Verso il referendum
Fuggito dall’Eritrea, oggi consigliere comunale: «Mandavo le diffide in prefettura per diventare italiano»
Siid Negash è consigliere comunale a Bologna. Nel 1999, all'età di 19 anni, è fuggito in Italia per sottrarsi alla leva militare. Ha vissuto «più tempo qui che in Eritrea», dice. «Il referendum non deve essere strumentalizzato in modo ideologico né essere considerato come un sì o un no all’immigrazione ma riguarda come fare concretamente a includere tutti gli italiani che vivono nello stesso Paese»

Siid Negash, attivista naturalizzato italiano nato in Eritrea, è sempre stato convinto che non si dovesse aspettare che il Parlamento per chiedere un cambio di passo sulla riforma della cittadinanza. Capogruppo della lista di maggioranza Matteo Lepore sindaco a Bologna che in Consiglio comunale ha approvato il 27 giugno del 2022 una delibera per modificare lo statuto comunale, introducendo lo ius soli onorario , appartiene a una rete nazionale di consiglieri comunali con background migratorio che ha lavorato con costanza per aggregare realtà diverse con un obiettivo: fare advocacy affinché venga affrontato il nodo controverso della cittadinanza negata a tanti cittadini di origini straniere.
«Per me ce la facciamo», dice a VITA forse per scaramanzia o probabilmente perché è davvero convinto che la mobilitazione straordinaria a cui ha partecipato per il referendum dell’8/9 giugno darà un segnale forte dal basso che non potrà essere ignorato. Arrivato in Italia nel 1999, a diciannove anni, in fuga come molti altri eritrei per sottrarsi alla leva militare, non è mai più tornato nel suo Paese di origine. «Sono in esilio da 26 anni, ma ho vissuto più tempo in Italia che nel Paese dove sono nato», racconta. «Io incarno lo spirito dello ius scholae perché in Eritrea ho studiato alle scuole italiane e ho saputo dell’esistenza delle rondini prima di vederle», dice con la sagace ironia che lo caratterizza. Per ottenere la cittadinanza ci ha messo due anni e mezzo dopo averla richiesta. «Mandavo le diffide alla prefettura per farmi sentire. Gli italiani di diritto non sono consapevoli del loro privilegio. Avere un passaporto italiano permette di partecipare alla vita politica, ai concorsi per un lavoro regolare ma anche poter esercitare il diritto alla mobilità e andare in oltre 190 Paesi senza chiedere il visto. Tanta roba no?».
Prima di diventare consigliere comunale, a Bologna ha studiato al Dams e nel 2009 ha fondato l’associazione Next Generation Italy insieme ad altri ragazzi per promuovere e valorizzare le nuove generazioni con background migratorio. Classe 1979, è nato ad Asmara il 18 dicembre che per suggestiva coincidenza è la Giornata Internazionale dei migranti. «Sono scappato perché non accettavo l’obbligo di fare il servizio militare. Ho chiesto un visto per continuare gli studi in Italia e non sono mai tornato in patria a causa delle mie posizioni critiche verso il regime eritreo». Oggi tanti dei suoi amici sono in prigione, in guerra o dispersi nel mondo. E Invece lui in è un attivista che cerca di fare la differenza attraverso il dialogo interculturale ma anche politico perché Siid Negash ha un’altra convinzione: «Il referendum non deve essere strumentalizzato in modo ideologico né essere considerato come un sì o un no all’immigrazione ma riguarda come fare concretamente a includere tutti gli italiani che vivono nello stesso Paese».

Per lui che è pragmatico, si tratta di uno strumento per arrivare a mettere tutti intorno a un tavolo e discutere del futuro dell’Italia che deve comprendere anche «quello degli italiani ancora stranieri». Siid Negash è ottimista. E ci ha detto di percepire nell’aria tanta voglia di cambiamento, soprattutto da parte dei più giovani e delle donne. «Il giorno dopo il referendum, dobbiamo lavorare per costruire un’Italia meno frantumata e divisa». E se accadrà, sarà anche per quelli come lui che sono disposti a confrontarsi con tutti, a mettere in rete persone di orientamenti politici diversi, enti, istituzioni, associazioni di categoria, perché consapevoli che oggi l’Italia è come un film che sequenza dopo sequenza coglie il movimento e i cambiamenti talvolta impercettibili. «Ci vorranno costituzionalisti, giuristi, politici, attivisti, professori per unificare tutte le istanze e progetti di legge. Gli attivisti hanno dato l’abbrivio per arrivare a una meta che fino ad alcuni mesi fa sembrava un miraggio. Il punto non è se vincerà il sì ma come vincerà. Il giorno dopo il voto al referendum tutta la società dovrà dare il suo contributo per superare la discriminazione profonda che ancora divide i cittadini e relega chi ha origini straniere ai margini della società o costringe chi può, come fanno tanti giovani italiani, ad andarsene».
Sul referendum osserva, provocatoriamente: «Bisognerebbe mettere il quorum per le elezioni politiche e toglierlo alle iniziative popolari perché qualcuno mi deve ancora spiegare come mai gli italiani sono governati da una maggioranza eletta da una minoranza (alle elezioni del 25 settembre 2022 hanno partecipato 6 italiani ogni 10 aventi diritto, ndr) mentre se la società civile raccoglie oltre 630mila firme come nel nostro caso deve superare il quorum di metà degli aventi diritto al voto più uno». E inoltre ci sono dei paradossi apparentemente incomprensibili che Siid Negash ci tiene a sottolineare. «Secondo la legge in vigore le persone con status di rifugiato (e gli apolidi,ndr) hanno diritto di fare domanda di cittadinanza dopo 5 anni di residenza ininterrotta mentre chi è nato e cresciuto qui deve aspettare di compiere 18 anni. Mi pare contradditorio in un Paese dove l’ostilità verso i migranti è manifesta». Per lui, che per anni si è dedicato all’educativa di strada, la riforma della legge sulla cittadinanza deve passare per la capacità di advocacy, di fare sistema con tanti segmenti della società che hanno compreso il valore della ricchezza multiculturale. Perché il film dell’Italia che è cambiata radicalmente deve essere ancora girato.
Foto Michele Nucci/LaPresse
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