Appelli

Fuoco sulla Calabria. Quando la terra grida, la Chiesa non può tacere

«In questi giorni, la mia Calabria arde», scrive Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Ionio e vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana. «Non è solo un’emergenza ambientale: è una ferita morale. Dietro troppe fiamme si nasconde una strategia criminale. Sono mani consapevoli, spesso legate alla ’ndrangheta, a innescare il disastro. Una fede che non denuncia l’ingiustizia è una fede che si spegne. Ecco perché, da vescovo, sento il dovere di alzare la voce. Serve il coraggio di andare a fondo, di spezzare i circuiti criminali, di proteggere questa terra come si difende una madre»

di Francesco Savino

In questi giorni, la mia Calabria arde. E con essa si consuma una parte dell’anima di questo Paese. Brucia la Diocesi di Cassano allo Ionio, dove ogni ulivo è memoria, ogni collina promessa, ogni santuario rifugio. Non è solo un’emergenza ambientale: è una ferita morale, profonda. Non parliamo soltanto di incendi, ma di un sacrificio imposto a una terra viva, che continua a essere violata.

Il fuoco che avanza non è sempre figlio del caso o della trascuratezza.
Ci sono responsabilità evidenti: sentieri abbandonati, controlli carenti, prevenzione assente. Ma fermarsi qui sarebbe miope. Dietro troppe fiamme si nasconde una strategia criminale. Sono mani consapevoli, spesso legate alla ’ndrangheta, a innescare il disastro. Il fuoco diventa linguaggio del potere, strumento per il controllo del territorio, alleato silenzioso di interessi oscuri.

Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Ionio e vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana

È accaduto anche nella mia Diocesi, dove le fiamme hanno lambito il Santuario della Madonna della Catena. Non si tratta soltanto di un edificio: è un presidio di fede, un simbolo di affidamento e speranza. Quando il fuoco minaccia questi luoghi, è l’anima stessa della comunità a tremare.

In Calabria — e in altre regioni del Sud — gli incendi diventano spesso mezzi per distruggere ciò che è sano, per coprire traffici illeciti, per “ripulire” aree da trasformare in profitto. Così l’illegalità ridisegna il paesaggio a suo piacimento: trasforma la biodiversità in deserto, l’ambiente in merce. Dietro ogni fumo che sale, si cela una logica di morte. C’è anche chi viene da fuori, per fare del Sud un laboratorio di devastazione. Chi considera queste terre sacrificabili, da sfruttare e poi dimenticare. E mentre la politica — troppo spesso — resta distratta o impotente, la distruzione avanza.

Ma la Chiesa non può tacere. Una fede che non denuncia l’ingiustizia è una fede che si spegne. Ecco perché, da vescovo, sento il dovere di alzare la voce. Non per isolarmi, ma per chiamare alla corresponsabilità: cittadini, istituzioni, associazioni, comunità parrocchiali. La Calabria non può essere lasciata sola. Non possiamo rassegnarci a vivere tra la cenere e la foschia che ottunde il respiro.

A chi devasta per tornaconto personale, dico: convertitevi. Non solo alla legalità, ma alla custodia. Alla consapevolezza che la terra non è proprietà da usare, ma dono da proteggere. A chi ha responsabilità politiche, chiedo: non voltatevi altrove. Non basta la passerella del sopralluogo né l’annuncio dell’emergenza. Serve il coraggio di andare a fondo, di spezzare i circuiti criminali, di proteggere questa terra come si difende una madre.

La Calabria è scritta nel libro della bellezza, non in quello della disfatta.
Non possiamo abbandonarla al fuoco, al profitto e all’indifferenza. Servono leggi giuste, controlli efficaci, pene certe. Ma soprattutto, serve un sussulto morale.
Un nuovo patto tra chi abita e chi governa queste terre. Un’alleanza per la vita, che sappia unire prevenzione, educazione, giustizia. Noi continueremo a pregare. Ma la nostra preghiera sarà anche denuncia, proposta, impegno concreto. Perché ogni lembo di terra ferito è una ferita che ci riguarda tutti.
E perché crediamo che – anche tra le rovine – il seme della rinascita può ancora germogliare.

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