Il caso Bologna

Fuori Binario, lo spazio che sta dentro le contraddizioni di chi fa uso di sostanze

Giovanni Armellini è un educatore di Fuori Binario, il servizio di bassa soglia dell'Asp di Bologna per i consumatori di sostanze che vivono in strada. È lui uno degli operatori che stanno prima e dopo le pipe del crack di cui tanto si sta parlando in questi giorni. Lo abbiamo incontrato. «Spesso si pensa che le persone si rovinano perché si drogano, ma è il contrario: uno è rovinato e quindi si droga. Se sei arrivato a essere un consumatore di strada, significa che hai perso tutto. A quel punto, la sostanza diventa l’unica cosa in cui ti riconosci, la tua ancora di salvezza. Giudicare l'uso di sostanze si può, ma insieme alla persona»

di Claudia Balbi

Chi c’è dall’altra parte della pipa? È la domanda da cui siamo partiti, in questi giorni in cui si è riacceso il dibattito sugli interventi di riduzione del danno a partire dall’annuncio della distribuzione delle pipe da crack da parte del Comune di Bologna. Giovanni Armellini da anni è uno di quelli che porge la pipa e allo stesso tempo uno di quelli che, dopo la pipa, c’è. È educatore di Fuori Binario e vice-direttore di In Strada, i servizi di bassa soglia di Asp Città di Bologna gestiti dal consorzio l’Arcolaio. Lo incontriamo negli spazi che ogni giorno accolgono le persone che lui definisce «la punta sommersa dell’iceberg dei consumatori di droga»: persone che non hanno più una casa, un lavoro, una famiglia, una rete sociale e che vivono per strada. Qui trovano una colazione con caffè e cornetti caldi, un pasto offerto dalle vicine “Cucine Popolari”, una sala relax, dei computer, un laboratorio ma anche, anzi soprattutto, operatori esperti.

Prima di parlare dei consumatori di sostanze che incontra e prima di provare a guardali insieme «con altri occhi», però, Armellini mi mostra il magazzino. Indica una scatola gialla: «Questo è il Naloxone, serve in caso di overdose di eroina, ne neutralizza l’effetto». Accanto al farmaco ci sono le siringhe e le stericup, piccoli contenitori sterili che vengono usati per preparare la droga da iniettare. A Fuori Binario sono questi i principali strumenti che oggi – la distribuzione delle 400 pipe per fumare il crack non è ancora stata avviata – vengono dati ai consumatori di sostanze, con l’obiettivo di ridurre il più possibile il rischio di contrarre malattie (hiv, epatite C e altre infezioni) o di andare incontro a overdose: questo significa “riduzione del danno”.

«Ovviamente prima di dare una siringa facciamo un colloquio e compiliamo una anagrafica, non è che una persona arriva, bussa e noi gli diamo subito una siringa», sottolinea Armellini. Sembra quasi superfluo precisarlo, ma evidentemente serve farlo. «Mettiamo caso che è la prima volta che ti vedo: voglio sapere chi sei e il tipo di consumo che hai. Se fosse la prima volta che usi eroina, per esempio, sarebbe rischiosissimo perché il corpo non è abituato alla sostanza e il rischio overdose è al massimo», afferma l’operatore. Mentre parliamo arriva una ragazza che consegna delle siringhe usate e ne riceve di nuove: «La cosa migliore sarebbe dare una siringa nuova per ciascuna siringa riconsegnata, perché così disincentivi l’abbandono delle siringhe usate per terra o in un cestino qualsiasi… Portarle nei contenitori per i rifiuti medici che abbiamo qui è più sicuro per tutti», spiega. Anche questa è riduzione del danno.

A chi fuma crack o eroina, invece, viene consegnato un foglio di alluminio. Fuori Binario fornisce anche un servizio di drug checking, dei test rapidi che analizzano la purezza della sostanza e un kit che ne analizza il taglio. C’è anche la possibilità di fare un’analisi più strutturata della sostanza con il laboratorio forense dell’Università di Bologna.

Quindi un servizio a bassa soglia e un target preciso: consumatori di sostanze, che vivono in strada. Come avviene il primo contatto?

La prima cosa che faccio è chiarire che sono un operatore. Poi cerco di capire se la persona ha voglia di essere disturbata, perché comunque è un’invasione di spazio: è vero che sono senza casa, ma la strada diventa la loro casa per cui sono io che entro in un tuo spazio e per questo ci entro in punta di piedi, chiedendo “permesso”. Solo a questo punto gli chiediamo come stanno, gli offriamo dell’acqua, qualcosa da mangiare o del materiale.

Gli spazi di Fuori Binario, alla Bolognina

Come fa a sapere che ci si deve fermare proprio in un punto, proprio in una via?

Il lavoro sulla strada prevede anche un lavoro di mappatura. Sei tu che vai a cercare le persone che non arrivano al tuo servizio e per poterlo fare è ovvio che prima devi capire dove si muovono, dove dormono, dove utilizzano la droga. In generale, se vedo una persona che consuma per strada mi fermo subito. La saluto, chiedo come va, se non ci conosciamo già mi presento e lascio un biglietto da visita con i nostri riferimenti. Lo stesso vale se vedo qualcuno che hai già frequentato Fuori Binario o qualcuno che sta dormendo per strada.

Chi sono queste persone? È possibile tracciarne un profilo?

Per strada c’è un range enorme di situazioni. Le persone che vivono per strada non sono un “tipo” unico ma al contrario portano con sé una serie di problematiche diverse e diverse sono quindi anche le possibilità di affrontarle. In strada, ogni persona è un caso a sé, non c’è un modello da seguire. Lo standard è il rispetto della persona e del momento. Cosa hanno in comune tra loro? Il fatto che sono persone senza casa e che sono quasi sempre policonsumatori. La fascia tra i 25 e i 40 anni è quella che incontriamo più spesso. I consumatori di crack son più giovani che anziani e sta aumentando anche il numero delle donne che usano sostanze per strada.

In strada ogni persona è un caso a sé, non c’è un modello da seguire. Lo standard è il rispetto della persona e del momento. Cosa hanno in comune? Il fatto che sono persone senza casa e che sono quasi sempre policonsumatori. La fascia tra i 25 e i 40 anni è quella che incontriamo più spesso

Giovanni Armellini, educatore di Fuori Binario

Di cosa parlate durante il primo contatto? Come avviene l’aggancio?

Per esempio l’altro giorno ho incontrato una persona che mi ha parlato mezz’ora della pipetta che aveva costruito da solo. Probabilmente fumando quella si fumava anche una grande quantità di plastica, però per lui la pipetta era un oggetto relazionale forte, in cui si identificava. Ecco perché dare una pipetta diventa un medium relazionale: in qualche modo mi prendo cura di te, ti riconosco come persona degna di cura. E se vedo che stai facendo qualcosa che fa male alla salute, cerco di darti degli strumenti che ti facciano meno male. La cosa funziona perché tendenzialmente le persone sono abituate che la prima cosa che viene messa in discussione, incontrandole, non è la pipetta ma il consumo di crack.

A Fuori Binario le persone consumatori di sostanze che vivono in strada trovano un caffé, un pasto, una postazione internet e operatori preparati

È una domanda banale, ma forse vale la pena ripeterlo. Perché non basta dire alle persone che devono smettere con l’uso di sostanze?

Non funziona perché se sei un consumatore che è arrivato a vivere per strada vuol dire che ci sono state una serie di cose che ti sono crollate attorno. Prima di finire lì magari avevi una casa, un progetto, un lavoro, ma forse non avevi le spalle copertissime per cui – per esempio – quando hai perso il lavoro non hai avuto un genitore che ti potesse aiutare. Se sei arrivato a essere un consumatore di strada sei anche passato attraverso tutta una serie di eventi che ti hanno portato a perdere tutto quello che avevi. A quel punto, la sostanza diventa l’unica cosa in cui tu ti riconosci, la tua ancora di salvezza. Ti costruisci la tua rete sociale attorno ad essa. Se una persona è in questa condizione, il sentirsi dire “no guarda, questa cosa ti fa male, devi smettere” è del tutto inutile.

Se sei arrivato a essere un consumatore di strada, significa che sei passato attraverso tutta una serie di eventi che ti hanno portato a perdere tutto quello che avevi. A quel punto, la sostanza diventa l’unica cosa in cui tu ti riconosci, la tua ancora di salvezza

Giovanni Armellini, educatore di Fuori Binario

Cosa funziona allora per lavorare con chi si droga e vive per strada?

La cosa che funziona – lo dice la letteratura scientifica – è il fatto che la persona deve arrivare a dire da sola “voglio smettere”. Più la cosa diventa impositiva o moralista, meno la persona riesce a smettere. Il lavoro che facciamo noi quindi è quello di porci sempre senza dare un giudizio sulla persona, senza dettare dei tempi. Io, intanto, ti offro attenzione e cura su altre cose: il mangiare, il bere. Ti dimostro che ti sto vicino e che anche tu ti puoi stare vicino: se vieni a Fuori Binario a prendere un caffè, se stai un po’ al caldo è comunque una forma di cura che inizi a dare a te stesso. Da lì si parte.

Quali sono le prime cose che fate, una volta che una nuova persona entra in contatto con Fuori Binario?

Come prima cosa facciamo compilare l’anagrafica con dati come nome, cognome, data di nascita, informazioni sul possesso o meno del permesso di soggiorno, e poi chiediamo notizie sullo stile di consumo: che sostanze consuma, da quanto tempo, se ha mai fatto uso iniettivo, se prende o ha mai preso metadone, se è iscritto a un Sert, o ha intenzione di farsi seguire da un Sert, se è seguito da altri servizi (servizi sociali, tutela minori, Csm). Successivamente si fanno i test sanitari: abbiamo quello rapido per l’epatite C e quello per l’Hiv. Nel caso di positività abbiamo attivato un canale per portare le persone direttamente all’Ospedale Sant’Orsola dove hanno visite speciali, riescono a fare tutte le analisi in un giorno solo e ricevono la terapia. Per le persone che vivono in strada, la terapia la possiamo tenere anche qui da noi e loro vengono a prenderla.

A bordo dell’unità di strada di Fuori Binario

Come prosegue il lavoro in sede?

Dopo il colloquio conoscitivo, da cui ti fai una prima idea sulla persona, si inizia a passare del tempo con lei, anche piacevole. Si cerca di capire se ha esigenze o inclinazioni particolari. Il lavoro dell’équipe educativa è poi farsi venire delle idee su misura per ogni persona, che sia la proposta di partecipare a un laboratorio o quella di provare ad avviare un percorso di reinserimento nel mondo del lavoro. Durante la settimana abbiamo più momenti dedicati a questo: tre ore che ci prendiamo per parlare delle singole persone o perché siamo molto preoccupati o perché ci sono venute delle idee per loro.

Che succede alle persone incontrate per strada, quando entrano in questo spazio?

Inizi a conoscerle per quello che sono e non per quello che fanno. Quando fai questo passaggio di sguardo, scopri cose che dal primo giudizio sommario che solitamente si dà di una persona che si sta fumando una pipetta… non ti saresti mai aspettato.

Per esempio?

C’era un ragazzo che consumava moltissime sostanze e dopo un anno e mezzo che lo seguivamo tendenzialmente ci eravamo convinti che non sarebbe mai riuscito a cambiare stile di vita. Invece col tempo ha diminuito ampiamente il consumo, sta facendo un tirocinio formativo e non viene più qua perché ha paura che potrebbe tornargli la voglia di fare un uso massivo della droga. In pratica ha un benessere migliore di quando è arrivato a Fuori Binario ed è inserito di nuovo in una rete sociale. Una ragazza che frequentava questo spazio, invece, a un certo punto è rimasta incinta e da lì ha ripreso i contatti con la sua famiglia. Adesso fa la mamma e ha smesso con le sostanze. Questa forse è la storia che ci ha commosso di più. Se non ci fosse stato Fuori Binario, lei non avrebbe fatto tempestivamente il test di gravidanza che le colleghe le hanno consigliato, si sarebbe accorta più tardi della gravidanza, non avrebbe potuto chiamare i suoi genitori. O forse invece avrebbe fatto tutto questo comunque, ma certo sarebbe stato molto più complicato per lei.

E negli altri casi, che succede dopo l’ingresso a Fuori Binario?

Alcuni rimarranno dentro il consumo per tutta la vita, altri proveranno a smettere ma non ci riusciranno, altri ancora ci riusciranno.

Com’è lavorare sapendo che alcune delle persone che seguite non riusciranno mai a smettere? Non è frustrante? Vive un’ambivalenza nel fornire alle persone il materiale con cui si drogano?

Il mio obiettivo è ascoltare le persone e aiutarle a costruire il proprio benessere. Usiamo le nostre competenze di operatori per introdurre pian piano dei piccoli “momenti critici” che portino a mettere in discussione le certezze che uno si è costruito per stare bene. Tutto questo però va fatto con garbo, gentilezza e rispettando i tempi della persona. Il fine ultimo è il benessere della persona e questo è un concetto che certamente va discusso insieme, ma io non posso imporre la mia visione. È ovvio che se una persona riesce a smettere con le sostanze io sono felice, non posso dire di no. E che se uno davvero vuole smettere, io lo accompagnerò lungo tutto il percorso. Però deve esserci una sua richiesta. La parte fondamentale di questo lavoro è il non banalizzare l’uso della sostanza e allo stesso tempo non giudicare. Giudicare si può, ma insieme alla persona. Non posso dare dei giudizi, se tu non sei pronto a sentirli.

Giudicare si può, ma insieme alla persona. Non posso dare dei giudizi, se tu non sei pronto a sentirli

Come si fa a far sì che Fuori Binario non sia solo un rifugio?

In parte è anche quello. L’idea stessa di lasciare alla persona il tempo necessario a capire cosa fare comprende anche la possibilità di rimanere “parcheggiati”. Si chiama pre-contemplazione: vuol dire aspettare che la domanda arrivi dalla persona. Se quella persona ha deciso che benessere per lei è una cosa diversa da quello che io penso per lei, io posso solo accettarlo. Il fatto di poter stare parcheggiati le dà il tempo che magari le serve perché – a un certo punto – alzi la mano e dica: “Non voglio più stare fermo”. Quando accade, a Fuori Binario trova sempre un operatore formato che può dirle: “Parliamone insieme. Facciamo questa cosa?”. Uno che risponde alle sue esigenze.

Dopo l’avvio del percorso, emergono le motivazioni di fondo che hanno portato la persona a drogarsi e vivere per strada?

Bisogna fare una riflessione ampia su questa cosa: noi oggi viviamo in una società dove per ogni malessere c’è una medicina, dal mal di testa ai disturbi mentali. Abbiamo una psichiatria sviluppatissima e una psicologia pubblica praticamente scomparsa. Sei hai bisogno di uno psicologo ormai è normale andarci privatamente: però questa possibilità è accessibile solo ad una certa fascia di persone. Per chi può permetterselo, quindi, c’è una cura della psiche a cui si affianca, quando serve, una cura farmacologica. Per le persone che non hanno queste possibilità invece, di fatto, quel che succede è che per ogni disturbo psicologico viene data una sostanza. Questo crea una forma mentis che porta alcune persone a dire “a questo punto scelgo io come curarmi, con la sostanza che voglio io e che io mi compro”. È un’estremizzazione, certo, anche perché tendenzialmente è difficile che una persona che sta bene e abusi di sostanze. Noi però, lo ripeto, lavoriamo con la punta dell’iceberg: con persone che hanno perso il contatto sociale, la casa, il lavoro e spesso anche famiglia.

Giovanni Armellini durante l’intervista con la collaboratrice di VITA (di spalle)

Ci sono degli stereotipi sulle persone che fanno uso di droghe che vorrebbe smontare?

Intanto il fatto di fare così fatica ad andare oltre il fatto dell’uso della sostanza: definire una persona come “drogata” significa non vedere neanche un centesimo della sua complessità. Vuol dire definirla per un suo comportamento, non per ciò che è: penso che questo sia sbagliato a prescindere, per chi fa uso di sostanze o per altro. Le persone che utilizzano sostanze sono molto più complesse e in più le sostanze sono molto più presenti nella società di quello che si pensa e quindi è molto facile dare giudizi frettolosi sulla persona che si droga per strada, senza mettere in discussione tutto un contesto. Spesso si sente dire che le persone si rovinano perché si drogano, ma vale il contrario: uno è rovinato e quindi si droga. L’altro messaggio che deve passare è che è semplicistico e moralista pensare che una volta che uno smette di drogarsi ha smesso per sempre: questo è un fenomeno che non è mai tutto bianco o tutto nero.

Giovanni Armellini, educatore di Fuori Binario, a bordo del furgone attrezzato per il servizio dell’unità di strada

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