Formazione

Fondi Ue per il Terzo settore: servono competenze specifiche, non si può improvvisare

La progettazione europea è una grande opportunità per le organizzazioni del Terzo settore e dell’economia civile ma per accedere alle risorse servono competenze tecniche e progettuali. «Non può essere un lavoro che si fa "passando" dalle gare d’appalto nazionali alle gare Ue», sottolinea Giuseppe Guerini, presidente di Cecop-Cicopa Europe e di Confcooperative Bergamo. L'intervista

di Antonietta Nembri

Giuseppe Guerini è uno degli esperti che partecipa al programma didattico dell’edizione 2023 del Master in Europrogettazione BEEurope di Fondazione Triulza, organizzato con il Consorzio Nazionale Cgm, Diesis Network (Bruxelles) in collaborazione con Csvnet Lombardia, e nato in partnership con Fondazione Cariplo per promuovere l’internazionalizzazione del Terzo settore e l’accesso ai fondi Ue. Master a cui è possibile iscriversi fino al 6 ottobre.

Abbiamo chiesto a Guerini di parlarci dell’importanza dell’europrogettazione per il futuro delle organizzazioni del Terzo settore e dell’Economia civile nonché della necessità di formarsi per affrontare la competizione continentale.

Cresce il riconoscimento istituzionale dell’Europa del ruolo che le organizzazioni del Terzo settore e dell’Economia civile svolgono per uno sviluppo sociale ed economico sostenibile. Questo si sta traducendo in maggiori risorse e opportunità per la crescita e l’innovazione delle nostre organizzazioni?

Sul piano delle politiche europee occorre riconoscere che le indicazioni rispetto alla destinazione delle risorse dei fondi strutturali e dei fondi di coesione ha visto crescere l’attenzione e le raccomandazioni delle Direzioni competenti della Commissione per fare in modo che si riservassero maggiori attenzioni alla dimensione sociale; tuttavia, il percorso per evidenziare le ricadute concrete è ancora lungo. Resta tanto ancora da fare sia dal lato delle autorità di gestione a livello nazionale e regionale sia da parte dei fondi a gestione diretta. Sono usciti alcuni bandi ui cosiddetti “transition pathway” dedicati all’innovazione per le transizioni “green and digital”, rivolti agli enti dell’economia sociale, ma le risorse erano piuttosto modeste.
Nella prossima primavera invece è attesa la pubblicazione di un bando Horizon Europe dedicato proprio all’ecosistema dell’economia sociale – sarà certamente un’occasione di grande rilevanza e speriamo che sia dotato di importanti risorse. In ogni caso lo stimolo all’innovazione e all’innalzamento della qualità è molto forte ed è una sfida di grande importanza per il Terzo settore che si gioca nell’arco dei prossimi 4 anni, durante i quali la nostra responsabilità come enti dell’economia sociale è molto alta. Dobbiamo dimostrare la nostra capacità di realizzare impatti trasformativi rilevanti nei diversi ambiti di interesse strategico per l’Europa, dai diritti sociali, alla strategia industriale europea, alla sfida delle transizioni verso la sostenibilità, per evitare il rischio di fare passi indietro nella prossima legislatura, che dovrà impostare la programmazione del settennio 2028-2035.
Non accontentiamoci di attendere i “bandi” dedicati al sociale ma coltiviamo l’ambizione di creare impatti sociali in tutte le politiche dell’Unione europea; la finalità della nostra partecipazione ai bandi non si deve limitare a contenderci i finanziamenti, ma deve avere l’ambizione di contribuire a costruire il futuro dell’Europa.

Giuseppe Guerini

Le organizzazioni del Terzo settore e dell’economia civile sono consapevoli dell’opportunità in termine di risorse economiche, relazioni e know how che rappresenta il partecipare ai Programmi Ue?

Vedo crescere interesse, consapevolezza e anche la competenza, ma dobbiamo migliorare molto sul piano della capacità di fare sistema e sulla crescita dimensionale. Vedo ancora troppe gelosie e troppi atteggiamenti di rivalità legati a piccole competizioni territoriali o identitarie tra enti dell’economia sociale, atteggiamenti che riducono fortemente la nostra competitività nel concorrere ai progetti europei. Presentando per esempio budget frazionati in molti per accontentare un po’ tutti, finiamo per dare l’impressione che i progetti siano poco consistenti e incisivi. La costruzione dei partenariati e la suddivisione dei compiti va preparata per tempo, costruita con logiche basate sui dati, ben argomentate e misurabili.
Le partnership ampie sono un valore, ma occorre far comprendere e motivare cosa significa portare in un progetto più associazioni che si occupano della stessa identica funzione e nella stessa compagine di un Paese. Spesso accade che là dove i nostri colleghi di Francia o Spagna hanno un interlocutore unitario noi ne abbiamo tre o minimo due. Queste sono cose che fuori dall’Italia quasi nessuno riesce a comprendere fino in fondo.    

Perché è importante la formazione in europrogettazione per far crescere e innovare le organizzazioni?

La competizione per contendersi le risorse è sempre più forte e quindi serve raggiungere un livello di competenza tecnica e di qualità progettuale molto elevato; è importante inoltre apprendere le modalità e le pratiche di costruzione dei partenariati. Si tratta di un’attività che richiede dedizione e conoscenze che vanno sempre alimentate e aggiornate; quindi, non può essere un lavoro che si improvvisa o si adatta, passando dal fare i progetti per una gara d’appalto a quelli per un bando europeo.

Lo sviluppo di competenze in progettazione europea che impatti positivi può avere per l’organizzazione?

Partecipare ad un progetto e costruire una coalizione, anche se magari non si ottiene sempre il finanziamento, è comunque un’esperienza che arricchisce sia i progettisti sia l’organizzazione che decide di investire in queste iniziative. Ecco, la parola chiave è “decide di investire” non si partecipa ad un progetto europeo e non si assume una persona per fare la progettazione europea come si partecipa ad un corso per acquisire i crediti professionali, o per mantenere i requisiti di una funzione. Serve aprirsi ad un cambio di prospettiva ed essere consapevoli che i risultati non sono immediati né scontati. Serve pazienza e capacità di apprendere dagli errori. Ma quando arrivano, i risultati, portano con sé un potenziale di cambiamento importante che va al di là di avere intercettato delle risorse e diventa un’occasione di trasformazione organizzativa.

L’europrogettazione come opportunità professionale per i neolaureati e di attrazione di nuovi talenti e giovani per il mondo delle cooperative e del Terzo settore?

Sì, soprattutto perché i contesti dell’economia sociale europei e le reti sono molto più giovani della media degli operatori del Terzo settore italiano, quindi partecipare alle reti internazionali ed europee aiuta certamente a rendere il Terzo settore più attrattivo per le giovani generazioni.  Inoltre, per un laureato, avere queste competenze diventa una carta da giocare in generale, in futuro auspico che sempre più enti del Terzo settore pensino all’Europa come spazio sociale comune, il mercato unico non deve essere un’esclusiva di merci e servizi. Avere competenze e una visione europea è utile per promuovere anche attività transfrontaliere e nel caso di cooperative sociali o enti del Terzo settore, per realizzare servizi anche in altri Paesi. L’europrogettazione quindi come occasione di “proiezione” più ampia delle attività: non solo partecipare ai bandi, ma contribuire a ridisegnare un modello europeo di welfare e di economia. Proprio lo scorso settembre la Commissione ha pubblicato un provvedimento per favorire l’attività transfrontaliera degli enti e delle associazioni senza finalità di lucro. Si tratta di un’occasione straordinaria, soprattutto per i giovani che sono meno impacciati delle generazioni precedenti sul piano delle competenze linguistiche. Pensare a formarsi in europrogettazione per partecipare ai bandi è un’aspirazione professionale, prepararsi a progettare l’Europa del futuro è un’aspirazione di crescita umana e un progetto politico nel senso più nobile del termine

C’è richiesta di questi esperti in europrogettazione? 

Si, anche se non dobbiamo aspettarci che vi sia una “abilitazione” formale che dà accesso a percorsi di carriera predefiniti, per certi versi si tratta di una competenza e di una professionalità che va ancora inventata giorno per giorno, ma certamente avere nel proprio portafoglio di competenze una base per orientarsi nel mercato sociale europeo è di grande utilità. Per quanto questa stagione possa indurci ad essere preoccupati sull’evoluzione del progetto unitario europeo, indietro non si torna, e il futuro del nostro continente, della nostra democrazia, del nostro modello economico e sociale non può che essere nella “comunità di destino europeo”. Si possono anche fare passi indietro o di lato ma l’Unione Europea rimane un orizzonte presente e futuro. Persino il Regno Unito ha fatto un’istanza per rientrare nel programma Horizon Europe nel prossimo settennio. Uk conferma Brexit, ma si è accorta che non può fare a meno del più grande programma mondiale di sostengo pubblico all’innovazione. Questo ci fa ben sperare quindi sul futuro dei lavoratori che acquisiscono competenze per la progettazione europea.

Oltre alla crescita e all’innovazione delle organizzazioni, la partecipazione ai Programmi Ue può fornire risorse per avviare e realizzare, concretamente, attività territoriali in risposta ai bisogni sociali che a volte non coprono le Pa italiane?

Credo che ormai ci sia una forte risonanza tra la dimensione europea e quella locale, basterebbe pensare alla strategia europea sul lavoro di cura o al programma “pact for skills” per individuare tantissime correlazioni. Gran parte delle politiche sociali, delle politiche del lavoro, della formazione derivano da programmi europei su cui peraltro in questi anni si sono aggiunte le risorse del Pnrr; quindi, certamente da questi programmi si possono sviluppare innovazioni importanti per migliorare il sistema di servizi anche a livello locale.

In apertura una lezione della passata edizione del Master – tutte le foto sono di ufficio stampa

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