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Medio Oriente

Gaza, il mese dell’orrore 

Ad un mese dall’inizio della guerra tra Israele e Hamas il bilancio delle vittime è drammatico: superati i 10mila morti palestinesi di cui 4mila sono minori. Ogni dieci minuti un bambino è stato ucciso. 1.400 i morti israeliani. 36 i giornalisti uccisi. La Striscia di Gaza è sotto assedio. Gli aiuti umanitari entrano a singhiozzo. Da tutta la società civile si alza una sola voce: cessate il fuoco

di Anna Spena

“Una tragedia di proporzioni colossali”, così l’Onu ha definito quello che sta accedendo nelle Striscia di Gaza. Antonio Guterres, il segretario generale delle Nazioni Unite, su Gaza ha detto «sta diventando un cimitero di bambini». 

È passato un mese. Lo scorso 7 ottobre Hamas, che governa nella Striscia di Gaza, ha lanciato un attacco missilistico su Israele, sfondato le barriere e colpito le colonie in prossimità della Striscia, attaccando anche un rave party in corso nel deserto del Neghev.  La risposta del Governo di Israele non si è fatta attendere e le forze di difesa israeliane hanno iniziato a bombardare la Striscia di Gaza: non sono stati risparmiati né ospedali, né scuole, né campi profughi altamente popolati. Diversi giorni fa è anche iniziata l’invasione via terra della Striscia. Il ministro della difesa israeliano, Yoav Gallant, aveva da subito ordinato un assedio totale di Gaza: «Non ci sarà elettricità, né cibo, né carburante, tutto sarà chiuso. Stiamo combattendo animali umani e agiamo di conseguenza».  E così ha fatto: per giorni gli aiuti umanitari tra cui acqua, cibo, medicine, carburante, non sono entrati nella Striscia. E ora qualche camion entra a singhiozzo, appena 400 nelle ultime due settimane. Rispetto ai 500 al giorno che entravano prima dell’inizio del conflitto. Israele continua però a non permettere l’ingresso di carburante, che invece è essenziale per mantenere operativi gli ospedali ancora funzionanti e le macchine da cui dipendono i bambini nati prematuri e i pazienti in terapia intensiva. E senza carburante l’acqua non può essere pomata o purificata.

Gli aiuti possono passare solo dall’Egitto, dal valico di Rafah, perché gli altri due valichi, quelli confinanti con Israele, Erez a nord, per il passaggio delle persone, e Kerem Shalom a sud est, per le merci, sono e molto probabilmente saranno definitivamente chiusi. Ma se non vogliamo che la gente continui a morire dobbiamo accelerare l’ingresso e la distribuzione degli aiuti e consentire l’ingresso di carburante. Per due volte la Striscia è stata lasciata senza connessione internet, isolata dal mondo. Ma a Gaza non vivono animali – come li ha definiti Yoav Gallant – ma due milioni e 300mila persone, in poco più di 300 chilometri quadrati, quasi la metà sono minori. «La Striscia di Gaza non è autonoma», aveva raccontato Dina Taddia, direttrice generale dell’organizzazione umanitaria WeWorld, che da 30 anni lavora nella Striscia di Gaza e Cisgiordania. «È una striscia di terra sabbiosa lunga quaranta chilometri e larga dai cinque ai sedici. La metà degli abitanti vive nei campi profughi. Una striscia di terra senza possibilità di uscita». 

I numeri non restituiscono la drammaticità di questa tragedia umana, ma anche quelli, oggi, fanno – o almeno dovrebbero – rabbrividire. Nella Striscia sono state uccise più di diecimila persone, inclusi più di 4mila minori, quindi un minore ogni dieci minuti. 1400 sono le vittime israeliane uccise nello stesso periodo. Sono almeno 36 i giornalisti che hanno perso la vita, la denuncia arriva dal Committee to protect journalist. Tra le vittime 31 sono palestinesi, quattro israeliani e un libanese. 

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“Si discute se l’attacco di Hamas del 7 ottobre, pur rappresentando un efferato crimine, possa giustificare la risposta militare (guerra) del governo israeliano”, aveva scritto Nino Sergi in questo pezzo – Guerra a Gaza: cosa dice il diritto umanitario internazionale. “Lo status di Gaza e di Hamas e la quasi assenza dell’Autorità palestinese rendono incerto il responso ma rimane intatta la certezza che la risposta militare di Israele debba rispettare due criteri fondamentali: la distinzione tra militari e civili, evitando di coinvolgere i civili nei combattimenti; la proporzionalità della risposta, in relazione agli effetti sulla popolazione civile dell’obiettivo militare che si vuole perseguire”. 

La risposta feroce di Israele non è difesa, ha preso la forma della vendetta come proclamato da Netanyahu e dal suo governo. E viola il diritto internazionale umanitario. Da tutta la società civile si è alzato un solo grido: cessate il fuoco. Ma questo grido resta inascoltato.

«La via da seguire è chiara», dice Antonio Guterres, il segretario generale delle Nazioni Unite. «Un cessate il fuoco umanitario. Ora. Tutte le parti rispettano tutti i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario. Ciò significa il rilascio incondizionato degli ostaggi a Gaza. La protezione dei civili, degli ospedali, delle strutture delle Nazioni Unite, dei rifugi e delle scuole. Più cibo, più acqua, più medicine e ovviamente carburante – per entrare a Gaza in modo sicuro, rapido e nella misura necessaria. Accesso illimitato per fornire forniture a tutte le persone bisognose a Gaza. Ora. E la fine dell’uso dei civili come scudi umani. Nessuno di questi ricorsi dovrebbe essere condizionato agli altri. Inoltre, rimango seriamente preoccupato per l’aumento della violenza e l’espansione del conflitto. La Cisgiordania occupata, inclusa Gerusalemme Est, è a un punto di ebollizione. Non dimentichiamo inoltre l’importanza di affrontare i rischi che il conflitto si estenda a una regione più ampia. Stiamo già assistendo a una spirale di escalation dal Libano e dalla Siria, all’Iraq e allo Yemen. Questa escalation deve finire. Devono prevalere il sangue freddo e gli sforzi diplomatici. La retorica odiosa e le azioni provocatorie devono cessare. Sono profondamente turbato dall’aumento dell’antisemitismo e del fanatismo anti-musulmano. Le comunità ebraiche e musulmane in molte parti del mondo sono in massima allerta, temendo per la propria incolumità personale. Le emozioni sono al culmine. Le tensioni sono alte. Le immagini della sofferenza spezzano il cuore e schiacciano l’anima. Ma dobbiamo trovare un modo per mantenere la nostra comune umanità». 

Credit foto: AP Photo/Hatem Ali


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