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Solidarietà & Volontariato

Gare d’appalto al volontariato, il ministero chiarisca

L'intervento dell'esperto di Vita Giulio D'Imperio: «Se fosse dato il via libera a rimetterci saranno le cooperative sociali»

di Giulio D'Imperio

A scanso di equivoci occorre subito precisare che la decisione del Consiglio di Stato non rappresenta una norma, ma una semplice indicazione sia pure autorevole. Per cui ad oggi le associazioni di volontariato continuano a poter sottoscrivere soltanto convenzioni ai sensi dell’articolo 7 della L.266/1991. Chiaramente questa sentenza, però, non dovrebbe passare inosservata anche perché si spera che possano esserci precise indicazioni da parte degli organismi competenti (Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero della funzione pubblica, etc.) . Riflettendo sulla decisione dei giudici del Consiglio di Stato si ha inizialmente la netta sensazione che la legge quadro sul volontariato (L.266/1991)  andrebbe immediatamente rivista, se non addirittura riscritta, perché a questo punto bisognerebbe una volta per tutte decidere se la associazione di volontariato può esercitare o meno attività di impresa.

Offrire alla associazione di volontariato la possibilità di partecipare a gare di appalto, riconoscendo che “l’assenza di fini di lucro non esclude che le associazioni di volontariato esercitino un’attività economica e costituiscano imprese…..” significa di fatto non tenere conto delle motivazioni che devono spingere le persone a creare una associazione di volontariato. Oltretutto non tutti si sono resi conto che offrire una tale opportunità alle associazioni di volontariato comporta, inevitabilmente, il rischio di una infinità di contenziosi a seguito di ricorsi presentati da associazioni di volontariato che porterebbero inevitabilmente al blocco di servizi garantanti solo a seguito di gare di appalto.

Si finirebbe poi con il penalizzare soprattutto le cooperative sociali che avrebbero serie difficoltà a competere con le ODV semplicemente per un problema di costi di gestione relativi soprattutto al personale.
Immaginate ad esempio una offerta che potrebbe essere presentata da una associazione di volontariato per svolgere un servizio con soli volontari ed una offerta presentata sia pure da una cooperativa sociale che comunque usufruisce di soci che magari hanno scelto di intraprendere con la cooperativa, ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della L.142/2001, un rapporto di lavoro dipendente.
Sicuramente l’offerta più conveniente sarà quella presentata dalla associazione di volontariato, soprattutto se trattasi di una offerta al ribasso.  

  Altro punto importante è il rispetto della L.327 del 7 novembre 2000, dal titolo “Valutazione e costi del lavoro e della sicurezza nelle gare di appalto” da cui non è più possibile prescindere nel caso di gare di appalto. E’ bene ricordare che questa norma ha come finalità quella di evitare che ci possano essere realtà che si aggiudichino gare di appalto con enti pubblici, facendo offerte talmente basse da porre a rischio la regolarità dei rapporti di lavoro. Perché questo non avvenga periodicamente vengono pubblicate delle tabelle riportanti il costo del lavoro riferiti ai differenti settori merceologici ed alle differenti aree territoriali.     
E’ chiaro che quanto appena affermato provoca di fatto una inesorabile selezione di aziende che possono partecipare a gare di appalto, rispettando le disposizioni previste dalla L.327/2000.
A questo punto c’è da chiedersi: come potrà una associazione di volontariato, impiegando solo volontari attenersi a tale disposizione? Inoltre cerchiamo di essere realisti: una associazione di volontariato che decide di partecipare a gare di appalto potrà usufruire di prestazioni di volontari solo quando questi non svolgono attività lavorativa (ad esempio pensionati).

Questa teoria trova la propria giustificazione nel comma 3 dell’articolo 2 della L.266/1991 che così recita: “La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo……”  Questo passaggio lascia intendere che è impossibile trovare una persona che lavora e possa svolgere attività di volontariato a tempo pieno. Considerando che quando si vince una gara di appalto è necessario il servizio dovrà essere espletato con carattere di continuità, è chiaro che una persona che lavora la continuità della prestazione non può garantirla.    

Interessante sarebbe capire cosa potrebbe succedere in caso di ispezione ad una associazione di volontariato, che sta svolgendo una attività a seguito di aggiudicazione di una gara di appalto, qualora venissero individuati disoccupati che stanno espletando l’attività lavorativa ed invece di risultare dipendenti della associazione risultano soci volontari della stessa?
Tale situazione potrebbe essere configurata come forma elusiva del rapporto di lavoro, facendo comunque insinuare che dietro la figura del volontario si nasconda di fatto un rapporto di lavoro a nero, e quindi non regolare.

Infine vorrei che si riflettesse su un particolare che a qualcuno sfugge: l’azienda che aveva presentato ricorso non era una associazione di volontariato, ma una a.t.i. che aveva come mandataria una Associazione di volontariato e quindi la decisione del Consiglio di Stato potrebbe essere vista come una forzatura.
D’altro canto, però, pur non esistendo alcuna disposizione normativa che prevede l’esclusione di una associazione di volontariato dalla partecipazione a gare di appalto, non ci si può limitare a considerare soltanto quello che ha affermato al Corte di Giustizia CE, sez.III, 29 novembre 2007 C -119/06, ovvero che le “associazioni di volontariato esercitino una attività economica e costituiscono imprese considerando ai sensi delle disposizioni del trattato relativo alla concorrenza”; senza tener presente quanto riportato dall’articolo 3 del DPCM del 30/3/2001 che così recita “Gli enti pubblici stabiliscono forme di collaborazione con le organizzazioni di volontariato avvalendosi dello strumento della convenzione di cui alla legge n. 266/1991”.
Tale disposizione è chiara e sicuramente in contrasto con quanto stabilito dai giudici del Consiglio di Stato.


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