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Medio Oriente

Gaza, sei mesi di numeri dell’orrore 

Oltre 33mila vittime, tra loro 13mila minori. Uccisi anche 103 giornalisti, 180 operatori umanitari. Ad almeno mille bambini sono state amputate una o entrambe le gambe. Gli sfollati interni sono 1,7 milioni. La popolazione sta morendo anche di fame: ma le tonnellate di aiuti umanitari sono ferme ai valichi di frontiera. «Nel Nord di Gaza», dice Tommaso Della Longa, portavoce della Federazione Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, «la gente ha iniziato a manager il cibo per animali: ora è finito anche quello»

di Anna Spena

Sono passati sei mesi dal sette ottobre. Sei mesi da quando Hamas ha lanciato un attacco missilistico su Israele, sfondato le barriere, colpito le colonie in prossimità della Striscia, attaccando anche un rave party in corso nel deserto del Neghev e fatto prigioniere almeno 250 persone. 

Sono passati sei mesi da quando il premier israeliano Netanyahu ha trasformato la legittima difesa in vendetta negando acqua, cibo, medicine, cure, connessione Internet, con un assedio totale della Striscia di Gaza fino a trasformarla in polvere e macerie. Inutili gli appelli della società civile internazionale. 

Inutile la risoluzione Onu in cui si chiedeva “un cessate il fuoco immediato per il Ramadan rispettato da tutte le parti che conduca ad un cessate il fuoco durevole e sostenibile e il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi, nonché la garanzia dell’accesso umanitario per far fronte alle loro esigenze mediche e umanitarie”. Sei mesi in cui non si smettono di contare i morti: bambini, donne, giornalisti, cooperanti. Anche l’aiuto umanitario è sotto assedio: «L’obiettivo di “cancellare Hamas”», ha scritto il presidente emerito di Intersos Nino Sergi nel pezzo “Strage di cooperanti, Netanyahu non vuole testimoni scomodi”, «si è presto trasformato in cinica vendetta e in tentativo di risolvere la questione territoriale di Gaza con la forza delle armi, in modo unilaterale, con l’annichilimento spietato di 2 milioni di persone e la distruzione brutale di tutto il territorio. Entrambi, il governo israeliano come Hamas, stanno commettendo gravi crimini in violazione del diritto internazionale umanitario». 

I numeri della catastrofe 

In sei mesi a seguito degli attacchi delle forze di difesa israeliane sono morte quasi 33mila persone nella Striscia di Gaza, oltre 13mila morti sono minori. 382 sono state le vittime in Cisgiordania, 33 sono minori. Il numero dei feriti ha superato i 75mila. Le vittime in Israele sono state più di 1.200, 5.432 i feriti e sarebbero oltre 100 gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, non si sa quanti siano vivi e quanti morti. Il 70% degli edifici nella Striscia sono stati distrutti. 1,7 milioni è il numero degli sfollati interni su una popolazione totale che prima della guerra raggiungeva i 2,3 milioni di persone. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, dal 1° marzo le autorità israeliane hanno negato il 30% delle missioni di aiuto umanitario nel nord di Gaza.

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L’Unrwa è stata colpita in modo sproporzionato: le autorità israeliane continuano a negarle l’accesso al nord per fornire assistenza alimentare d’emergenza e altre forniture di base. Save the Children ha confermato che finora 27 bambini sono già morti a causa della fame e delle malattie e ha avvertito che i bambini di Gaza non ricevono il cibo e le cure mediche di cui hanno bisogno per sopravvivere. Ad almeno mille bambini sono state amputate una o entrambe le gamba e circa 30 dei 36 ospedali sono stati bombardati, lasciandone solo 10 parzialmente funzionanti. Il 90% degli edifici scolastici è stato distrutto, 260 sono stati gli insegnanti uccisi. Tra le vittime anche 180 operatori umanitari, 103 giornalisti e 685 sanitari. 

L’orrore

«Questi numeri sono scioccanti», dice Tommaso Della Longa, portavoce della Federazione Internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa. «Non c’è stato nessun rispetto per la protezione dei civili, del personale medico, degli operatori umanitari. Siamo costretti a vedere quotidianamente l’orrore. E più andiamo avanti più tutto peggiora. Come operatori umanitari questa cosa è incredibilmente frustrante: sappiamo di avere la capacità per aiutare la popolazione ma siamo consapevoli di non poterlo fare nel pieno delle nostre possibilità. La speranza rimane sempre quella che il conflitto finisca, invochiamo da sei mesi un cessate il fuoco e il rilascio di tutti gli ostaggi. Ma chiediamo almeno che si consenta l’ingresso degli aiuti e la distribuzione in sicurezza. Noi come Croce Rossa abbiamo già perso 18 colleghi, 15 nella Striscia di Gaza e 3 in Israele. Nella Striscia abbiamo dovuto chiudere due ospedali, le nostre ambulanze sono finite nella linea di fuoco. I nostri colleghi nella Striscia sono contemporaneamente operatori umanitari e vittime loro stessi del conflitto. Non c’è cibo, acqua, cure. Nel Nord di Gaza la gente ha iniziato a manager il cibo per animali: ora è finito anche quello».

AP Photo/Hatem Ali


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