esg, soprattutto in un contesto geopolitico che spinge molti attori finanziari a cercare opportunità di profitto a breve termine in settori controversi, come gli armamenti».
La visione di Etica Sgr, aggiunge, «è orientata a un cambiamento duraturo e fondato su una prospettiva di medio-lungo periodo. Da sempre riteniamo che le armi, per loro stessa natura, non possano generare alcun tipo di impatto positivo. Le guerre causano vittime civili, devastano il tessuto sociale, compromettono le economie e producono danni ambientali di enorme portata».
Per questo motivo, continua, «adottiamo da sempre un approccio rigoroso che punta a escludere dai nostri fondi l’investimento in armi sia convenzionali sia controverse, andando oltre la semplice eliminazione di armi vietate da accordi internazionali, come le mine antiuomo e le bombe a grappolo»
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In apertura foto di Vony Razom per Unsplash. Nel testo foto da ufficio stampa
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