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Sostenibilità sociale e ambientale

Ferrero, dolcezza salva-foreste

Il big alimentare italiano firma un accordo per porre un freno alla distruzione delle foreste soppiantate dalle piantagioni di olio di palma. Ma è solo l'inizio...

di Silvano Rubino

Giorno dopo giorno, chilometro dopo chilometro, ettaro dopo ettaro la foresta in Indonesia, in Vietnam, in Laos, per citare solo alcuni Paesi, arretra, cede il passo, sparisce avanti all'avanzata  delle piantagioni di  palme da olio. Tigri e leopardi, elefanti e cervi sono sempre più spinti in quei lembi di foresta che sopravvivono, in quegli habitat accerchiati da queste nuove colture. Secondo il WWF, negli ultimi due decenni del ventesimo secolo, più di 300 milioni di ettari di foresta tropicale (un'area più estesa dell'India), sono stati diboscati per lasciare spazio a piantagioni. La metodica distruzione delle foreste di Sumatra ne ha compromesso oltre il 50%, rischiando di mettere a rischio per sempre l’habitat delle ultime tigri di Sumatra. Questo per sfamare un mercato che ne fa sempre un maggior uso. Nelle etichette di merendine, biscotti, torte preconfezionate, grissini, panini all'olio, margarine, creme spalmabili, gelati, saponi, detersivi ecc, l'olio di palma (anche sotto la dizione di olio vegetale) è quasi sempre presente. Ormai, con una produzione totale di 28 milioni di tonnellate annue, l'olio estratto dal frutto della palma Elaeis guineeensis ha soppiantato i suoi più diretti concorrenti, l'olio di soia e quello di colza.
La ragione della sua sempre crescente diffusione sta nel suo prezzo. Se sul mercato mondiale l'olio di girasole vale 923 euro a tonnellata, quello di colza 835, quello di soia 833, quello estratto dalla palma originaria della Guinea è di soli 786 euro a tonnellata. Quei 67 euro in meno fanno sì che, in un mercato sempre più globalizzato, esso detenga il record delle vendite.

Greenpeace ha recentemente documentato con il rapporto “Licenza di Uccidere” gli incendi nelle torbiere e altri fenomeni di deforestazione all’interno delle concessioni di diversi fornitori della multinazionale Wilmar International, provocati per far spazio a piantagioni di palma da olio. Tra i clienti della multinazionale aziende come Procter & Gamble, Mondele-z e Colgate Palmolive, che producono beni di consumo quotidiano quali Pantene, Milka o i dentifrici Colgate (guarda qui Green, l'emozionante ritratto degli ultimi giorni di vita di una femmina di orango semiparalizzata, vittima della deforestazione nella foresta pluviale indonesiana).
Per fortuna altre aziende muovono qualche passo in direzione di una maggiore responsabilità: Ferrero, prima azienda agroalimentare italiana, ha annunciato questa settimana insieme a Unilever ulteriori impegni per dire no alla deforestazione nelle proprie filiere dell’olio di palma.
Ferrero ha sottoscritto, insieme ai suoi fornitori, il Palm Oil Charter, in cui si impegna a rispettare tutte le tipologie di foreste, garantire la tracciabilità dell’intera filiera dell’olio di palma e un
monitoraggio periodico da parte di agenti terzi, come chiede Greenpeace. Entro la fine del 2015, attraverso questo manifesto, sarà in grado così di garantire il 100 per cento dei propri approvvigionamenti a Deforestazione Zero.
Ferrero, infatti, risulta ben posizionata nelle pagelle che il WWF ha dato alle maggiori aziende mondiali del settore attraverso il Palm Oil Buyers Scorecard Report 2013, presentato all’apertura dell’undicesima conferenza annuale della Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO) a Medan, Indonesia, analizzando 130 tra produttori e retailer di articoli contenenti olio di palma.
In cima alla classifica nell’utilizzo di olio di palma prodotto in modalità più sostenibili rispetto a quelle normalmente in uso, come negli sforzi per ridurre le emissioni di gas a effetto serra che derivano dalla produzione, sono, oltre alla Ferrero,  la belga Ecover, , il colosso di beni per la casa IKEA, il rivenditore tedesco REWE, il leader mondiale dell’utilizzo di olio di palma Unilever e la United Biscuits del Regno Unito.
«La produzione responsabile dell’olio di palma esiste. Il passo compiuto da Ferrero dovrebbe servire da esempio alle aziende che acquistano olio di palma di provenienza controversa – afferma Esperanza Mora, Campagna Foreste di Greenpeace Italia – I consumatori sono sempre più consapevoli e non vogliono essere complici dell’estinzione della tigre di Sumatra e di altre specie minacciate dalle coltivazioni di palma da olio in Indonesia».
Secondo il WWF, ancora troppe imprese non sono riuscite ad adempiere nemmeno agli obblighi più elementari per rientrare tra gli acquirenti responsabili di olio di palma, mentre altre registrano una progressiva presa di coscienza rispetto al percorso di approvvigionamento, ma hanno ancora molta strada avanti a loro prima di poter realmente definire ‘importanti’ i loro impegni.

Quarantacinque delle 130 aziende valutate già utilizzano il 100% di olio di palma certificato sostenibile, in totale più di 2 milioni di tonnellate all’anno. Ma le 130 aziende tutte insieme utilizzano quasi 7 milioni di tonnellate di olio di palma all'anno. Più di due terzi dei produttori e una percentuale leggermente superiore di rivenditori si sono impegnati per utilizzare il 100% di olio di palma certificato sostenibile entro il 2015.
In Italia, accanto ad aziende come Ferrero, che ha ormai assunto impegni significativi, troviamo anche grandi gruppi, come ad esempio Barilla, “il cui percorso verso un approvvigionamento responsabile evidenzia ancora ampi margini di miglioramento", spiega il WWF.

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