Famiglia

Formazione porfessionale. chi la azzera, azzera il futuro

Intervento di Maurizio Drezzadore* in occasione dell'appello del presidente della Cei

di Redazione

Nella prolusione alla recente assemblea della Conferenza episcopale italiana, il presidente Angelo Bagnasco ha nuovamente richiamato l?attenzione della Chiesa al tema del lavoro, soffermandosi in particolare sull?esperienza culturale ed educativa che la formazione professionale ha sviluppato nel nostro Paese ed anche sulle difficoltà che sta incontrando in questi ultimi anni dentro l?incertezza di scelte politiche che stanno ponendo in grave difficoltà un intero settore educativo.
La Chiesa italiana non da oggi avverte che educare è prima di tutto saper dare ai giovani speranza in un futuro, è saper guardare al domani con fiducia, è vincere ogni solitudine, è uscire dal silenzio e dall?assenza di relazione personale, come portato di una società che corre sempre più in fretta, avendo smarrito la direzione di tanto affannarsi. Non sorprende dunque che la sorte di una delle agenzie più radicate nelle vicende del lavoro e dell?educazione di questo nostro Paese, qual è la formazione professionale, sia oggetto di un pronunciamento della Chiesa.

Equivoci dalla Finanziaria
L?antefatto sta nella sperimentazione dei percorsi triennali di qualifica che assolvono anche al diritto-dovere all?istruzione avvenuta nel 2003 che ha consentito ad oltre 100mila famiglie italiane di iscrivere i propri figli alla formazione professionale.
L?oggetto critico sta nella legge Finanziaria 2007 che, introducendo l?innalzamento dell?obbligo di istruzione a 16 anni, ha esplicitamente previsto (art. 1 comma 624) il proseguimento di tali percorsi triennali di qualifica assegnando ad essi la titolarità di assolvere al medesimo obbligo. Il risultato deludente di tale impostazione non sta tanto nel testo della legge, ma nella concreta attuazione che ne sta derivando. è sotto gli occhi di tutti: il riparto delle risorse 2007 non è ancora stato effettuato e già intere Regioni (Sardegna, Puglia, Abruzzo, Umbria) stanno cancellando la formazione professionale per la qualifica rivolta ai giovani. Queste Regioni si aggiungono a Campania, Calabria, Toscana che precedentemente avevano sostanzialmente azzerato questa segmento formativo nei propri territori.

Balcanizzazione regionale
Oggi nuovo e diverso è il compito che viene assegnato alle Regioni visto che debbono far assolvere ad un nuovo diritto, quello all?istruzione fino al sedicesimo anno di età, attraverso l?intera pluralità di strumenti che hanno a disposizione.
In tempi di oggettiva difficoltà a demarcare un confine tra le competenze dello Stato centrale e delle Regioni in materia di istruzione e formazione professionale, in conseguenza dell?ambivalenza del titolo V della Costituzione, non è facile declinare concretamente la costruzione dell?offerta formativa territoriale. Il rischio che si vada, proprio in materia di innalzamento dell?obbligo, ad una polverizzazione di interpretazioni territoriali dove in ogni Regione ci si inventa un modello diverso rispetto ad un unico diritto costituzionale, ci sembra essere purtroppo non una remota eventualità. La probabilità che una norma, che poteva trovare il consenso e l?approvazione proprio perché ispirata a contrastare le più grandi distorsioni del sistema, finisca per balcanizzare in una frantumazione localistica ogni progetto innovativo, si fa ogni giorno più concreta.
L?esercizio intrapreso in alcune Regioni di piegare a proprio piacimento il testo della Finanziaria per dedurne che i giovani in uscita dalla terza media debbano andare tutti alla scuola superiore, anche se fosse necessario l?intervento dei carabinieri, non ci sembra solo ascrivibile alla normale dialettica politica tra diverse sensibilità dentro la maggioranza di governo, ma anticamera di un vero sconquasso costituzionale.
Per evitare questa balcanizzazione è necessario che il governo ponga ora il massimo dell?attenzione a ciò che concretamente accade nell?applicazione dell?obbligo di istruzione in tutto il territorio nazionale, onde evitare che le distanze si accentuino e soprattutto al fine di assicurare che il proseguimento delle sperimentazioni e l?assolvimento del diritto all?istruzione fino al sedicesimo anno di età avvenga assicurando le medesime opportunità in tutto il territorio nazionale.

Due esigenze primarie
Occorre che il sistema educativo italiano torni a centrarsi sui fabbisogni formativi dei giovani e la loro tutela nel mercato del lavoro. Ciò corrisponde a due ben individuabili esigenze:
1. La diffusione delle tecnologie ha fortemente allargato la richiesta di processi di apprendimento diversi rispetto dal passato. C?è oggi una diffusa richiesta, soprattutto dei giovani, di poter apprendere non solo l?uso delle tecnologie, ma anche le competenze e i saperi generali attraverso una metodologia induttiva, che li accompagni all?apprendimento tramite i laboratori e da lì porti alla generalizzazione e alla teoria. Questa metodologia sta nel dna della formazione professionale che fin dalla sua nascita ha sempre privilegiato ?l?intelligenza delle mani?.
2. Conviviamo ormai da troppi decenni con elevati tassi di dispersione scolastica senza aver raggiunto risultati apprezzabili nel contrastare questi problemi. Siamo in Europa agli ultimi posti, per dispersione e per la percentuale di giovani che arrivano ad un diploma superiore, superati dalla stessa Romania. Si tratta di prendere atto che di fronte a fenomeni di questa consistenza e rilevanza non si può che accettare la sfida di riorganizzare l?offerta formativa. Più ampia e diversificata sarà l?offerta che Stato e Regioni sapranno programmare, più sarà assicurato il successo formativo di tutti i giovani. Dovrà essere l?offerta formativa a conformarsi ai diversi stili cognitivi dei giovani d?oggi, non viceversa. In questa ottica di diversificazione la formazione professionale risulta essere una risorsa importante.

Le parole di Bagnasco
Dispersione e abbandoni sono fenomeni da prevenire, non ha senso pensare di curarli. Dopo un insuccesso scolastico, in particolare in un adolescente, sarà estremamente difficile far rinascere motivazioni al reinserimento in percorsi di formazione. Né possiamo accettare di convivere con una dinamica sociale che relega per tutta la vita un numero rilevante di giovani ai margini del processo economico e molto spesso privi di strumenti per l?esercizio della cittadinanza sociale.
Al di là di ogni visione politica ed in ogni contesto territoriale – si tratti di questioni ordinamentali in capo allo Stato o si tratti di organizzazione dell?offerta formativa in capo alle Regioni – riteniamo che su queste concrete questioni debba cimentarsi ogni programmazione, cercando risposte nuove e coerenti con i problemi in campo ed anche unitarie in tutto il territorio nazionale. Così, come ricordava monsignor Bagnasco nella sua prolusione, la comunità politica fa suo il compito di registrare le spinte che emergono dalla società civile, ma anche quelle del tessuto istituzionale: «Per promuovere un?idea di bene comune da perseguire e dunque trasmettere alle generazioni di domani, in un progetto di società aperta e insieme capace di futuro».
*amministratore delegato Enaip

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