Medio Oriente
Freedom Flotilla, tutti gli attivisti verso il rimpatrio. Ma un’altra nave è pronta a partire per Gaza
Alcuni sono già rientrati, gli altri rientreranno nelle prossime ore. Borgia, portavoce italiano della coalizione: «La società civile fa paura, Israele teme gli attivisti pacifisti più degli uomini armati. Lo dimostrano anche gli arresti in Egitto di chi arriva per la Global March. Noi non ci lasciamo intimidire, presto salperemo di nuovo»

Dovrebbero rientrare tra oggi e domani gli otto attivisti di Freedom Flotilla che ancora si trovano detenuti in Israele, dopo che la nave Madleen, salpata da Catania e diretta verso Gaza con cibo, pannolini, medicinali e kit medici a bordo, tra l’8 e il 9 giugno è stata intercettata in acque internazionali e sequestrata dalla Marina israeliana.
I 12 attivisti a bordo sono stati poi portati nel porto di Ashdod e trattenuti. Quattro di loro – tra cui Greta Thunberg – hanno firmato l’espulsione e sono rimpatriati, altri otto hanno rifiutato di firmare e sono attualmente detenuti a Ramla. Tra questi l’europarlmantare franco-palestinese Rima Hassan e l’attivista brasiliano Thiago Ávila, che sono stati posti in isolamento. Per loro si temeva ed era stato minacciato un trattenimento di settimane, se non di mesi. «I legali che ci seguono in Israele ci hanno però appena confermato che saranno tutti rimpatriati, tra oggi e domani», ci riferisce il portavoce italiano di Freedom Flotilla, Michele Borgia: «Man mano che escono, ci confermano di aver subito un trattamento terribile: celle sporche, pulci sui letti, alcuni non hanno neanche ricevuto acqua da bere. Sono stati minacciati anche pesantemente, soprattutto quando si sono rifiutati di firmare per il rimpatrio. In particolare all’europarlamentare è stato urlato: “Se non firmi ti sbattiamo contro il muro”».
Ma che differenza fa firmare o non firmare se il risultato è comunque l’espulsione? «La differenza è politica», spiega Borgia. «Firmando, si riconosce in qualche modo una propria responsabilità di immigrazione clandestina. A un certo punto il pubblico ministero ha proposto di condannarli comunque a un mese di detenzione, ma pare che facesse più comodo mandarli via, per non tenere accesa l’attenzione che si stava alzando, soprattutto per la presenza dell’europarlamentare».
L’attenzione comunque si è alzata ed è soprattutto quello che cercano gli attivisti di Freedom Flotilla: «Sappiamo benissimo di non poter risolvere questa tragedia con le nostre barche. Gli israeliani ci sbeffeggiano, chiamando la Madleen “la barca di Greta” dicendo che portiamo le tavolette di cioccolata. Ma proprio da questo capiamo che ci temono: in questi giorni hanno lasciato anche commenti, sotto falso nome, sulla nostra pagina Facebook, cercando di diffamarci. Anche in Italia alcuni ci hanno preso in giro, dicendo che andiamo a farci “un giretto in barca”. Ma ce ne vuole di coraggio, per salire su una barca che poco tempo fa è stata attaccata dai droni israeliani. Le nostre azioni sono politiche e lo scopo è soprattutto alzare l’attenzione e creare mobilitazione. Al tempo stesso, naturalmente, continuamo a chiedere che si fermi subito il genocidio, si facciano entrare gli aiuti e siano affidati alla gestione dell’Onu e delle Ong, tecnicamente più praparati rispetto a questa agenzia che affama fingendo di sfamare».
Il potere dell’attivismo
Ed è di questo che Freedom Flotilla oggi chiede che si continui a parlare, perché «per quanto siano state gravi le violazioni e il trattamento subiti dai nostri attivisti, questo non è niente rispetto a ciò che da anni subisce la popolazione a Gaza», afferma Simone Zambrin, 25 anni, attivista di Freedom Flotilla Italia. «Ma l’Europa, l’Onu, l’Italia continuano a tacere: Tajani non perde però l’occasione di farsi bello accogliendo con tutti gli onori i bambini palestinesi che sono stati colpiti e feriti anche con le nostre armi e che oggi decidiamo di curare. Intanto, negli stessi giorni in cui la Madleen è stata sequestrata, ci risulta che il numero di morti ammazzati a Gaza sia ulteriormente aumentato. La situazione umanitaria è inaccettabile: come nazioni complici di questo massacro, dobbiamo scendere in piazza e metterci in cammino, per fare qualcosa con quello che abbiamo».
Proprio in queste ore, infatti, migliaia di persone sono in marcia da tutto il mondo, dirette verso Gaza, con l’intento di rompere pacificamente il blocco ed entrare a Rafah. Dal nord Africa è partito il Sumud (in arabo, resilienza), mentre da diverse parti d’Europa stanno arrivando in Egitto migliaia di partecipanti alla Global March to Gaza, che prenderà il via domani. «Viaggiamo per la libertà della Striscia di Gaza e lo facciamo per mare e per terra», spiega il portavoce Michele Borgia. «L’Egitto non si è mai espresso chiaramente, né a favore né contro queste iniziative. Nelle ultime ore ci arrivano notizie di arresti, sia negli alberghi che negli aeroporti. Migliaia di persone che, pacificamente, mettono il proprio corpo al servizio della pace e della solidarietà fanno più paura di terroristi armati: su questi ultimi si può sparare, sui primi non è possibile farlo, se non creando un caso internazionale che certamente Israele non vuole. La società civile fa paura: per questo è importante che si mobiliti, unendo migliaia, milioni di voci e di corpi per chiedere che a Gaza sia pace e che entrino finalmente gli aiuti. Noi non ci lasciamo intimidire: siamo quasi pronti per partire con un’altra nave, che salperà presto per Gaza. Ma per la sicurezza di tutti, vi diremo solo all’ultimo chi salirà a bordo e quando leveremo l’ancora».
Credit foto: AP Photo/Salvatore Cavalli
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