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Medio Oriente

Gaza, più dura la tregua umanitaria più vite si possono salvare

Prolungata di due giorni la tregua tra Israele e Hamas. Continua lo scambio di ostaggi israeliani e detenuti palestinesi. Dall'Egitto proseguirà la fornitura di 200 camion di prodotti alimentari e 7 cisterne di carburante e gas da cucina al giorno. Ma nella Striscia sono 1,7 i milioni gli sfollati, diversi ospedali non sono funzionanti e le quantità di beni entrati dal valico di Rafah sono comunque più basse del fabbisogno

di Anna Spena

Il 24 novembre è partita una tregua umanitaria di quattro giorni  tra Israele e Hamas.  Gli accordi prevedevano la liberazione di 50 ostaggi da parte di Hamas, la liberazione di 150 palestinesi, minori e donne, detenuti nelle carceri israeliane e l’ingresso, attraverso il valico di Rafah al confine con l’Egitto, di beni essenziali: acqua potabile, cibo, medicine e una quantità, anche se limitata, di carburante.

La tregua umanitaria tra Israele e Hamas è stata prolungata per altre 48 ore. Ma il ministro della difesa israeliano Yoav Gallant ha precisato che l’esercito riprenderà le ostilità “ovunque”. Eppure il costo in termini di vite umane di questa guerra è drammatico: dopo 58 giorni di conflitto sono 14.800 i palestinesi rimasti uccisi, tra loro 5.600 minori. Tra il 25 e il 26 novembre, le forze israeliane in Cisgiordania hanno ucciso sette palestinesi, tra loro quattro bambini, portando a 230 il bilancio delle vittime palestinesi dal 7 ottobre: 222 da parte delle forze israeliane e otto da parte dei coloni. Sono 1.200 le vittime israeliane e ancora circa 170 gli ostaggi nelle mani di Hamas.

Ad oggi sono 69 gli ostaggi liberati, e le condizioni affinché l’accordo continui per altri due giorni è di liberare dieci ostaggi per ogni giorno di tregua in più e altri 60 palestinesi detenuti nelle carceri israeliane e la prosecuzione del passaggio degli aiuti umanitari.

Dal valico di Rafah, durante la tregua, continueranno ad entrare 200 camion di prodotti alimentari e sette cisterne di carburante e gas da cucina al giorno. Stando alle informazioni rilasciate dall’ufficio per gli affari umanitari delle Nazioni Unite – Ocha: «Questa pausa ha permesso alle Nazioni Unite di migliorare la fornitura di assistenza all’interno e attraverso Gaza. Il 26 novembre, i convogli di aiuti hanno raggiunto le aree a nord di Wadi Gaza. Le agenzie delle Nazioni Unite e la Società della Mezzaluna Rossa Palestinese (Prcs) hanno distribuito 1.062 tonnellate metriche di cibo pronto per l’uso a quattro rifugi dell’Unrwa nel campo di Jabalia a nord della Striscia; 185 tonnellate metriche di tende e coperte e 890 tonnellate metriche di acqua in bottiglia a vari siti; 164 tonnellate metriche di forniture mediche all’ospedale Al Ahli nella città di Gaza. I convogli sono stati accuratamente ispezionati dalle forze israeliane schierate a un posto di blocco vicino a Wadi Gaza prima di procedere verso nord». La missione «che ha raggiunto l’ospedale battista di Al Ahli», continua la nota, «ha evacuato almeno 17 pazienti e feriti, insieme a 11 dei loro accompagnatori, verso l’ospedale europeo di Khan Younis (nel sud della Striscia di Gaza). Nonostante le enormi carenze e le limitazioni, l’Al Ahli rimane operativo e accoglie i pazienti. La distribuzione degli aiuti nelle aree a sud di Wadi Gaza, dove attualmente risiede la maggior parte degli 1,7 milioni di sfollati interni, è stata accelerata negli ultimi tre giorni. I principali fornitori di servizi, tra cui ospedali, strutture idriche e igienico-sanitarie e rifugi per sfollati interni, hanno continuato a ricevere quotidianamente carburante per far funzionare i generatori. Negli ultimi tre giorni, il gas da cucina è entrato a Gaza, contrariamente a quanto accadeva prima della pausa. Tuttavia, le quantità sono ben al di sotto del fabbisogno. Secondo quanto riferito, le code in una stazione di rifornimento a Khan Younis si sono estese per circa 2 chilometri, con persone in attesa durante la notte. Nel frattempo, le notizie indicano che la gente sta bruciando porte e telai di finestre per cucinare. Dall’11 ottobre la Striscia di Gaza è in blackout elettrico, dopo che le autorità israeliane hanno interrotto la fornitura di elettricità e le riserve di carburante per l’unica centrale elettrica di Gaza si sono esaurite».

Le strutture mediche e servizi igienici

Delle 11 strutture mediche nel sud della Striscia di Gaza, otto sono attualmente funzionanti. La capacità di posti letto in tutta Gaza è scesa da 3.500 prima della guerra a 1.400 al 20 novembre, in mezzo a un’impennata di persone in cerca di cure. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, solo uno degli ospedali attualmente funzionanti nel sud ha la capacità di trattare casi di trauma critici o di eseguire interventi chirurgici complessi. «L’unrwa», continua la nota, «ha continuato a consegnare carburante alla principale azienda idrica di Gaza, che a sua volta lo ha distribuito alle strutture idriche e igienico-sanitarie del sud: due impianti di desalinizzazione dell’acqua marina, 79 pozzi d’acqua, 15 stazioni di pompaggio dell’acqua, 18 stazioni di pompaggio delle acque reflue e un impianto di trattamento delle acque reflue. È proseguita la fornitura di acqua potabile nel sud attraverso due condotte provenienti da Israele. Il 26 novembre, la prima consegna di acqua in bottiglia ha raggiunto i rifugi per sfollati interni nel nord dall’inizio dell’operazione di terra israeliana. In precedenza i partner non erano riusciti a raggiungere le aree settentrionali a causa delle intense operazioni di terra e della mancanza di carburante per la distribuzione dei binari. Tuttavia, persistono le preoccupazioni per la disidratazione e le malattie trasmesse dall’acqua a causa del consumo di acqua da fonti non sicure, poiché l’impianto di desalinizzazione dell’acqua e l’oleodotto israeliano che fornisce acqua al nord non funzionano».

Sicurezza alimentare

«Il cibo pronto per il consumo distribuito nei rifugi dell’Unrwa a Jabalia nel nord, il 26 novembre, comprendeva circa 7,6 tonnellate di biscotti ad alto contenuto energetico forniti dal Programma alimentare mondiale (pam)», continua la nota dell’Ocha. «Questo quantitativo copre l’apporto alimentare minimo giornaliero di 23.616 persone per un giorno. Dal 24 novembre, il Pa, ha fornito assistenza alimentare essenziale a 110mila persone nei rifugi dell’Unrwa e nelle comunità ospitanti attraverso la distribuzione di pane, pacchi alimentari e buoni elettronici. Dal 25 novembre, un panificio del Pam ha ripreso a funzionare su base ad hoc, consentendo la fornitura di pane a circa 90mila persone nei rifugi delle Nazioni Unite nel sud del Paese».

Nonostante l’aumento degli aiuti alimentari attraverso Rafah, molte persone non hanno ancora cibo e combustibile per cucinare. «Non sono operativi altri panifici, a causa della mancanza di carburante, acqua e farina di grano e dei danni strutturali. Secondo quanto riferito, la farina di grano non è più disponibile sul mercato. I membri del Cluster Sicurezza Alimentare hanno espresso serie preoccupazioni sullo stato nutrizionale delle persone, soprattutto delle donne in allattamento e dei bambini. La situazione è ancora più grave nel nord, che è più difficile da raggiungere. Qui il bestiame rischia di morire di fame e di essere ucciso a causa della carenza di foraggio e di acqua. Le colture vengono sempre più abbandonate e danneggiate a causa della mancanza di carburante necessario per pompare l’acqua di irrigazione. In tutta Gaza, gli allevatori hanno macellato i loro animali a causa dell’immediato bisogno di cibo e della mancanza di foraggio per mantenerli in vita. Questa pratica rappresenta un’ulteriore minaccia per la sicurezza alimentare, poiché porta all’esaurimento delle risorse produttive».


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«In questi quattro giorni, le Nazioni Unite hanno intensificato l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza e hanno inviato aiuti ad alcune aree settentrionali che sono state in gran parte tagliate fuori per settimane. Ma questi aiuti sono appena sufficienti per far fronte alle enormi necessità di 1,7 milioni di sfollati. La catastrofe umanitaria a Gaza si aggrava di giorno in giorno», dichiara Stéphane Dujarric, portavoce del segretario generale dell’Onu, António Guterres. «Il dialogo che ha portato all’accordo deve continuare e sfociare in un pieno cessate il fuoco umanitario, per il bene della popolazione di Gaza, di Israele e dell’intera regione. Il segretario generale chiede ancora una volta che gli ostaggi rimanenti vengano rilasciati immediatamente e senza condizioni. Esorta tutti gli Stati a usare la loro influenza per porre fine a questo tragico conflitto e sostenere passi irreversibili verso l’unico futuro sostenibile per la regione: una soluzione a due Stati, con Israele e Palestina che vivono fianco a fianco, in pace e sicurezza».

AP Photo/Adel Hana


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